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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
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Grietz
Grietz
Forse è più giusto dire “località” Grietz, perché la contrada Grietz vera e propria è a una certa distanza dalla giassàra, di cui stiamo trattando. L’abbiamo presa a prestito, si può dire, per localizzare con un toponimo una costruzione che è stata ristrutturata ed ora funge da sezione staccata del Museo Etnografico di Bosco e per soffermarci sull’attività dei giassarói di una volta, di quegli abitanti cioè delle contrade della Lessinia che sfruttavano il freddo e la neve delle invernate per trarne un certo tornaconto, conservando neve e ghiaccio in appositi contenitori, le giassàre appunto, che servivano ad arrotondare le magre entrate dell’allevamento del bestiame.
Le “giassàre”, di cui tratteremo anche più avanti, venivano scavate nel cuore del terreno, come dei pozzi per l’acqua, internamente murate tutt’intorno, con una costruzione esterna, di solito di pianta rotonda e con un tetto a spiovente; una tettoia serviva per caricare e scaricare il ghiaccio. Accanto a ogni giassàra una pozza per raccogliere l’acqua piovana che poi d’inverno gelava e formava uno strato di ghiaccio che veniva tagliato a pezzi e depositato nella ghiacciaia.
Le “giassare” famose sono parecchie, ma varrà la pena di trattare solo quelle che ancora resistono al degrado e all’incuria della gente e che sono state prese in considerazione dalle amministrazioni pubbliche per i restauri e per conservare il patrimonio di conoscenze ad esse legato. Dopo quella di Cerro Veronese, in contrada Carcereri, stupendamente restaurata nel 1990 e trasformata in “Museo Ergologico”, bisogna elencare quella cosiddetta del “Modesto”, in comune di Roveré Veronese, sulla strada che da Roveré porta in contrada Pazzocco; costruita da Modesto Paggi, un tagliapietre del luogo, accanto ad una stalla altrettanto singolare per la sua struttura muraria che ha come muri perimetrali, enormi lastroni ritti in piedi, incastrati tra loro.
Ad Erbezzo, all’incrocio di due strade e sull’orlo di quella che fu una pozza d’acqua, è ancora visibile una ghiacciaia, detta “dei Pendoli”, convertita poi in una bella casetta. A Vaggimal, in quel di Sant’Anna d’Alfaedo, sono tuttora discretamente conservate le grandi ghiacciaie “del Giochin” e di “Vaona”. Ma non mancarono anche ghiacciaie che oggi sono diventate “memoria storica”, come scrive Nadia Massella: la “Giassara del Mori”, per esempio, quella della “Fabbriceria di Cerro”, quella del “Pero”, “dei Steli”, del “Pomo”, “del Crestena”, dei “Gaspari” senza parlare delle cosiddette giassàre ingeà, cioè costruite nella terra, senza murature, e delle piccole ma insostituibili ghiacciaie dei bàiti di montagna.
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