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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
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Bosco Chiesanuova
«Dall’alto delle rocche romane, Velo, Erbezzo, Sant’Anna d’Alfaedo, le sentinelle delle gloriose legioni scrutavano l’orizzonte e vedevano, lontano, laggiù, oltre la fumida pianura solcata dall’Adige e dal Po, la muraglia appenninica, l’argenteo specchio del Garda e le Alpi inaccessibili, il dolce profilo dei Colli Euganei, e l’Adriatico mare rutilante lama d’aurora… mentre, d’intorno, si stagliavano nitide contro il cielo le corrusche vette del Baldo e i nevosi massicci delle Piccole Dolomiti». Con queste parole Gianni Faè descriveva lo sconfinato panorama che si gode da Bosco Chiesanuova.
Quando si entra nel territorio di Bosco Chiesanuova diventa proprio difficile privilegiare una zona piuttosto che un’altra in fatto di contrade e di case antiche, perché, probabilmente, è il territorio che meglio e più di tutti gli altri in Lessinia ha saputo conservare la propria antica fisionomia architettonica.
Il territorio è come quello di Erbezzo, dispiegato in longitudine da sud a nord, tra i paesi di Lughezzano, Arzeré, contrada Prati e Cerro Veronese, a mezzogiorno, e tra le località Malga Pidocchio, Podestaria, Cima di Mezzogiorno, Monte Sparavieri e Castel Gaibana, a mezzanotte. I fianchi, a sera, scorrono lungo il vaio dell’Anguilla, e a mattina, lungo tutto il Vajo di Squaranto che raggiunge, grosso modo, il centro turistico di San Giorgio.
A metà del territorio, lungo un’asse ideale che separa la zona delle contrade vere e proprie da quella delle malghe, si incontrano gli antichi nuclei abitati più alti di tutta la Lessinia e i più settentrionali di tutti, ma anche le contrade più antiche, le meglio conservate a livello architettonico.
Esse sono, partendo da mattina: Tecchie, Merli, Sant’Anna, Brutti, Maregge, Tinazzo, Zamberlini, Campi. Un po’ più a sud di questa linea ci sono poi Làite, Beccherli, Covile e Sauro, tutte di particolare bellezza, tanto che, insigni architetti austriaci, come hanno fatto per Sant’Anna d’Alfaedo, le hanno esaminate minutamente per farne dei prototipi costruttivi per il futuro non solo della Lessinia, ma anche di certe zone dell’Europa.
La zona selvosa che sta intorno a Bosco Chiesanuova era anticamente denominata “Selva della Frizzolana”. Dai Romani era meglio conosciuta come Forum julianum e anche come Sylva Communis Veronae.
Con l’andar del tempo si videro spuntare qua e là, dalla valle Squaranto alla Val Zenise, alla Vallonea, al Vajo dell’Anguilla, a Boccadivento e alla Fontana del Termine, qualche sparuto gruppo di case, in prossimità dei nuovi pascoli che il disboscamento via via andava a liberare, e che tornavano oltremodo propizi per l’allevamento delle pecore e per l’alimentazione umana: nuove attività che cambiarono il modo di vivere e di lavorare degli antichi coloni tedeschi.
I coloni che si erano stabiliti prima a Folgaria nel 1216, protetti dal vescovo di Trento Wanga, poi, per l’aumento della popolazione, si erano stanziati sull’Altipiano dei Sette Comuni e infine nel 1287 arrivarono nella “Selva Comune”. Nella già citata concessione di Cangrande della Scala era nominato espressamente Bosco Frizzolana, Valdiporro, Erbezzo e Scola Boscorum.
Bosco continuò a essere subordinata sia giuridicamente che religiosamente a Roverè di Velo fino al 1375 quando il vescovo Pietro della Scala, succeduto a Bartolomeo, eresse a parrocchia la “Ecclesia Nova” di Valdiporro. All’inizio dell’epoca attuale a Bosco Chiesanuova fu eretta la chiesa di Santa Margherita, la santa dei Cimbri, tanto venerata che la sua immagine veniva posta come elemento decorativo delle case e, addirittura, collocata su un altarino ligneo nel tronco di un faggio, anch’esso un simbolo dei Cimbri. Nel 1500 fu costruita la nuova chiesa con relativo campanile e la facciata rivolta a ponente; ora, in seguito ai lavori fatti all’inizio del secolo scorso, essa guarda a levante. In quel periodo Bosco acquisì titolo e importanza di capoluogo. Era amministrata da un Massaro che gestiva anche la giustizia ed era coadiuvato da consiglieri che venivano eletti dai “Colonelli” di Calavero, Scole, Valbusa, Erbezzo. Quest’ultimo, con il parere favorevole della Serenissima, nel 1621 si staccò da Bosco.
In quell’epoca a Bosco Chiesanuova si insediò la “Nobil Compagnia dei Compatroni”, cioè dei proprietari dei pascoli della Lessinia e Podestaria diventò la sede del Podestà, vale a dire del commissario che la Nobil Compagnia inviava in Lessinia per dirimere le questioni interne e amministrative relative all’alpeggio. Bosco Chiesanuova, favorito dalla Serenissima, sostenne poi una lunga lite in merito alla proprietà dei pascoli e dei boschi; una lite che durò fino al 1707, quando una sentenza riconobbe finalmente al Comune il legittimo possesso dei beni secondo gli originari privilegi del vescovo Bartolomeo della Scala e di Cangrande, contro le pretese dei Monasteri e della Nobile Compagnia. Questa è anche una delle spiegazioni per cui Bosco Chiesanuova possiede una quarantina di pascoli.
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