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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
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I madonàri
Contrà Tommasi capitello
Nel giugno del 2000 è stato pubblicato, a cura di Luigi Ferrari, un opuscolo sui Segni della devozione a San Martino Buon Albergo; l’autore ha catalogato, fotografato e recensito con grande diligenza e bravura, quasi da vero esperto, capitelli, icone, immagini, sculture e dipinti murali presenti nel territorio di San Martino.
Chi scrive queste righe, ha preso a prestito l’iniziativa per far due chiacchiere sui madonàri, su quelle persone, cioè, che nel passato in modo particolare, armate di pennelli o di scalpelli e di una buona dose di genio e di creatività artistica, andavano di paese in paese, di corte in corte, di contrada in contrada, a dipingere Madonne e Santi sulle facciate delle case, a scolpire statue e statuine da collocare nei capitelli, se non addirittura a costruire i capitelli stessi. Questi “artisti” il più delle volte erano rimunerati solo con qualche pasto più sostanzioso e con un posto al caldo (stalle, fienili) in cui passare la notte.
Carlo Caporal, e Giuseppe Rama, studiosi dell’architettura e delle altre forme di arte popolare della Lessinia andarono a scavare profondamente nel patrimonio artistico della montagna veronese alla ricerca soprattutto delle figure dei “madonnari” che l’avevano abbellita con le loro opere (sculture e affreschi) e in particolare la vallata d’Illasi; ne riassunsero l’esito, ancora negli anni Settanta, in un manualetto in cui esaminavano con senso critico tutte le espressioni pittoriche della vallata e riuscivano a identificarne gli autori i cui nomi di norma erano sempre rimasti anonimi oppure nel “si dice”. Definirono la vallata d’Illasi con un’espressione felice: Vallis picta, la “Valle dipinta” perché moltissime sono le pitture sui muri delle sue case.
Negli anni seguenti le loro ricerche hanno ottenuto un enorme successo, nel senso che molti ricercatori e studiosi veronesi rimasero affascinati da questo ingente patrimonio artistico popolare e cominciarono ad interessarsi di questi dipinti e sculture. Più tardi andarono a rivisitare tutte le opere di pittura popolare che l’intera Lessinia può ancora vantare. La ricerca ha fruttato una stupenda pubblicazione a colori che si può chiamare, senza ombra di vanagloria, “L’ enciclopedia delle pitture murali della Lessinia”.
I due studiosi sono riusciti, dunque, con le loro ricerche e con la ferma volontà di offrire un capitolo conclusivo alla cultura veronese in materia, a identificare anche i nomi dei più quotati “pittori” da strada, meglio conosciuti, come si è già detto, col termine popolare dialettale di “madonari”, pittori di madonne e di santi.
Uno dei più famosi madonàri che ha lavorato nel Seicento da un capo all’altro della Lessinia e in Valpolicella, dove ha lasciato i dipinti migliori, si chiamava Giosuè Casella. Un altro madonaro dell’Ottocento che rappresentava gli occhi delle sue figure con un trattino, tanto da essere chiamato il “pittore delle figure con gli occhi chiusi”, sarebbe stato recentemente identificato nella persona di un certo Celestino Dal Barco di Valdagno. Un pittore, invece, che non ha lesinato a firmarsi, è colui che ha dipinto la Madonna Lauretana oggi presso il Museo dei Cimbri di Giazza: “Qui pinse il Pilloni, detto Bela Facia da Recoaro”.
Numerose sono anche le sculture di carattere popolare (le cosiddette colonnette cimbre). Tutte, o quasi tutte queste opere, portano la firma di uno dei tanti madonari. Solo che di molti, non è stato possibile recuperare le generalità.
Nei secoli del tardo Medioevo, diventarono famosi come abili maestri costruttori per un verso, e ottimi scalpellini per l’altro, i lapicidi che lavorarono in tutta la provincia, soprattutto nei paesi di montagna, a costruire chiese e oratori, a cominciare da quella di Erbezzo per finire a Velo Veronese. Si è del parere che loro stessi e qualche loro collaboratore abbiano imparato a scolpire statue a tempo perso e su commissione per guadagnarsi qualche cosa al di fuori di quella che era allora la misera paga di muratore. Qualcuno di essi emerse dal mazzo per le interpretazioni scultoree davvero straordinarie: furono i “madonari” che poi diventarono famosi come, per esempio, un Petterlini da Giazza, un Furlani da Campofontana, un Romano da Crespadoro, un Matteo Pellizzaro da Marano, un Antonio Lonardi da Cerna, un Giorgio Griso da Campofontana e molti altri ancora.
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