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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie"

Piero Piazzola, Bepi Falezza

a cura di Anna Solati

 

fotografie di A. Scolari

 

 

Vestenavecchia

 

oratorio Sant’Antonio Abate

 

 

Nell’alta Val d’Alpone un cono vulcanico denominato “La Fratta” spicca tra le fronde di una vegetazione viva e rigogliosa e mette in evidenza, sulla vetta, la sagoma leggera e appartata della “Chiesa di Sant’Antonio Abate”, la più antica testimonianza dell’architettura religiosa della vallata. La sua costruzione, nella parte primitiva, risale al XII secolo e fu per un lungo periodo di tempo il centro religioso più importante e frequentato dalle popolazioni dell’intero territorio. Secondo gli studiosi il colle di Sant’Antonio in epoca preistorica sarebbe stato uno dei più importanti castellieri della vallata.

 

Nei tempi più antichi sembra che la chiesa di Sant’Antonio Abate facesse parte dell’organizzazione religiosa della diocesi veronese in continuità e in relazione con le altre unità monastiche già menzionate di San Pietro di Badia Calavena e di San Moro a San Mauro di Saline.

 

Poi la chiesa di Sant’Antonio accrebbe la sua autonomia e importanza; se ne ha testimonianza in un dipinto del 1582 di G. Dalla Corte, che si trova a San Giovanni Ilarione. In esso si nota molto evidente la presenza dell’abbazia di Sant’Antonio. La tradizione degli anziani poi conferma la notizia che «una volta tutti andavano a messa a «Sant’Antonio sulla Frata».

 

La prima chiesa, stando alle informazioni di un parroco «…fu ingrandita e allungata più del doppio dell’originale; aveva quattro altari di legno e muro, molte statue di santi, due quadri… sulle pareti dipinti e fatti della scrittura vecchia e nuova, un campanile con due campane…i muri screpolati e le pareti diroccate, corrotte ed erose le statue e tutto in disordine…».

 

Poi, nel Seicento, i vescovi in visita pastorale, ordinarono alla popolazione di restaurare la chiesa, di riparare i danni, di imbiancare le pareti. I lavori di ripulitura e di decontaminazione, dopo le varie pestilenze, portarono ad una parziale distruzione degli affreschi. Nel secolo appena passato, la Sovrintendenza ai Beni Architettonici iniziò e portò lodevolmente a termine il restauro con il rifacimento del tetto, il risanamento delle mura perimetrali, il recupero dei preziosi affreschi della parte absidale e dell’estradosso dell’arco.

 

Soprattutto sono da ricordare, sul frontone d’ingresso, le figure dell’Ecce Homo e, ai lati, l’Annunciazione e l’Ecce Ancilla Domini; sulla sinistra, invece, si impone la splendida Trinità, motivo questo che ricorre anche in altre chiese, come quelle di San Salvatore di Montecchia di Crosara e a San Giovanni in Fonte a Verona.

 

Oggi si raggiunge la cima della Frata percorrendo un sentiero che parte dalla base del monte e sale alla Cappella; esso è arricchito di capitelli di buona fattura, che allineano, su un lato le stazioni della Via Crucis e sull’altro i Misteri Dolorosi del Rosario.