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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie"

Piero Piazzola, Bepi Falezza

a cura di Anna Solati

 

fotografie di A. Scolari

 

 

Camposilvano

 

Camposilvano

 

Presso i Musei Vaticani, a Roma, sulle pareti di alcuni locali, nel Cinquecento sono state affrescate delle carte geografiche che contemplano tutte le regioni d’Italia. Su una di esse si trova rappresentata anche la zona geografica della provincia di Verona con i nomi di tutti i paesi allora conosciuti. In un particolare settore compare anche il nome di Campo seluone, cioè Camposilvano, in verità non posizionato con esattezza topografica, ma comunque rilevabile nella sua collocazione, a nord, tra i monti del Tirolo e Roveré Veronese.

 

Nel suo disegno, il nostro illustratore, il maestro Falezza, ha, da parte sua, riprodotto il campanile e uno scorcio della chiesetta di Camposilvano. Chiesetta che compare già nell’anno 1326, in cui si fa cenno all’aliquota di sale necessario per le comunità di …Accerini cum Sementa et Campo Siluano;: duas quartas salis….

 

In seguito le testimonianze storiche si moltiplicano tanto da farci sapere che Camposilvano fu uno dei più rapidi centri di espansione dei Cimbri da Roveré dopo il 1287, insieme con Azzarino, altra frazione di Velo. Avendo essi, Camposilvano ed Azzarino, un nome italiano, è segno che erano già conosciuti in tempi precedenti all’arrivo dei Cimbri. E tutti e due entrarono subito nel novero dei Tredici Comuni Veronesi.

 

Camposilvano, in particolare, come risulta dagli atti delle visite pastorali dei vescovi veronesi, ha avuto le sue buone vicende anche come comunità cristiana. La prima volta che un vescovo di Verona, in questo caso mons. Marco Giustiniani, fece registrare il nome di Camposilvano fu il 4 ottobre 1634. Egli mandò da Velo il suo vicario a rendersi conto di quella piccola comunità. Al suo ritorno il referente riportò che si trattava di «…un piccolo oratorio sotto il nome di San Carlo... Ha il posto di un’icona sulla parete e dipinte immagini della B.V. Maria e dei Santi Domenico, Carlo, Giovanni Battista e Valentino…».

 

Aggiunse poi che gli abitanti avrebbero desiderato il benestare del vescovo per procedere ad un ampliamento, ma che egli si era rifiutato di darlo, perché, prima, occorreva prendere visione del “modello” (del progetto).

 

Il lettore avrà notato che la chiesetta è intitolata a San Carlo Borromeo e che un altare è dedicato allo stesso. Sembra pertanto, come vuole la tradizione, che il santo vescovo di Milano sia passato da queste parti per poter raggiungere tranquillamente la città di Trento dove si stava celebrando il famoso Concilio (1540-1545), perché la strada più comoda, cioè la Valdadige, era infestata dai briganti che approfittavano di questo avvenimento straordinario per assaltare le delegazioni dei cardinali e i loro seguiti.