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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie"

Piero Piazzola, Bepi Falezza

a cura di Anna Solati

 

fotografie di A. Scolari

 

 

Badia Calavena

 

 

Il territorio che si estende a nord di Tregnago, lungo la vallata e a mattina della strada provinciale attuale, anticamente detta “Longazeria”, in passato si chiamava “Calavena”. Ancora adesso viene nominata con tale toponimo una valletta subito dopo Tregnago, sulla destra di chi sale. Gli studiosi di toponomastica non sono riusciti a trovare una spiegazione concorde per questa parte del nome.

Riguardo, invece, alla prima parte, “Badia”, non è difficile entrare nella realtà storica dell’antico monastero di San Pietro in Nemore o in Sylvis (San Pietro in Bosco o nelle Selve): vale a dire un’”abbazia” da cui “badia”.

 

Badia Calavena, inizialmente era annoverata tra i 13 Comuni Veronesi con il nome di Sprea cum Progno, cioè con il nome dell’attuale paese di Sant’Andrea.

Nel 1040, il vescovo di Verona, Walterio, fece costruire un castello fortificato sul Monte di San Pietro come rifugio per la popolazione dei dintorni contro le invasioni barbariche.

Meno di un secolo dopo il castello fu distrutto e per volontà del vescovo Bernardo sulle sue rovine fu costruito il monastero di San Pietro in cui s’insediarono i monaci benedettini.

Il convento fu largamente favorito dai vescovi di Verona e da generose elargizioni degli imperatori tedeschi che, a quel tempo, godevano dell’autorità indiscussa sull’Italia. I favori e le donazioni gli fecero acquisire una notorietà e una potenza addirittura superiori a quella del non meno famoso monastero di San Zeno.

 

In contrada Comerlati, comune di Velo Veronese, c’è ancora adesso un antico edificio che i locali chiamano “La casa dei Frati”. Si tratterebbe, a sentir la gente, di un distaccamento dei monaci di Badia Calavena.

Tra gli altri possedimenti su cui avevano giurisdizione v’era anche la zona occidentale della montagna dei Lessini, tra cui l’abbazia di San Moro sul monte omonimo a San Mauro di Saline.

All’abbazia di San Moro si giungeva dalla pianura attraverso una strada che poi sarà detta “Via Vacàra” perché vi transitavano le mandrie di bovini che andavano alle montagne dei Lessini per l’alpeggio estivo. Ma era conosciuta anche come “Via Cara”, cioè la “strada dei carri”. Perché, come abbiamo scritto altrove essa veniva percorsa dai carri che portavano il sale in Lessinia alle comunità Cimbre.

Il cenobio fu presieduto e amministrato, fin dai primi anni, da un monaco avente funzione di abate, pieni poteri e con tutti gli onori che si tributavano a un capo di stato. Si trova scritto che l’abate si muoveva con la sua scorta di soldati.

 

La leggenda -e qualche storico la difende come realmente accaduta- narra che nel 1184 trovò ospitalità nel monastero sulla cima del Monte San Pietro anche Papa Lucio III fuggito da Roma in seguito ai tumulti scoppiati dopo la sua elezione. In quell’occasione sembra che proprio lui abbia consacrato la chiesa poi abbattuta e interamente rifatta com’è oggi. Di quella storia-leggenda è rimasta una lapide.

Nel 1442 l’abate Maffeo Maffei, di nobile casato veronese, fece scendere dal Monte San Pietro quei pochi e vecchi monaci che avevano resistito al tempo e al degrado del convento e li fece ospitare in un nuovo monastero fabbricato vicino alla chiesa pievana.

 

Oggi di questo monastero esistono ancora parecchi resti e alcuni di essi, come l’ala meridionale, sono interessantissimi sotto il profilo architettonico.

Quando si insediarono in quelle terre i coloni tedeschi, la “Badia Calavena” di un tempo finì per cambiare denominazione e prese il nome di Sprea cum Progno, cioè dalle due frazioni Sprea e Sant’Andrea che, stando a quanto scrivono gli storici, anticamente si chiamava “Progno” dal nome popolare del corso d’acqua che la attraversa.

La forte comunità cimbra, dopo i primi patti con gli abati del monastero, si oppose fortemente al loro potere e cominciò una lite che durò alcuni secoli.

Alla fine del Settecento, abolito il “Vicariato”, fu costituito il “Distretto della Montagna” e Badia Calavena ne divenne la capitale.

 

Avvenimenti luttuosi nella sua storia sono stati la peste del 1630, l’innondazione del 1882 e il terremoto del 1991.

Sul versante della valle, ad ovest, in altre parole, si sale sulla dorsale che da Mezzane di Sotto porta a San Mauro di Saline e poi a Velo e all’intero altopiano della Lessinia. Su tale settore occidentale, insistono molte contrade, tra esse vanno ricordate: Scandolara, Edri, Guerri, Ucchesi, Tureri, Carpene, Battisteri, Cavalieri, Spagnoli, Pergari, Pellicari, Raussi, Orazi, Filippi, Pernigo, Valentini, Antonelli e San Valentino di Pernigo che è pure una frazione.

Sul versante orientale le più famose per le loro peculiarità sono Sprea, per le sue erbe medicinali publicizzate dall’opera del parroco don Luigi Zocca, Sant’Andrea per il suo antico mercato dei bogoni (chiocciole), che la tradizione orale farebbe risalire al Mille.

Più vicine a Badia, infine, ma più a sud, si dipartono la Val dei Gambari e la Val Scura, che raggiunge la località Rancani in quel di Tregnago.

 

Le contrade di Badia Calavena che denunciano una loro linea architettonica classica, con portali di ingresso ad arco, sono molte. Le più importanti, a cominciare da Pèrgari, sono Gioni, Cengio, Valle, Fietta, Cieni.

Altrettanto si deve dire della gran quantità di dipinti murali che, in parte, sono stati recentemente restaurati a opera del Comune e dell’Amministrazione Provinciale. Se ne trovano oltre che a Pèrgari, anche a Sant’Andrea, a Triga, a Càrpene, a Fondi, a Storti, a Trettene, a Stizzoli, a Valcava, ad Anselmi, a Vanzetti, a Gonzo, a Gamberoni, a Riva, al Cucio, ai Valentini, ai Pellicari.

 

I dipinti, soprattutto nelle contrade a destra del Progno, sono in gran parte opera di Giosuè Casella, un “madonnaro” vissuto tra la fine del Seicento e primi del Settecento, che operò in varie zone della provincia e soprattutto in Val d’Illasi. I suoi soggetti si riferiscono soprattutto alle immagini della Madonna col Bambino, seduta in trono, e circondata da angeli e santi.

Particolarmente interessante, anche sotto il punto di vista artistico, è la frazione di SS. Trinità, dove negli anni Cinquanta fu edificata una grande chiesa al posto dell’antica ricca di memorie e di fede.