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Proverbi e modi di dire di casa mia
a cura di Anna Solati

 

"Il mattino ha l'oro in bocca" mi diceva mia madre quando era ora di alzarsi per andare a scuola. Non sono mai stata pigra quindi mi alzavo subito. Anzi quando ero più piccola correvo a vedere di prendere quel bell'oro del quale raccontavano anche  le storie delle fate.

 

E poi "Saco vudo non sta in pié", un proverbio che lei, italianofona piemontese, aveva fatto suo per cercare di spingermi a fare colazione. Mi metteva davanti la scodella con il caffelatte (cioè orzo e latte),  più che altro uno zuppone di pane imbevuto di quel disgustoso miscuglio di liquidi e tentava di farmelo accettare zuccherandolo fino quasi alla saturazione. E io, perché non mi tormentasse fino allo sfinimento come sapeva fare, riempivo quel famoso sacco.

 

Calcolato anche il fatto che "L'óvo vien dal béco". Intendeva dire che per essere in grado di fare bene una qualsiasi cosa (nella fattispecie "l'óvo") bisognava che entrasse un bel po' di cibo dal "béco" (nella fattispecie dalla bocca).

Si andò avanti così fino al giorno in cui, o ero ammalata, mi capitava spesso in quegli anni, o non so, svuotai il contenuto della scodella che avevo inghiottito  (ma il termine dialettale scudèla rende meglio il pastone che c'era dentro) dandole una dimostrazione "visiva" di quello che avevo trangugiato.

 

E' inflazionata la citazione delle Madeleines di Proust, anch'io ho le mie. Quando sento odore di cappuccino o similari mi prende una sensazione di sommovimento allo stomaco, di acidità in bocca….

Faccio questa premessa per far capire che la mia infanzia, e quella delle persone della mia generazione, è cresciuta a proverbi. A quei tempi citare un proverbio, ma anche un modo di dire, era normale nella conversazione della gente, ed era vissuto come un mezzo per confermare a se stessi l'esattezza del discorso, consolarsi per una situazione sgradevole,  accettare un'ingiustizia subita, prendere una decisione, fare previsioni per gli avvenimenti futuri.

Era il lessico di casa dei miei nonni paterni. Potevo star certa che ogni volta che c'era qualcosa che lasciava incerti, qualcuno, spesso mia nonna Amante, usciva con l'adatto proverbio  per troncare la discussione. Si poteva anche proseguire per un poco con altre argomentazioni, ma di solito il "detto" era tranchant. Uno era libero di fare quello che voleva, ma guai a lui se gli eventi gli davano torto. Sarebbe stato tutto un commentare con partecipe sofferenza, ma con una nascosta soddisfazione, perché in fondo non dispiaceva che il testardo avesse ricevuto una lezione, per non aver ascoltato la saggezza dei vecchi. "Èto visto te l'avea dito mi: chi prima no pensa, inutile sospira".

 

Gli altri nonni erano diversi, venivano dal Piemonte e tra loro comunicavano in modo sintetico. Mia nonna Marianna non aveva bisogno di tante parole per mettere in riga né il mite nonno Beniamino nè le sue figlie.

Mia madre, non ho mai capito perché, era invece una cultrice di questa saggezza popolare che, comunque, le servì sempre pochino. Era maestra nel citare i detti che riguardavano la salute e il coprirsi adeguatamente durante la stagione invernale che per lei arrivava fino a giugno. Nel farlo si riteneva autorizzata dal fatto di avere una figlia incarognita di tosse e mal di gola dall'inizio dell'autunno fino alla canicola estiva.

 

Quelli sul tempo me li ripeteva per mettermi in guardia dai pericoli derivanti dal cambiamento delle condizioni atmosferiche che avrebbero minacciato la mia salute.

Le servivano per quando cercavo di scappare a giocare. Guardava fuori dalla finestra e decideva del mio destino.

 

Cielo a pecorelle, acqua a catinelle.

Rosso di sera bel tempo si spera.

