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Antonio da Concoreggio

Un devoto benefattore del XV secolo della chiesa di San Martino Buon Albergo 

 

Scheda storica - Dott. Roberto Alloro

 

Navigando tra i documenti e le pergamene medievali conservate presso l’Archivio di Stato di Verona (e non mutuo a caso questo verbo dal linguaggio di internet), mi sono imbattuto in quelle relative ad Antonio figlio di Giacomo da Concoreggio, residente a Verona nella contrada di San Quirico, ed ho fatto un salto sulla sedia.

Il tuffo al cuore m’è venuto quando ho letto, tra le 13 facciate fitte di scrittura notarile che formano il testamento che egli dettò l’8 novembre 1428 (Archivio di Stato di Verona, Ufficio del Registro, Testamenti, m. 20 n. 195), il tenore di un lascito a favore della chiesa di San Martino Buon Albergo. Un lascito importante, di cui non avevo mai sentito parlare.

Scartabellando qua e là alla ricerca di conferme sull’eccezionalità della “scoperta”, mi sono dovuto però fare una ragione:  il nome di Antonio e della sua famiglia non è affatto sconosciuto a coloro che si interessano di cose sammartinesi, in virtù soprattutto delle consistenti proprietà fondiarie che i da Concoreggio vi detennero per un paio di secoli. Addirittura la stessa notizia del legato alla chiesa di San Martino non è una novità assoluta. La si può leggere, infatti, in un ampio e puntuale saggio di Pierpaolo Brugnoli (Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona (s. 4, 177, 2003, pp. 431-454) che prende le mosse dalle vicende della casa cittadina che fu di quella famiglia. Fugata l’euforia della primogenitura, rimane l’interesse della notizia in sé, senz’altro meritevole di essere rimarcata e posta nella giusta evidenza.

È l’8 novembre dell’anno 1428, appunto, e ci troviamo a Fumane, nel palazzo di Biagio Maffei. Il trentacinquenne Antonio da Concoreggio è ospite dell’amico, forse per sfuggire ad una epidemia di peste o forse perché si sta costruendo la nuova prestigiosa dimora in contrada San Quirico. Suo padre, Giacomo, è un drappiere, cioè un commerciante all’ingrosso dei panni di lana, ed ha uno dei redditi più alti di Verona. Anche Antonio, sposato con Sora e senza figli,  di professione fa il mercante. 

Dopo aver dato precise indicazioni sul luogo di sepoltura e sul funerale, da celebrarsi con grande pompa, il testatore dispone lasciti a favore del convento di San Giacomo del Grigliano, della moglie e del padre. Passa quindi alla parte per noi più interessante, nella quale si percepisce chiaramente il senso degli affari di Antonio e l’attenzione per la “roba” resa famosa dalla memorialistica mercantesca toscana del Trecento.

Subito dopo la sua morte i fedecommissari, ossia le tre persone di fiducia nominate nel testamento, dovranno redigere un inventario di tutte le mercanzie esistenti nel fondaco di sua proprietà, nella sua casa, in Venezia e in tutti gli altri luoghi, dei libri dei debiti e crediti spettanti alla mercanzia, i quali libri dovranno essere immediatamente bollati per evitare frodi. Poiché “fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio”, sua moglie ed ogni persona eventualmente in possesso delle chiavi del fondaco e dei libri dovranno consegnarli ai commissari, i quali dovranno prendere a salario un fattore buono e fedele che venda le mercanzie e riscuota i crediti. I ricavi vengano depositati come consiglierà la prudenza dei commissari. Segue un elenco di 20 legati, che dovranno essere eseguiti uno dopo l’altro, nell’ordine preciso in cui sono esposti, fino all’esaurimento del denaro. Il quarto favorisce la chiesa di San Martino Buon Albergo:

 

