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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
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Roveré Veronese
Il territorio comunale, molto ampio, ha la forma di una striscia orientata nord-sud, compresa tra i comuni di Verona, Grezzana, Cerro, Boscochiesanuova, San Mauro di Saline, Velo, Selva di Progno. Poggia sulla dorsale che fa da displuvio alla profonda valle dello Squaranto verso sera. Mentre si allarga in un falso altopiano che va a lambire i due comuni confinanti e più vicini di Velo e San Mauro di Saline. Ha una particolare conformazione geologica infatti presenta parecchie valli che confluiscono nel profondo corso d’acqua dello Squaranto che ha favorito nel Settecento l’industria dei molini; nella sola contrada di Cantero ne funzionavano ben sette, e su uno di essi è dipinta l’immagine di Santa Caterina, eletta protettrice dei mugnai.
La chiesa parrocchiale risale ad una originaria cappella dedicata a San Nicolò e consacrata nel 1309. Il campanile fu eretto nel 1403 dal famoso lapicida Donato da Lugo. La facciata, come volevano le norme canoniche di allora, era orientata a sera. Tra il 1940 e il 1945 furono eseguiti ingenti lavori ed essa ora è rivolta a mattina.
Nella preistoria il paese fu certamente abitato fin dal periodo Neolitico, cioè 5000 anni fa, come scrive Giovanni Solinas che ha avuto il merito di rintracciare i resti di un castelliere sui Monti Recamao e Capriolo e insediamenti a San Rocco e San Vitale. Sulla vetta del Monte Tesoro, che domina il capoluogo, sono stati trovati numerosi resti di ceramiche dell’età del ferro e certe caratteristiche piccole piramidi in roccia basaltica, qualcuna anche siglata, già note, peraltro anche dall’Ottocento. La zona fu sicuramente deserta o semi deserta fino all’alto Medio Evo. Viene nominata in un documento dell’anno 866 e detta Roboretum, che deriva dalla parola «rovere», cioè dalla pianta del róaro, come si dice in dialetto, una specie di quercia che produce delle ghiande molto diverse da quelle del faggio. Dalla stessa radice derivano anche nomi di paesi e di località famose: Rovereto, Roverbella, Rovegno, Rovegliana, Roverchiara, Roveri…
Già prima del Mille una cinquantina di famiglie aveva lasciato la Baviera per venir a lavorare le terre del vescovo di Verona. Ma la storia vera non è ancora stata del tutto chiarita. A Roveré, comunque, presso la canonica è conservata una copia, l’unica, le altre sono andate smarrite o sottratte, dell’atto di cessione delle terre ai coloni e dei patti sottoscritti con il vescovo Bartolomeo della Scala. Essa porta la data 5 febbraio 1287.
La zona che venne concessa ai nuovi pastori-boscaioli era costituita da boschi e pascoli nelle località Opledum, Roveredum cum quarcanteri (Rovere con Cantero) et caveroli, et Pliuginum, et Cavrarium (Cavrara) et Cavrarolum (Monte Capriolo), cum valle grassa, Pontara (strada) et Salavorna (Salaorno). I confini andavano da Squarantum a Pigocium e finivano nei comuni di Moruri et Cancelli cum Varano… usque ad illum de Meçanis (Mezzane).
Inizialmente Roveré e la sua comunità furono soggetti all’amministrazione ecclesiastica e civile di Velo. Poi il numero dei suoi abitanti crebbe e la borgata diventò luogo di irradiazione per l’insediamento di altri nuclei di abitanti in altre zone. Nel 1403 diventò uno dei primi comuni del Vicariato.
A Roveré, terra che diede i natali ad una civiltà, si sono conservati più numerosi, più a lungo e più precisi, i toponimi dei luoghi e i cognomi. Facciamo qualche esempio: Aganetti, Biceghi, Birteli, Bolfe, Campari, Cantero, Corlaiti, Degani, Dere, Durli, Erbisti, Fornidar, Frustoli, Funfi, Gaigari, Garonzi, Gauli, Grobbe, Jegher, Keliche, Kloss, Laite, Linte, Loneri, Pazzocco, Ploneche, Puel, Recamao, Scardon, Scrovazze, Spietener, Squaranto, Tondar e tanti altri che per sintesi trascuriamo.
Roveré Veronese possiede solo otto “montagne” per l’alpeggio. Esse sono: Pigarolo, Parparo di Sopra, Parparo di Sotto, Monticello di Sotto, Camporotondo, Marian, Marianetto e Roste e sono tutte di media importanza in quanto a carico di bestiame, fatta eccezione per le due montagne dei Parpari che possono ospitare rispettivamente 133 capi bovini (Parparo di Sopra) e 101 (Parparo di Sotto). Il toponimo “Parparo” è già presente nell’anno 829 e pare sia derivato da prato e da par-paris (uguale).
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