Rosso di mattina la pioggia si avvicina.

Aprile non ti scoprire, maggio vai adagio.

Sole di vetro aria di fessura conducono l'uomo alla sepoltura.

 

Mi incatenava a maglie, calze di lana, cuffie e quant'altro, fino a quando la temperatura si stabilizzava sui venticinque gradi.

Ma sugli effetti nefasti del sole ce n'era anche uno piemontese che lei diceva nel suo dialetto originario e che io traduco: "Chi vuol far morire la moglie la esponga al sole di Febbraio. Chi vuol fare morire il marito lo esponga al sole di Aprile". Perché poi? Boh….

 

I mali i vien a cari e i va via a once. Anche questo proverbio le serviva per tenermi accuratamente in casa fino a quando ci si era quasi dimenticati della malattia che avevo avuto.

 

Il medico pietoso fa la piaga puzzolente.  Il significato letterale era  facilmente comprensibile. Si riferiva nello specifico alla medicazione delle nostre ferite che a quel tempo veniva fatta in modo sbrigativo non essendo quasi mai particolarmente gravi. Anche per quelle più profonde ed estese "andare a farsi dare i punti" non era contemplato. L'Ospedale era una cosa troppo seria per 'na sbroiada'.

 

Per fortificare il nostro carattere ad accettare l'abbondante quantità di alcool denaturato che veniva passata col cotone sulla sbucciatura, a volte più un buco che una sbucciatura, fin dall'età della ragione ci raccontavano di Giovanni dalle Bande Nere che aveva tenuto acceso il lume mentre il cerusico gli amputava la gamba. Eroismo inutile visto che il poveretto era morto malgrado…..

 

L'acqua ossigenata era più piacevole perché  provocava una simpatica spuma biancastra che ribolliva e bruciava di meno, ma venne in uso verso la fine della mia infanzia nei primi anni '50. Però togliere la spuma era un altro paio di maniche…

 

Molto spesso la ferita veniva lasciata all'aria perché "la guarisse mèio se la ciapa aria". In casi più "profondi" si ricorreva a una fasciatura con la garza. E siccome di solito erano le ginocchia a farne le spese,  per un po' si correva, perché si correva comunque, con la gamba irrigidita.

 

Qualche anno dopo per superare questo inconveniente si cominciarono a usare le compresse di garza fermate da un cerotto. Era un cerotto telato che quando si toglieva lasciava sulla pelle le strisce nere della sostanza che lo faceva aderire tenacemente alla pelle. Erano arrivate anche la pomata e la polvere alla penicillina. Per mia esperienza personale inutili, anzi dannose. Dannose perché agivano come collante tra la crosta che si andava formando e la garza. Dopo un paio di giorni sulla superficie esterna della medicazione compariva una macchia di color ruggine e allora erano dolori, ma veramente. L'unico modo per togliere questo piastrone era quello di usare impacchi di acqua e sale caldi. Poi uno strappo deciso, e veniva via garza e crosta ed eravamo tornati al punto di prima con la ferita all'aria. Allora l'adulto decideva che tanto ormai…era meglio lasciare le cose così.

 

Allora un bambino saggio diceva tra se: "Occhio non vede, cuore non duole" e se si faceva male si impegnava fermamente a nasconderlo quando tornava a casa la sera.

 

Questo del medico era il proverbio preferito da mia madre,  non solo se c'era da medicarmi con alcol le ginocchia troppo spesso sanguinanti e ornate di terriccio, ma ancora di più per farmi bere l'olio di ricino, medicinale di elezione da somministrare per qualsiasi malattia.

 

Il suo uso massiccio nasceva dalla convinzione che qualsiasi malattia poteva avere origine proprio dal fatto che non "Si era andati di corpo" prima domanda che veniva fatta di fronte a un rialzo febbrile di qualsiasi entità. Perché "Mens sana in corpore sano" e con questo "Corpore sano" i vecchi sottintendevano che certe funzioni dovevano essere a posto per stare bene.

