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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
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La Val de l'oio Qualche anno fa presso la Biblioteca Civica di Verona ho avuto modo di rintracciare una vecchia cartolina illustrata, probabilmente disegnata dallo stesso mittente che doveva essere un bravo artista, e che riportava la figura di una antica stele in pietra (una particolare “colonnetta”, in altre parole). Sulla facciata illustrata egli scriveva, in margine al disegno, con parole di mano sua, la frase: “Dalla Val de l’oio”.
Incuriosito da quella scoperta, perché la zona di Roveré la conoscevo abbastanza bene ancora da ragazzino, quando andavo a far gli esercizi spirituali presso la Casa del Seminario, volli andar a vedere di che cosa si trattava e rendermi conto soprattutto dalla frase “Val de l’oio”.
In un prato molto ampio e rigoglioso, nella valletta che scende di fianco al paese di San Francesco, a due passi dalla contrada Sartori, ho trovato un pilastrino di pietra rossa, alto circa un metro e trenta, piantato nel terreno, con la base sbrecciata, dentro la quale si immagina che vi fosse stata una tavoletta in tufo, con delle figure, probabilmente quella dell’Ostensorio, dato lo scopo di quella memoria di pietra, andata perduta o malridotta e malconcia dal tempo e dal disinteresse dell’uomo. Sulla parte alta della facciata si leggeva questa epigrafe: QUI – TIMET – DEUM VIVET – INETERNU – QUESTA – PEZA – DE TERA – PAGA – FITO – TRE BAZIE – EMEZA – DE OLIO – A – SAN – NICOLÒ – DE ROVERE – DE VELO – DA LUMINAR – EL – CŘO – DE - XŘO (Chi teme Dio vivrà in eterno – Questa pezza di terra paga (di) affitto tre bacede e mezza di olio a San Niccolò de Roveré de Velo da illuminar il Corpo di Cristo).
In altre parole, nel 1498, data che si trova incisa in testa alla lapide, chi aveva preso in affitto questo campo di terreno era tenuto a versare come affitto alla Chiesa di San Niccolò di Roverè tre “bacéde” di olio (tra i 6 e i sette litri di olio) per tenere accesa la lampada davanti al tabernacolo. I fittavoli avranno mantenuto le promesse? E per quanto tempo?
Non per molto, perché durante la visita pastorale del 1677, mons. Sebastiano Pisani II, vescovo di Verona, chiese un rendiconto di quell’affitto. Gli abitanti della contrada Sartori, cioè i fittavoli del momento risposero al vescovo di essere pronti a soddisfare il debito accumulato negli anni passati, «…ma, poiché su quel terreno non si poteva raccogliere olio, chiesero di trasformare il debito in tanto denaro…». Ma, come risulta dai verbali successivi, rimase sul terreno, a prova sicura, la stele della “Val de l’oio”; il debito, invece, non fu mai più liquidato per intero. Oggi la stele è stata recuperata, restaurata e collocata nella piazza di San Francesco, mentre una copia è stata collocata anche nel suo posto originario.
San Francesco. Lapide.
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