HOME - IN LESSINIA |
In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
|
||
Malga Mandriello
Malga Mandriello
Per arrivare alla “Montagna de Mandrielo”— comunemente è conosciuta così— bisogna risalire la parte più settentrionale della lunga Valle del Progno-Illasi (anticamente detta Longazeria), passare oltre Giazza e la “Fontana dell’acqua fredda”. Là, in mezzo all’abetaia della Foresta Demaniale, si apre un grande prato adatto più ad un gregge di pecore che ad una mandria di vacche, per la sua ristrettezza geografica e per la rischiosità della sua posizione, soprattutto.
Il pascolo si trova a ridosso della corona di rocce che delimita il vasto pascolo dell’altopiano della Lessinia, e si apre a mattina con la Malga Malera, e le cosiddette “rive”; termine che in altre parole indica le pendenze che scendono piuttosto scoscese verso il fondovalle dove scorre il torrente di Revolto. Di fronte a Mandriello si trova la grande conca di abeti e larici che è meglio definita e conosciuta come zona delle Molezze e di Terrazzo.
Mandriello deriva da «mandria», cioè lo steccato che i pastori di una volta — ma anche quelli di adesso — alzavano per rinchiudervi dentro le pecore di notte, con lo scopo di proteggerle dai lupi e dai cani e poi di poterle mungere più speditamente il mattino. Una Malga Mandrielle si trova oggi anche nei dintorni di Asiago. In un atto del 1615 si trova registrata una montagnola detta Mandriele nel comune di Selva di Progno; non sappiamo se si tratta di Mandriello, ma non essendovi altre località con tale toponimo, si ritiene che si tratti proprio di questa “montagna”.
Oggi la malga e il pascolo di Mandriello non figurano più nelle indagini ufficiali relative alle “montagne-pascolo”; il bosco ha preso il sopravvento sulla parte pascolata. Rimane a testimonianza il baito, così come lo ha visto Falezza nel suo disegno: una terra che rievoca “storie” sulle quali oggi volano i corvi.
Ma alla fine del Settecento, “Nella montagna Mandrielo”, così si scriveva nell’indagine che citiamo spesso, pascolavano 6 vacche di Gasparo Longo, 9 di Antonio Pagan, 18 di Giovanni Dal Bosco e 14 di Domenico Dal Bosco: 47 capi in tutto. Non era proprio una montagna da buttare, ma allora i tempi erano altri e anche i sacrifici umani erano diversi, più impegnati, più miseri. I tre cognomi Longo e Dal Bosco erano di gente di Giazza; Pagan, invece, era di Campofontana.
|