 

E mi tocca dire che forse non avevano tutti i torti. In fondo l'eliminazione delle tossine in quel modo può essere più utile di qualsiasi diavoleria inventata dall'industria farmaceutica.

Tornando all'olio in questione oserei dire che questo purgante pestifero è uno dei confini tra generazioni: i nati fino alla fine degli anni '40 che lo subirono, e le successive.

Mia madre, e penso tutte le mamme di allora, studiava come renderlo sopportabile. I consigli giravano, ma i risultati si rivelavano peggiori del male.

Un conto è tapparsi il naso e mandare giù in una sorsata quel cucchiaio o quel mezzo  bicchiere  di olio. Un altro mescolarlo con il limone o farlo diventare effervescente con il bicarbonato, o con il bicarbonato e il limone, o aggiungerci caffè, o zucchero, o zucchero e caffè, e poi farcelo bere. Il risultato era che la quantità di liquido aumentava potenziando il disgustoso retrogusto.

 

Poi l'industria si modernizzò e vennero messe in vendita perle di ricino, ma ormai era tardi e la decisione finalmente spettava al paziente che eventualmente sceglieva quella nuova strada. Restava, però, sotto sotto l'idea che quelle perle non avrebbero mai avuto lo stesso effetto dell'originale.

 

La frase veniva pronunciata anche quando, sempre come purgante, si doveva bere "l'erba sena", un infuso di foglie di Senna,  "l'erba sena", appunto.

Per prepararlo c'era da seguire tutto un procedimento.

Si prendeva una bella quantità di foglie (quante? a piacere) la si metteva in acqua dove restava tutta la notte. La mattina il beverone, almeno una scodella, era pronto. Si poteva zuccherare, ma era sconsigliato, l'effetto non sarebbe stato lo stesso.

Per quanto "l'erba sena" fosse sgradevole rispetto all'olio era deliziosa.

Meno gettonato era l'olio di vasellina, perché sentito come una specie di banale lubrificante.

 

Il proverbio era usato anche quando venivano applicate le "papéte de lin" ma di solito in quelle occasioni il paziente era KO e non in grado di difendersi perché aveva un febbrone da cavallo.

Il semi, o la farina di lino,  venivano fatti bollire per bene e poi, filtrati dall'acqua, andavano a costituire un impasto denso e bollente che avvolto in uno straccio si metteva sul torace del malato: ustioni assicurate. Ma sembra che la tosse si "smolàsse" ….

 

Altro uso scellerato del proverbio era per far bere il detestato olio di fegato di merluzzo. Questo olio era la medicina di elezione da somministrare ai bambini rachitici. Intere generazioni sotto il  fascismo avevano dovuto inghiottirlo, anzi era un merito che i vecchi riconoscevano a quel regime. Che dopo secoli di disinteresse per le masse lo stato si occupasse della salute dei bambini per farli crescere sani e forti era un fatto quasi incredibile, meraviglioso. A cosa sarebbero serviti quegli adulti in potenza forzuti, era un altro paio di maniche.

 

Anche nel dopoguerra eravamo pallidi, magri e con le gambe storte e quindi alla mattina tutti in fila a prendere il proprio cucchiaio.

Ma stranamente a me che sarei stata la candidata di elezione per quella cura, essa mi fu negata. Probabilmente perché avendolo assaggiato e trovato né buono né cattivo si ritenne inutile darmelo prediligendo le ben più sofisticate endovenose di calcio che mi facevano fare ogni quindici giorni.

Che incubo quei pomeriggi quando mi portavano dalla dottoressa (che a quei tempi era il primo medico donna di Verona) a farmi infilare quel maledetto ago nel braccio. E non era un aghetto indolore!!!!

 

Anche l'olio di fegato di  merluzzo dovette farsi da parte per lasciare il passo alle perle, ma anch'esse riscossero un magro successo

 

Lan lan el malado porta el san.

