HOME - IN LESSINIA

In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie"

Piero Piazzola, Bepi Falezza

a cura di Anna Solati

 

fotografie di A. Scolari

 

San Giovanni in Loffa

 

San Giovanni in Loffa

 

Ai primi di ottobre del 1454 il vescovo di Verona, mons. Ermolao Barbaro, si recò in visita pastorale alle chiese della Valpolicella e si fermò, come prima tappa, a San Floriano, ai piedi della vallata, dove venne a sapere dal parroco, don Giovanni da Imola, quante ”cappelle” aveva sotto la sua giurisdizione prive di un sacerdote che le guidasse.

 

Tra le tante, su cui egli poteva contare, v’era quella di San Giovanni in Loffa, a quei tempi detta “sancti Johannis in villa Breoni”. Ma dopo quattro anni lo stesso presule, tornato in Valpolicella, modificò l’inesattezza della precedente visita dichiarando che tale cappella non era alle dipendenze da San Floriano, ma di San Marziale di Breonio e la elevò a parrocchia, insieme a quella più recente di Sant’Anna d’Alfaedo.

 

La tradizione vuole che San Giovanni in Loffa, già fin dal Trecento, avesse le funzioni di chiesa madre della Lessinia centro-occidentale; essa rappresenta uno dei tre baluardi più antichi della religiosità in Lessinia insieme alla Pieve di San Moro a San Mauro di Saline e all’oratorio di Sant’Antonio Abate a Vestenavecchia.

 

La chiesa si trova sul monte omonimo che, stando agli specialisti della toponomastica, significherebbe «fondi agricoli». Il nome risulta in un documento del 1014. 

Non è ancora stata ben stabilita la data della sua costruzione; infatti, pur risultando documentata, come s’è visto, fin dagli inizi del Quattrocento, reca incisa sopra la porta maggiore la data 1131, che sembrerebbe quella in cui fu edificata. Prima, nel piccolo pianoro a ridosso della cappella, vi sarebbe stata un’altra chiesa, che la tradizione vuole distrutta e riedificata; addirittura pare che si trattasse di un tempio pagano. Recenti sopralluoghi avrebbero stabilito, invece, la data del 1411 come la più sicura e, a convalida, si cita la frase inscritta sul travetto della porta laterale che recita: SIA NOTA E / VERO COMO / CRISTOFOLO / DI CRISTANEI / A FATO QUESTO USC(I)O. Cristoforo della casata Cristanei, di Sant’Anna d’Alfaedo, sarebbe però vissuto a cavallo del Cinquecento e avrebbe concorso solo all’edificazione della chiesa, per cui il problema rimane ancora aperto.

 

Essa era già presente nel 1200 su terreni di proprietà del monastero di San Zeno, poi passò sotto la giurisdizione della chiesa di San Marziale di Breonio. Come abbiamo scritto altrove nel 1524 un nobile di Verona, Guido Antonio Maffei, la scelse come sua tomba e un sarcofago ne custodisce le spoglie.

 

Durante la terribile pestilenza del 1600 San Giovanni in Loffa fu provvisoriamente trasformato in lazzaretto. Le vittime della peste, invece, furono sepolte su un’altura più a nord. Anche il Monte di San Giovanni in Loffa ha offerto numerosi reperti di un insediamento dell’Ètà del Ferro come tutta la zona di Sant’Anna, che è ricchissima di resti di abitazioni (castellieri) preistoriche.  

 

La chiesa è un bell’esemplare di architettura romanica con tetto a capriate in legno. All’interno si trovano tre altari: l’altare maggiore è dedicato al patrono, quello di destra alla Madonna del Carmine, quello di sinistra alla Santa Croce. Vi si trova anche una pala con i santi Giovanni Battista, Marziale e Urbano. All’esterno sul lato sinistro c’è il massiccio campanile quadrato, a torre tronca, con le bifore su ogni lato e una piccola canonica, nella quale vivevano, di volta in volta, degli eremiti. L’ultimo, soprannominato “El frate”, ma che si chiamava in realtà Angelo Zivelonghi, era nativo di Casarole, una località di Sant’Anna e i suoi discendenti sono ancora oggi chiamati “I Frati”.

 

Oggi San Giovanni in Loffa non è più aperta al pubblico, salvo che durante il periodo estivo, per accogliere una colonia di bambini e il giorno del Patrono (24 giugno). La chiusura è stata decretata perché essa è stata oggetto di numerosi atti vandalici e di saccheggi. Sono stati rubati il tabernacolo, un’acquasantiera in marmo, e addirittura il piatto che regge la testa di San Giovanni decollato che faceva parte di una scultura in legno e veniva data da baciare ai fedeli in varie occasioni.