di Anna Solati
“I
‘a fato su ‘na russia”. E’
un nostro modo di dire, ma da dove nasce? Abbiate pazienza e vi racconto come è
nato, secondo me.
Gli
antichi romani quando decidevano di conquistare un territorio si facevano
accompagnare dai loro tecnici che tracciavano le strade. Esse erano larghe 12
metri e costituite da una carreggiata centrale con ai lati due
banchine. I loro nomi ricordavano i consoli o gli imperatori che le
avevano fatte costruire. Le legioni procedevano lungo le stesse e, a guerra
finita, le città conquistate diventavano punti strategici per proseguire verso
nuove mete. Le strade procedevano diritte, non conoscevano deviazioni, ponti
attraversavano fiumi, le colline venivano superate, sempre in linea retta.
Prima della conquista romana, Verona sorgeva sulla riva sinistra dell’ Adige, sul colle San Pietro ed era uno dei tanti castellieri della zona.
I romani ne fecero una città dentro l’ansa dell’Adige la valorizzarono come nodo stradale in cui si incrociavano tre vie importantissime: la via Claudia Augusta, la via Gallica e la via Postumia. La via Claudia Augusta metteva in comunicazione Modena con Trento. La via Gallica proveniva dalla Francia, passava per Torino e Milano e a Verona si collegava con le altre vie consolari.
La via Postumia congiungeva Genova con Aquileia passando per Cremona, Verona e
Vicenza. Ad Aquileia la Via Postumia cambiava nome e proseguiva verso Est.
Queste
strade romane sono state l’origine delle sventure del nostro territorio.
Qualsiasi invasore proveniente dall’Est o dal Nord doveva, per forza passare
per Verona.
Nel
402 Alarico sfuggì dal forte Verona al generale bizantino Stilicone.
Nel 452 forse a Peschiera o a Salionze, comunque vicino al Lago di Garda,
Attila, re degli Unni, proveniente dalla via Postumia, si incontrò con il papa
Leone I° e decise di ritornare sui suoi passi.
Nel
settembre del 489 tra San Michele e San Martino si svolse la battaglia tra
Odoacre, re degli Eruli, e Teodorico (quello del Carducci :” Sul castello di Verona…) re dei Goti.
E
così nel corso dei secoli lungo la via Postumia di eserciti ne passarono molti.
Danni ce ne furono fino ad un certo punto perché quando i nostri antenati
presagivano il passaggio dei soldati cercavano di occultarsi il più possibile
con la famiglia e le “robe”.
Pazientate
che stiamo arrivando alla nostra storia.
Siamo
nel 1796, l’alta Italia è divisa praticamente in tre parti: il Piemonte con
la monarchia Savoia, la Lombardia che appartiene all’Austria e il Veneto che
fa parte della Serenissima Repubblica di Venezia.
Questa
situazione riceve un violento scossone dall’esercito francese del generale
Napoleone Bonaparte che sconfitti piemontesi, austriaci e veneziani, trasforma
la Lombardia in Repubblica Cisalpina e, entrato nel Veneto insedia un comando
francese a Verona nei castelli Scaligero a destra dell’Adige, e in quelli di
San Pietro e di San Felice sulle colline.
Inizialmente
i rapporti tra gli occupanti e i veronesi vanno bene: i francesi avevano portato
“la libertà” e lasciato intatte le strutture di governo veneziane che
risalivano al 1400. Poi i veronesi si accorgono che devono mantenere un esercito
prepotente e costoso e, devoti da sempre alla Chiesa, non riescono ad accettare
dei “miscredenti” che insultano la loro religione.
Improvvisamente
il 17 Aprile, lunedì di Pasqua 1797, si ribellano e ne succedono di tutti i
colori. Sono le famose Pasque veronesi: durarono sette giorni anche perché
chiamati dal suono a stormo delle campane arrivarono volontari dalle campagne
vicine. Da entrambe le parti ci furono una quarantina di morti.
Napoleone
per giustificare il suo comportamento feroce dichiarò che i francesi uccisi
erano stati 400 per cui il sangue non poteva essere lavato che col sangue.
Per
salvare la città venne formata immediatamente una municipalità per trattare
con i francesi in quanto i rettori veneziani se l’erano svignata lasciando la
città a se stessa.
Napoleone
che, quando era entrato in Verona, aveva preteso il versamento di un milione e
mezzo di lire veneziane, in seguito alle Pasque veronesi obbligò il Monte di
Pietà a consegnargli tutti gli oggetti di valore e requisì l’argenteria di
tutte le chiese della città (candelabri, croci, ostensori…) che fece fondere
per incamerare metalli preziosi. Impose ai cittadini un prestito forzoso…a
fondo perduto e tassò i nobili con
cifre da tre a quindicimila ducati da versarsi entro 24 ore.
Poi
nell’ ottobre dello stesso anno con la pace di Campoformio la repubblica di
Venezia sparì ed il Veneto con un confine che passava da Lazise, Verona e
Legnago, proseguendo verso Est passò
all’Austria.
Poco
dopo Napoleone parte per l’Egitto per combattere contro gli inglesi e comincia
la nostra storia.
L’Austria
non si è mai rassegnata alla perdita della Lombardia e convince i suoi alleati
la Prussia ( che resterà un po’ defilata in questa storia) e la Russia che
parteciperà con un’intera armata, ad aiutarla a cacciare i francesi dalla
Lombardia.