 

Altro proverbio sempre in bocca a mia madre a proposito della salute. Ma in questo caso si riferiva a lei e alla sua di salute. Lei odiava cordialmente andare dal medico e curarsi. Sarebbe stato troppo semplice. Per anni soffrì di un disturbo che, quando finalmente l'età mi permise di prendere l'iniziativa, con un piccolo intervento passò. Eppure si/ci aveva rovinato la vita abbastanza.

Essere malata ma tirare avanti comunque era un suo orgoglio, una bandiera contro quelli che fiorivano  mentre lei appassiva nel malessere.

 

I proverbi.

Nel corso della mia infanzia, come ho scritto più sopra, sono vissuta con persone che nelle conversazioni usavano normalmente i proverbi. Per darvene una dimostrazione basta dire  che i più di duecento che ho raccolto appartengono esclusivamente al mio lessico famigliare.

 

Adesso questa pratica, che era una specie di  ponte tra noi e le generazioni che ci avevano preceduti, è completamente andata in disuso. In un certo senso è diventata una dichiarazione di appartenenza a un'epoca che si sta allontanando vorticosamente sommersa dall'odioso mixer di inglese che ormai farcisce la nostra lingua.

 

Si potrebbe sorvolare se questo modo di parlare appartenesse solo alle giovani generazioni, che del resto della lingua anglosassone conoscono quasi solo i termini diciamo tecnologici, dato che, per il resto l'ignoranza delle lingue straniere è prerogativa nazionale. I politici si riempiono la bocca di Spending Revue, Job Act, Class Action, Privacy eccetera per non parlare in campo economico dove le operazioni bancarie ormai seguono un lessico personale.

 

"Ma parla come t'ha insegnà to mama"

 

direbbero saggiamente i nostri anziani che forse si potrebbero spingere anche a un:

 

Quando la merda la monta in scanno o che la spussa o che la fa danno.

 

Intendendo, con ciò, dire che un incapace che arriva "in alto" ai posti di comando come minimo provocherà contrasti e malumori, e io aggiungo, e  farà anche danni.

 

Non voglio dare nessun giudizio di merito su Spending RevueJob Act ….ma solo osservare che si tende ad accettare più facilmente programmi definiti con  una lingua straniera senza approfondire cosa essi significhino in concreto.

In campo finanziario poi si gioca sulla normale fiducia e timidezza del cittadino comune. Come si fa davanti a un articolo, o a un contratto, infarcito di temi specialistici, in inglese naturalmente, continuare a chiedere traduzione e spiegazione? Ci si fida e basta. Invece bisognerebbe affermare  con forza il già citato:

                                  

"Ma parla come t'ha insegnà tó mama" .

 

Perché, alla fine, sono proprio quelle paroline in un'altra lingua che ci lasceranno spiazzati.

 

Che oggi i proverbi siano usciti dal linguaggio comune me ne sono accorta a causa di un banale particolare.  Parlando con le mie nipotine fin che si trattava di: "Rosso di sera bel tempo si spera.", mi capivano perfettamente ma quando mi sono spinta a un: "Chi si fa pecora il lupo lo mangia" mi hanno guardata con un gran punto interrogativo sopra la testa: perché uno, con un po' di buonsenso doveva scegliere di diventare una pecora? Già come potevo spiegare loro questa distorsione mentale?

 

Allora ho dovuto cominciare la lunga storia. Mi avranno capita?

 

Qualche volta anche adesso le sorprendo a guardarmi un po' perplesse perché senza accorgermene faccio proprio come mia nonna Amante e credo che risolvere una situazione con un proverbio sia il sistema più chiaro. Un altro motivo è che io non parlo dialetto se non in quelle occasioni e loro, da bambine di oggi, non lo comprendono.

 

I proverbi sono la saggezza dei secoli. Il risultato dell'osservazione attenta di un fenomeno che un po' alla volta, ripetendosi, ha assunto il caratteri quasi di una legge. Chi li citava era talmente convinto della loro verità che se il detto falliva ne ricavava una pesante delusione.