Item pro quarto legato reliquit et ordinavit quod emantur una seu plures peciae terrarum in partis Ulivedi sive Montorii sive Lavanei sive Marcerixii sive Colegnole prout et secundum quod melius videbitur infrascriptis suis commissariis, ex qua seu quibus peciis terrarum habeatur in totum decem bacetas olei de livelo omni anno et quod dictus fictus detur et assignetur et dari et assignari debeat ecclesie Sancti Marteni Bonalbergi et hoc pro tenendo semper accensam unam lampadam in dicta ecclesia die notuque ante Sanctissimum Corpus Christi. Et ultra hoc reliquit et legavit expendere debere de bonis ipsius testatoris libras quingentas denariorum Veronensium parvorum in reparatione et refformatione ecclesie predicte Sancti Marteni videlicet pro faciendo unam sacrasteam cum uno campanillem et unam domum pro habitacione presbiteri. Ita tamen quod si contingeret dictam expensam factam fuisse ante mortem ipsius testatoris pro ipso testatore seu per alios in faciendo et fabricando dictum laborerium, quod tunc presens legatum quingentarum librarum penitus evanescat. Si vero idem testator fabricari et laborari fecisset in dictis laboreriis et precium dictarum quingentarum librarum tempore vite sue in dictis laboreriis expendisset, voluit tunc et mandavit restum expendi in et pro dictis laboreriis faciendis usque ad illam summam quingentarum librarum denariorum per commissarios suos de quibus expensis, si eas faciet in totum vel in parte in vita sua, dixit velle tenere contum ordinate describendum in libris suis. Et si in totum idem testator expendisset pro dictis laboreriis dictas quingentas libras et assignasset dictum fictum dicte ecclesie tunc presens legatum cassum irritum et inane fore mandavit.

 

Antonio da Concoreggio, dunque, dà disposizione ai suoi commissari perché acquistino dei terreni a Olivè, Montorio, Lavagno, Marcellise o Colognola e ne assegnino il canone annuo di locazione, pari a 10 bacede di olio, alla chiesa di San Martino Buon Albergo per tenere una lampada votiva sempre accesa davanti all’Eucarestia. Dispone inoltre che 500 lire di denari veronesi piccoli ricavati dalla sua eredità vengano destinati alla «riparazione e ricostruzione» della chiesa da realizzarsi mediante la «fabbricazione di una sacrestia con campanile e una casa per l’abitazione del prete». Seguono clausole per l’annullamento o la riduzione del lascito qualora il testatore fosse riuscito a realizzare da vivo l’intero legato o parte di esso.

Negli anni a seguire Antonio da Concoreggio dettò almeno altri due testamenti, entrambi tuttora esistenti all’Archivio di Stato di Verona: uno il 28 settembre 1454 (m. 46 n. 99) e l’altro il 31 dicembre 1464 (m. 56 n. 152), “corretto”, quest’ultimo, con due codicilli rispettivamente dell’1 e del 5 febbraio 1465 (m. 57 nn. 13 e 17). Scorrendo l’elenco dei beni immobili che vi sono citati, ben comprendiamo il suo interessamento per la zona di San Martino Buon Albergo, trovandovisi notizia delle numerose e variegate proprietà che egli possedeva sui colli di Olivè, Marcellise e nel territorio nella Campanea minor sammartinese: case, stalle, campi, frutteti, pascoli, bestiame, una cartiera, la torre del Busolo...

In nessuno di tali atti, però, si fa più alcuna menzione del lascito alla chiesa di San Martino, né per quanto riguarda il mantenimento della lampada votiva né per la fabbrica della sacrestia, del campanile e della canonica. Era forse scemata, nel frattempo, la devozione del testatore per il tempio in riva al Fibbio? Oppure aveva già fatto erigere quello che aveva promesso? Non lo sappiamo. La notizia, tuttavia, è interessante, perché la parte inferiore del campanile attuale è quattrocentesca, così come allo stesso periodo datava la sacrestia demolita alla metà del secolo scorso. Forse le ultime vestigia della munificenza di Antonio da Concoreggio o di altri anonimi benefattori di cui egli prospetta, anche solo come eventualità, l’intervento.

 

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