Inizialmente
i combattimenti sono un po’ incerti ma il 26 marzo 1799 i generale russo
Alessandro Suvarov nominato Feldmaresciallo parte verso l’Italia con il suo
esercito passando naturalmente per il tracciato della via Postumia.
Ecco… arrivano i russi e non solo ufficiali e soldati ma al loro seguito: mogli, figli, servitù e …..la cavalleria cosacca, dal Don a San Martino !!!!
Dove
mettere tutta questa gente che poi dovrebbe dirigersi verso la Lombardia per
combattere ?
Non
nelle varie caserme di Verona perché ci si sono acquartierati i padroni di
casa: gli austriaci.
Prima
di tutto vengono requisiti i conventi della città compreso quello benedettino
dell’Abbazia di San Zeno e , nell’Ottobre del 1799, anche la residenza del
Vescovo. Il quale Vescovo che, imprigionato dopo le Pasque veronesi ed in
seguito liberato, era accorso ad accogliere festante prima l’arrivo degli
austriaci, poi quella del generale
Suvarov, in gran fretta ha di che pentirsi e si lamenta: “ ….di essere
sempre aggravato di alloggi, e specialmente con donne che portano delle
conseguenze e dei rapporti disdicevoli del suo Ministero…..”
Ben
più gravi sono gli inconvenienti nelle abitazioni private occupate dagli
ufficiali russi, dalle loro famiglie che gravavano sui bilanci dei poco
entusiasti ospitanti. L’armata che si dirigeva verso il fronte della Lombardia
ed era imponente.
Si
lamentava un oste del fatto che i russi mangiavano e bevevano nelle osterie e
poi non pagavano il conto “…se non con un mezzo segno della croce e un
graziosissimo inchino….”, e per la strade erano “… tanto cattivi che
saltavano al collo delle donne e, se potevano, sbregavano loro i monili e gli
orecchini”.
Ma
le zone più importanti di stanziamento russo sono in provincia, infatti un
documento ufficiale del 19 Aprile 1799 ordina:
“
Il Signor Comandante Generale Conte di Suvarov (ha) destinato di collocare il
bagaglio delle Truppe Russe nelle vicinanze di Verona …………..Perciò si
è scielto per depositario dei seguenti bagagli il luogo di San
Martino…………”
Prontamente
la deputazione Territoriale ( una specie di governo provvisorio) rendeva noto in
data 20 Aprile 1799 “alli Sindaco e Consiglieri
del Comune di S. Martin” quanto segue “ A vista della presente,
sotto vostra responsabilità, allestirete l’alloggio necessario per le
Imperiali Ausiliarie Truppe Russe che costì stazzioneranno , per invigilare ai
loro trasporti. Avvertite che non manchino a loro il necessario….”
Così
il sindaco di allora Pietro Gazzolato si trova assegnato l’incarico di
alloggiare 4215 cavalli ! per non parlare di chi deve occuparsene. Con mossa
astuta divide il male come può e ne rifila 1600 al Comune di Marcellise, 1015
al suo, il resto se lo divideranno i Comuni di Lavagno e di San Michele (in
campagna); nel maggio del 1799 vi si stanzierà anche “un non piccolo numero
di cavalleria cosacca “.
Anche
“….per le femmine e i figli de’
Russi militari “ era stato
assegnato l’alloggio nella Villa di San Martino “ situata a poca distanza
dalla città nella via che conduce a questa ….” Ma era chiaro che il paese
non poteva ospitare che una parte di queste persone che erano così fittamente
assembrate da impedire anche il
passaggio delle altre truppe che si dirigevano a ovest.
“
Li naturali abitanti “ erano costretti a “lasciare le proprie case
per cedere le stanze agli ospiti loro ed a procurarsi altrove un ricovero con
notabile pregiudizio delle campagne, e massima della coltivazione dei bachi da
seta” che costituiva in quella stagione l’occupazione principale ed era
l’attività più interessante della provincia.
Altro
grave danno derivava dalla mancanza di legna e di fieno che spingeva i russi ad
abbattere senza criterio gli alberi e ad invadere i prati danneggiandoli in modo
che in quell’anno non ci sarebbe stata speranza di raccolto.
Ulteriori
danni derivavano dalla somministrazione di “ legna, vari generi di vittuaria,
candelle ed altro senza consegnar mai verun pagamento…..”
Il
28 maggio l’armata partì per la Lombardia.
Il
generale Suvarov inseguì i francesi dalla Lombardia fino in Svizzera, poi il suo Zar, Paolo I,
accortosi che stava facendo solo l’interesse dell’Austria, richiamò tutti a
casa.
L’armata,
per fortuna, non ripassò più da qui.
Il
12 Giugno dello stesso anno,
con la velocità di tempi che non usavano computer, una perizia condotta con
soddisfazione delle parti stabilì il risarcimento per i danni subiti dalle
grandi famiglie del paese, esso fu pagato immediatamente!!!!
Le
campagne sconvolte e i poveracci che non ebbero riparazione per i loro
danni impiegarono anni per
riprendersi dal passaggio/sosta dei russi, unici che si erano accampati nel
nostro territorio nel corso dei secoli e solo per due mesi!!!!
Ecco
da dove deriva, secondo me, il detto essenzialmente veronese: I ‘a fato
su’ na russia.
N.B.
Gli errori ortografici nelle citazioni riportano testualmente i documenti.
Materiale
figurativo da: Conosci la tua provincia
Ed.
Cassa di Risparmio Vr, 1971
Citazioni
da: L’armata russa del generale Suvarov attraverso Verona (1799-1800).
Verona, Ed. “Vita Veronese”, Verona 1952