 

Difficile non pensare che :"Amor di fratello, amor di coltello" non discenda dai biblici Caino e Abele, e che "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io" abbia anch'esso origini bibliche (Davide e Gionata, Gesù e Giuda ecc.). L'uomo nel tempo ha verificato che purtroppo proprio da chi ci sta più vicino dobbiamo aspettarci i tiri peggiori. Perché:"Il denaro è lo sterco del diavolo".

 

Il protagonista del mondo dei proverbi è quasi sempre  l'uomo comune, una persona onesta e laboriosa che ispirandosi a essi dovrebbe procedere sulla strada della perfezione messo in guardia dai trabocchetti che la sorte gli mette davanti.

 

La donna è vista come un essere di minor valore e che tende a combinare guai: "ne sa più del diavolo"  e a dare di se un'impressione ingannevole: "Scopa nuova scopa ben la casa".

Malgrado il maschilismo senza sottintesi di questi modi di dire io li ho sentiti quasi sempre solo in bocca di persone di sesso femminile.

La caratteristica di un proverbio è la sintesi fulminea di un avvenimento e una capacità immaginifica vivissima.

 

La vecchiaia ha la specialità di rimpiangere il passato, e anche i latini vedevano con divertita ironia i "Laudatores temporis acti". E allora, caro Orazio, sono vecchia anch'io  perché ho concluso che il mondo sarebbe migliore se facessimo come ci dicevano i proverbi.

 

Troverete proverbi sia in italiano che in dialetto. La scrittura di questi ultimi non sarà sempre corretta, perché in casa di mia mamma mi è sempre stato proibito di usarlo. Inoltre esso ha sfaccettature diverse perfino da frazione a frazione dello stesso paese. 

 

Ho cercato di scrivere quelli che conoscevo sperando che le mie nipotine leggano, meditino e, se possono, riescano a mettere in pratica.

Non se ne faranno niente? Pazienza. Spero allora che per loro non valga mai il proverbio:

 

Chi prima non pensa inutile sospira.

 

 

A buon intenditor poche parole.

A caval donato non si guarda in bocca.

Al cuor non si comanda.

A diese ani i è putei a sessanta i è sempre quei.

A l'osel ingordo ghe crepa el gosso.

A la volpe non ghe piasea l'ua perché no la podea rivarghe.

A mali estremi, estremi rimedi.

Amor di fratello amor di coltello.

A Nadal un passo de gal.

A nemico che fugge ponti d'oro.

A santa Lucia un passo de stria.

A siè ani i è putei a novanta i è sempre quei.

A tavola non si invecchia.

A un bon soldà ogni arma ghe fa.

Agosto, moglie mia non ti conosco.

Al contadino non far saper com'è buono il formaggio con le pere.

Ambasciator non porta pena.

Aprile dolce dormire.

Aprile non ti scoprire, maggio vai adagio.

 

Bacco Tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere.

Bandiera vecchia onor di capitano.

Brutto in fasse, belo in piazza.

Buon sangue non mente.

 

Can che abbaia, non morde.

Can scotà da l'acqua calda el ga paura de l'acqua freda.

Cane non mangia cane.

Capir ravano par naon.

Carne che se stira no val un besso la lira (peso).

Carta canta vilan dorme.

Chi ben comincia è a metà dell'opera.

Chi ciaciara no impasta fritole.

Chi dal lotto spera soccorso mette il pelo come un orso.

Chi di gallina nasce convien che in terra razzoli.

Chi di spada ferisce di spada perisce.

Chi di verde si veste della sua beltà troppo si fida.

Chi disprezza compra.

Chi è bugiardo è anche ladro.

Chi è in sospetto è in difetto.

Chi la dura la vince.

Chi la fa la aspetti.

Chi lascia la strada vecchia per la nuova prima o poi male si trova.

Chi muore giace, chi vive si dà pace.

Chi non ha il coraggio non vada alla guerra.

Chi non va bene per il re, non va bene neanche per la regina.

