Il territorio del
comune di San Mauro di Saline pur essendo il più piccolo di tutti i
comuni dell’area lessinica e di quella cimbra (Kmq 11,10) è annoverato
tra i primi che diedero vita alle comunità della “Montagna Alta del
Carbon”, cioè i 13 Comuni Veronesi. Il suo territorio a forma di
cuneo, come quella del comune di Erbezzo, è compreso tra la dorsale
del Monte San Moro, a mattina, e il Vajo della Gorla, un affluente del
torrente Mezzane, a sera; la punta più settentrionale coincide con la
contrada Viaverde di Velo Veronese a nord, mentre quella meridionale
si localizza a sud di contrada Circolari, nel più profondo della valle
suddetta. E’ stretto tra i comuni di Badia Calavena a mattina, Velo
Veronese a settentrione, Roveré Veronese a sera, Tregnago e Verona a
mezzodì.
La prima parte del
nome del paese viene da San Mauro, 32° vescovo di Verona. Secondo la
leggenda nel 615 egli avrebbe lasciato il seggio episcopale per
ritirarsi in un luogo solitario intorno a Saline (così era nota la
località), sul monte che poi prese il suo nome.
L’etimologia di
“Saline” è ardua. Secondo alcuni studiosi il nome sarebbe da
attribuirsi al verbo «salire», poiché, per raggiungere la pieve,
occorre percorrere un bel tratto di strada impegnativa in salita.
Secondo altri
sembra essergli derivata dalla presenza e dallo sfruttamento della
pietra “assalina”, cioè la pietra focaia, la selce, meglio nota nel
dialetto come folénda, che ebbe un’enorme diffusione dopo
l’invenzione della polvere da sparo perché sfruttata negli acciarini
dei fucili. Infatti l’abbondanza di selce ha fatto in modo che ancora
nel Paleolitico scavatori e forgiatori di armi di selce avessero
conoscenza e frequentassero per i loro commerci questo territorio.
Un’altra
interpretazione ipotizza che a San Mauro il Comune di Verona, che a
quei tempi ne aveva il monopolio, aveva costituito un deposito di
sale che vendeva alle popolazioni della Lessinia.
Sembra anche che la
zona di San Mauro sia stata abitata dai Longobardi che avrebbero
introdotto la venerazione per il santo; per cui «saline» può anche
significare «piccole salae», dove la «sala» era la sede dei
funzionari dell’esercito di quel governo.
Al periodo dell’età
del Bronzo risalgono i resti di un castelliere sul Monte Caro che
aveva il compito di controllo della famosa strada verso la Lessinia.
Gli storici, infatti, sono dell’opinione che l’importante “Via Cara” o
“Via Vacara”, come più tardi è stata denominata l’arteria perché vi
passavano le mandrie di vacche che si recavano al pascolo sui Lessini
e che partiva da San Pietro di Lavagno, esistesse già in periodo
romano.
Il nome di “Via
Cara” potrebbe essere stato anche l’appellativo con cui si indicava
una strada adatta al transito dei carri, quelli del sale, merce
sottoposta al razionamento e che veniva prelevato a Verona e venduto
alle comunità Cimbre; un’altra ipotesi vuole che il termine sia
un’abbreviazione desunta dal passaggio delle processioni.
Torniamo per un
attimo al centro del paese, a San Mauro, per parlare di un particolare
che, probabilmente, non è stato sempre convenientemente posto in luce.
A poca distanza dalla parrocchiale, in una valletta, in località
Ximpari (altro toponimo cimbro) si può vedere una caratteristica
piccola costruzione, bassa, con un arco d’accesso a un locale interno,
in cui scaturisce dell’acqua che viene condotta all’esterno dentro una
vasca più adatta per le lavandaie che per abbeverare gli animali. La
fonte ha una sua storia.
Il 4 luglio del
1699 il vescovo Gianfrancesco Barbarigo in visita pastorale, che fu
l’unica in Lessinia durante il suo mandato, arrivò a San Mauro.
Durante l’abituale ispezione meticolosa alla chiesa, come volevano le
disposizioni, si accorse che sopra il tabernacolo degli oli santi
c’era un’iscrizione che riferiva di una fonte miracolosa. A detta
degli abitanti essa era scaturita nei pressi della parrocchiale per
intercessione di San Mauro, vescovo veronese, quand’era ancora in vita
e viveva da eremita sul monte vicino detto di San Moro. Infatti la
leggenda raccontava che San Mauro doveva battezzare un convertito, ma
non essendoci acqua nelle vicinanze, con un miracolo fece scaturire la
nuova sorgente.
Il vescovo
Barbarigo, la visitò personalmente, la trovò in pessimo stato di
manutenzione e obbligò il rector e gli amministratori della
chiesa a ripararla e ad erigere un muro a protezione, perché non
entrassero le bestie e di costruire sul posto un capitello con
l’immagine di San Mauro che sta pregando.
|