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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie"

Piero Piazzola, Bepi Falezza

a cura di Anna Solati

 

fotografie di A. Scolari

SAN MARTINO B.A.

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La fontana dei Pagani

In contrada Pagani è possibile ammirare una fontana, particolarmente prestigiosa, non tanto per le sue forme architettoniche che rispecchiano l’antica usanza di proteggere l’acqua dagli elementi atmosferici inquinanti e le persone, di solito le donne, che vi si recano per lavare i panni e ad attingerla, ma soprattutto per le sue vicende storiche.

 

La fontana dei Pagani

 

Sopra le vasche di raccolta dell’acqua che sgorga da una cannella in pietra, si leggono questa parole, piuttosto enigmatiche, disposte su tre righe: ORAE POST RIXAS AES OPUS INDUSTRIA / COMITES DE TRIBUS SEMPER UBIQUE DEDIT /CENSUM QUIPPE NEGANS ADVENA CEDE PROCUL.

 

 

Frase, che tradotta liberamente, dice: «Dopo le controversie, la contrada, qui, per sempre, col lavoro e il denaro, di tre sorgenti ne diede una; tu, o forestiero, poiché non paghi il tributo, vattene lontano». In altre parole: “La fontana l’abbiamo fatta noi e tu, forestiero, che non hai concorso alla spesa, non hai diritto di attingere l’acqua.” Tutto cominciò nel lontano 1794. Gli abitanti della contrada, «…rendendosi necessario di far venir l’acqua sino alla contrà ove hanno l’albio…», affidarono l’incarico a un capofamiglia, Domenico del fu Andrea Pagan, di stabilire i contratti con li murari, di procurare che li condotti siano di pietra e di andar a raccogliere scrupolosamente le vene d’acqua alla sorgente; sorgente che era conosciuta col nome di mous, che in cimbro significa «acquitrino», «di condurla sino all’albio», di «ripararla dal sporchezzo» e di pagarla con una sottoscrizione, vale a dire «con la loro porzione che si aspetta dalla Lobbia in questo anno e in caso con l’occorrente altro anno ».

 

L’incaricato accettò, stese un progettino nel quale compariva anche un piccolo fabbricato, che lui definiva portico, che conglobava le vasche di raccolta, lo prevedeva «coperto a lastre di larghezza di piedi nove» e una serie di altri impegni costruttivi. L’edificio però non fu mai realizzato. Erano ventuno i capifamiglia che quella volta sottoscrissero il contratto, oppure lo convalidarono con la croce. Per una curiosità dalle firme raccolte si deduce quanto segue: solo tre firmatari hanno una certa dimestichezza con la scrittura; dodici tracciano il segno di croce; gli altri sei sanno leggere e scrivere a mala pena, perché stentano a scrivere le parole «afermo quanto sopra». Sono tutti Pagan di cognome, ma trattandosi di un impegno pecuniario, ad evitare eventuali confusioni, qualcuno vuole aggiungere anche un altro segno distintivo: il soprannome. Così troviamo: Marian Tognela, Grandini, Quaia, Monco, Màsena, Jassìnto, Seràfi, Puinaséca, Bìsari, Lussiéto, Mincòti, Magro, Lèssio.    

  

«Il portico sarà fatto di muro, davanti con due archi», recitava il contratto. In realtà allo stato attuale si presenta con un solo arco espanso. Pare che la decisione di ridimensionarlo sia stata dettata dalla paurosa slavina di cui abbiamo scritto riferendoci alla contrada.