Chi non risica non rosica.

Chi prima non pensa, inutile sospira.

Chi rompe di vecchio paga di nuovo.

Chi rompe paga e i cocci sono suoi.

Chi semina vento raccoglie tempesta.

Chi si fa pecora il lupo lo mangia.

Chi si accontenta gode.

Chi si loda si imbroda.

Chi si somiglia si piglia.

Chi tace acconsente.

Chi tardi arriva, male alloggia.

Chi ti accarezza più di quel che suole o ti ha ingannato o ingannar ti vuole.

Chi troppo vuole nulla stringe.

Chi va al mulino si infarina.

Chi va col lupo impara a urlar.

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare.

Chi va piano va sano e va lontano.

Chi vive sperando muore cantando.

Chi vuole vada, chi non vuole mandi.

Cielo a pecorelle, acqua a catinelle.

Ci ga pan no ga denti, ci ga denti no ga pan.

Con el tempo e la paia matura le nespole.

Con i mati no gh'è pati

Con la candelora de l'inverno semo fora.

Corta l'è bela, longa la stufa.

 

Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io.

Da quei segnà da dio tre passi indrio.

Di chi tutto non sa far, non ti fidar.

Di notte tutti i gatti sono neri.

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

Dio li fa poi li accoppia.

Dio manda l'erbéta secondo la pegoréta.

Dio vede e provvede.

Done omeni el prete cria el diavolo tase el porta via.

Donna baffuta è sempre piaciuta.

Donna che muove l'anca o che lo è o che poco ci manca.

Donne e buoi dei paesi tuoi.

Donne e motori gioie e dolori.

Dopo i confetti son usciti i difetti.

 

E' la goccia che scava la roccia.

E' meglio bere che affogare.

E' nelle botti piccole che c'è il vino buono.

El dura da Nadal a Sastefano.

El primo gal che canta l'è quel che l'ha fato l'ovo.

 

Fare e disfare l'è tutto un lavorare.

Fin che la pecora bela la perde el bocon.

Fin che la bella è guardata la brutta è maritata.

 

Gallina vecchia fa buon brodo.

Gente allegra il ciel l'aiuta.

Gobba a levante luna calante, gobba a ponente luna crescente.

 

I gobi no sta ben gnanca in leto.

I mali i vien a cari e i va via a once.

I panni sporchi si lavano in famiglia.

I pifferi di montagna sono andati per suonare e son rimasti suonati.

Il buon giorno si vede dal mattino.

Il denaro è lo sterco del diavolo.

Il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Il mattino ha l'oro in bocca.

Il medico pietoso fa la piaga puzzolente.

Il primo gal che canta l'è quel che la fato l'ovo.

I sicamori vien 'na volta l'ano.

Il silenzio è d'oro.

Impara l'arte e mettila da parte.

 

L'abito non fa il monaco.

L'apparenza inganna.

L'appetito vien mangiando.

L'Epifania tute la feste la porta via.

L'erba cativa no la more mai.

L'erba voglio nasce solamente nel giardino del re.

L'occasione fa l'uomo ladro.

L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.

L'ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza.

L'ovo vien dal beco.

L'ozio è il padre di tutti i vizi.

L'uomo è cacciatore.

L'uomo propone e dio dispone.

La donna ne sa più del diavolo.

La fretta è pessima consigliera.

Lan lan el malado porta el san.

La gatta frettolosa fa i gattini ciechi.

La lingua batte dove il dente duole.

La notte porta consiglio.

La speranza è l'ultima a morire.

La volpe perde il pelo ma non il vizio.

Le bugie hanno le gambe corte.

Le persone felici non hanno storia.

Lontan dagli occhi, lontan dal cuore.

L'uomo è cacciatore.

 

Mal comune mezzo gaudio.

Male non fare, paura non avere.

Meglio far invidia che pietà.

Meglio tardi che mai.

Meglio un giorno da leone che cento da pecora.

Meglio un uovo oggi che una gallina domani.

Mejo un aseno vivo che un dotor morto.

