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In Lessinia tra malghe, contrade e "memorie" Piero Piazzola, Bepi Falezza a cura di Anna Solati
fotografie di A. Scolari |
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La Via Vicentina La “Via Vicentina” ha una sua lunga storia; noi vorremmo farne qui un primo resoconto sulla scorta di documenti storici e un secondo esame prendendo in considerazione anche alcuni toponimi “cimbri” e non, che si sono mantenuti inalterati pur a distanza di secoli. Non sappiamo quando esattamente la strada in parola sia stata tracciata; sappiamo, invece, che Cangrande della Scala, per motivi di difesa e di tutela del territorio appartenente al suo dominio, ma anche per andare incontro alle necessità pratiche dei suoi sudditi, obbligati a fornire legname e altre materie prime, ne ordinò la sorveglianza e la buona conservazione.
Sappiamo che nel 1329, tra il 7 e il 13 luglio, su incarico del Della Scala, signore di Verona e di Vicenza, che aveva dato mandato a Baiardino Nogarola, podestà di Vicenza, di badare a stendere…in “publico istromento”, l’ubicazione e l’indicazione precisa dei termini confinari tra Verona e Vicenza, con l’aiuto del podestà stesso, i signori Giacomo Enditat e Pietro Dal Verme, cittadini di Verona, Pietro Sesso e Giacomo Da Porto, cittadini di Vicenza «... si recarono sui luoghi indicati per fare le divisioni, piantare i termini e metterne in possesso i detti comuni e gli Uomeni con patti scritti...». Partendo dalla «…Montagna detta de l’Alba, nelle pertinenze di Durlo, che confina con Campo-fontana, mediante la strada detta Via Vicentina, incominciando da Campo Dux (leggi: Campobrun), territorio trentino, continuando per detta via fino ad Iura ecclesiae Sanctae Margaritae di Durlo…».
Il resoconto si sofferma meticolosamente sulla definizione dei confini tra il territorio di Durlo e la parte occidentale e meridionale del Veronese, probabilmente perché era la zona che sarebbe potuta diventar oggetto di usurpazioni e di appropriazioni indebite. Convocati successivamente alcuni illustri cittadini di Vicenza a Torri di confine, venne emanata una lunga determinazione, nella quale appaiono anche le posizioni confinarie col Veronese, tra cui si accenna ai seguenti toponimi che ci interessano più da vicino: « ... Discendendo dalla detta Via e dalla detta località di Campileo (oggi contrada Campilger, ndr) verso la casa, o maso, dello spettabile cittadino di Verona Verità de Veritatibus, situato nella contrada del detto Campileo alla parte inferiore…si passa dentro la casa stessa…fino alla Valle dell’Orcho ... di lì poi fino al Cegno di S. Margarita». Vennero così fissati i confini «delle ville di Chiampo, Nogarole, San Pietro Mussolino, Crespadoro e Durlo». Ecco, pertanto, quale fu l’impianto stradale, rilevato dagli esperti della famosa via, detta anche “Cavalara”, che partiva da Durlo e arrivava a Campobrun.
Dopo tale località la strada continuava ugualmente, ma diventava di competenza del territorio trentino. Conserviamo copia di un disegno a mano del Settecento in cui si rileva il percorso della strada da Durlo a Campofontana e nel quale, chiaramente, viene evidenziata la scritta “Strada Vicentina”, dai confini di Durlo al Monte Fantalón di Campofontana.
Una foto aerea, poi, la rende evidente nel tratto della Montagna Alba. I quadrati mostrano due tappe della Via.
Campofontana - panoramica
Seguiamone, pertanto il percorso così come lo abbiamo ricostruito noi sulla scorta dei documenti e delle personali conoscenze del territorio: Crespadoro, Località Terrazza, Durlo, Contrada Campilger, Passo del Gioiche, Monte Spitz (Casarola), Monte Fantalon, Montagna Alba (Porto di Sotto e di Sopra), Scalette, Monte Gramolon, Fraselle, Passo Ristele, Monte Zevola, Passo Lora, Monte Plische, Campobrun, Passo Pertica. E, di qui, il sentiero proseguiva lungo la di Val Ronchi fino ad Ala di Trento, passando per Schincheri, Eccheli e Ronchi; una strada che solitamente era praticata dai contrabbandieri.
Ma non solo di buona manutenzione e di efficienza della strada parlava il decreto di Cangrande, ma anche dell’obbligo per i “Degani”, gli amministratori delle comunità citate, di «far buona custodia, sempre e a proprie spese, di giorno e di notte, in tempo di guerra…». Se Cangrande, dunque, aveva precisato l’impegno di far custodire la strada, è segno che la strada esisteva già da tempo e che essa non era stata fatta eseguire da lui. Uno studioso della Val di Chiampo, negli anni Cinquanta del secolo scorso, Bortolo Fracasso, ne fece uno studio particolareggiato sulla scorta dei reperti archeologici ancora visibili (pavimentazione stradale a base di lastroni, tipici delle antiche strade romane) facendola risalire, appunto, all’era romana, dimostrandone la presenza con considerazioni di tipo militare proprie delle regole romane di conquista, servizio di pattugliamento e difesa dei confini.
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