Mogli e buoi dei paesi tuoi.

 

'Na bona mojer bisogna che la faga, che la tasa, che la staga in casa.

Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi.

Nel grande ci sta il piccolo.

Nemico che fugge buono per un'altra volta.

Ne uccide più la gola che la spada.

No se cava un ragno dal buso.

No se dise vaca mora se no ghe n'è un pel.

No se schersa col fogo.

Non bisogna fare il passo più lungo della gamba.

Non bisogna vendere la pelle dell'orso prima di averlo catturato.

Non c'è due senza tre.

Non c'è fumo senza arrosto.

Non c'è limite al peggio.

Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Non c'è sabato senza sole.

Non c'è un furbo, se uno non lo è di più.

Non date le vostre perle ai porci (dal Vangelo).

Non è tutto oro quello che luccica.

Non dir di me quel che non sai, prima pensa a te, poi di me dirai.

Non dire quattro fin che non ce l'hai nel sacco.

Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Non si può cavar sangue da una rapa.

Non svegliare el can che dorme.

Occhio non vede cuore non duole.

Ogni botte dà il vino che ha.

Ogni lavada l'è 'na strasada.

Ogni simile ama il suo simile.

 

Parla poco e ascolta assai e giammai non fallirai.

Per comparire bisogna soffrire.

Per far la frittata bisogna spacar i ovi.

Per i mati no gh'è pati.

Pesta pian ma el fa un bon colpo.

Pioggia d'agosto rinfresca il bosco.

Piove piovesina la gata la va in cantina.

Piuttosto di niente meglio piuttosto.

Presto e bene raro avviene.

Pugno di ferro in guanto di velluto.

 

Qua no se imbarca cuchi.

Quando el corpo se frusta l'anima se giusta.

Quando el sol tramonta i aseni ponta.

Quando il gatto manca i topi ballano.

Quando l'amore c'è la gamba la tira el piè.

Quando vien la candelora de l'inverno semo fora.

Quando il sol la neve indora, neve, neve, neve ancora.

Quando la merda la monta in scanno o che la spussa o che la fa danno.

Quel che nol strangola ingrassa.

 

Raglio d'asino non sale in cielo.

Rendere pan per focaccia.

Ride ben chi ride ultimo.

Rosso di mattina la pioggia si avvicina.

Rosso di sera bel tempo si spera.

 

San Benedetto la rondine sotto il tetto.

Saco vodo non sta in piè.

Sbagliando si impara.

Scherza coi fanti, ma lassa star i santi.

Scopa nuova scopa ben la casa.

Se la montagna non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna.

Se no piove su l'olivela, piove su la brasadèla.

Se son rose fioriranno.

Se stava meio quando l'andava peso.

Se tuti i basi fasesse busi, quanti musi sbusi.

Se tuti i bechi portasse un lampion, o che ciaro a che iluminasion.

Si dice il peccato, non il peccatore.

Sole di vetro, aria di fessura conduce l'uomo alla sepoltura.

Sotto la neve pane.

Sposa bagnata, sposa fortunata.

Spuaceti ciama fradeleti.

Suocera e nuora tempesta e gragnola.

 

Tanti galli in un pollaio non faranno mai giorno.

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.

Tra moglie e marito non mettere il dito.

Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare

Tre aprilanti quaranta somiglianti.

Tutti i lasciati son persi.

Tutti i nodi vengono al pettine.

 

Una ciliegia tira l'altra.

Una mano lava l'altra.

Una mela al giorno leva il medico di torno.

Una rondine non fa primavera.

Un bel gioco dura poco.

Un bel tacer non fu mai scritto.

Un cavaliere tra due dame fa la figura di un salame.

Un colpo al cerchio e uno alla botte.

Un colpo core el can e un colpo core el léoro.

Un monte e 'na val i fa un gualivo.

Uomo allegro il ciel l'aiuta.

 

Val più el prete con la serva che el prete da solo.

Vuto ovo galina e cul caldo.