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Chiesa di San Martino vescovo e piazza del Popolo

11/1/2004 - Foto A. Scolari

 

Scheda storica - Arch. Sergio Spiazzi.

 

Chiesa di San Martino Vescovo di Tours.

 

Chi viene da Verona incontra la chiesa di S. Martino B. A. tra gli alberi centenari dei "giardinetti", disposta scenograficamente a chiudere il largo viale acciottolato "a greca bicroma" che termina davanti al sagrato, con il cerchio perfetto della rosa dei venti.

Correva l'anno MDCCCXX quando con "... l'elemosina volontaria dei parrocchiani (fu) costruito lo stradone di fronte alla chiesa parrocchiale ... " ricorda il parroco Giuseppe Maria Gilardoni "... unitamente alle due stradelle laterali, una lungo la casa al muro parrocchiale; l'altra lungo il cimitero con i profili di pietra con l'ornamento di 24 colonnette di pietra le quali furono fatte fare da alcune particolari persone e costarono ciascheduna 19 lunghi (denari)...".

La facciata della chiesa, dedicata a San Martino Vescovo di Tours, è d'impostazione classica (di quella semplificazione del barocco che il Veneto e Verona sono testimoni nel XVIII secolo) e suddivisa in due fasce orizzontali, con un frontone triangolare che conclude il prospetto, il quale è suddiviso verticalmente in tre parti, con lesene tuscaniche in basso ed ioniche in alto.

Nella zona centrale, secondo un percorso dal basso verso  l'alto, troviamo il portale d'ingresso con soprastante il timpano curvo spezzato, contenente in una nicchia la statuetta di S. Martino; in alto, al centro, una finestratura rettangolare sostiene l'ovale con l'iscrizione" D.O.M. - DESIDERIUM - PAUPERUM - EXAUDIVIT - DOMINUS. 1744"; al di sopra troviamo il frontone, mentre nel timpano è posto l'orologio, inserito alla fine dell'Ottocento in sostituzione di quello ormai vetusto del campanile quattrocentesco.

A destra del prospetto principale si erge l'oratorio, costruito nel 1891, in onore della Vergine Maria, di S. Antonio e di S. Luigi. Costruito in stile neoromanico con facciata a salienti, si dispone a metà altezza dell'edificio principale. Al centro la porta d'ingresso si conclude in alto con una finestra a mezzaluna, mentre due finestre slanciate si dispongono ai lati.

In alto, al centro, un cartiglio rettangolare conteneva le scritte dedicatorie (D.O.M. alla Vergine, a S. Antonio e S. Luigi), mentre in alto un finto rosone conclude il prospetto (in alcune cartoline dei primi anni del novecento si notano le pitture che dovevano simulare una vetrata floreale).

A sinistra la casa parrocchiale costruita in due riprese (un tempo nel prospetto interno sul cortile si leggeva la data del 1781). Nella mappa del 1771 del Fabbri si notano gli edifici parrocchiali già edificati accanto all'edificio ecclesiastico appena ampliato. Lo Zannandreis ricorda che "... nella casa del parroco di S. Martino B.A. vi sieno due stanze del Parolari dipinte, da annoverarsi fra le opere sue migliori”. Pietro Parolari nasce a Verona, nella contrada di S. Maria in Organo, il 14 luglio 1738 e muore il 29 dicembre del 1811 a 73 anni.

Gli affreschi quindi possiamo datarli attorno al 1770-'75, anni probabilmente di completamento dei lavori effettuati nella casa parrocchiale durante la reggenza di don Giovanni Mazzi.

All'interno la chiesa si dispone ad un'unica navata, con volta ribassata, secondo le indicazioni del Concilio di Trento. La chiesa viene ampliata nel dopoguerra, tra il 1945 e il 1954 per volere di don Egidio Peroni, nella forma attuale a croce latina con transetto, presbiterio rialzato e tre absidi. Nella parte settecentesca troviamo sei altari in forma barocca con al centro il vecchio pulpito in legno.

Tra gli altari spicca il primo a destra, con la statua di Sant'Antonio da Padova eretto per volere della confraternita nel 1696.

Continuando nella descrizione degli altari troviamo nel secondo di destra, al centro della navata, una pala dipinta da Carlo Zorzi (1823-1868). Di fronte, nel secondo altare di sinistra, si trova la famosa pala di Wenceslao Huberti, rappresentante "Il transito di S. Giuseppe" (I814), opera praticamente prima ed incompiuta del giovane pittore (in alto a destra si trova la parte scura non finita).

Il tema trattato non è comune da un punto di vista iconografico. La pala è costruita secondo il tradizionale schema piramidale anche se il dato volumetrico è poco marcato. Diego Zannandreis nelle "Vite" racconta in modo appassionato la breve esistenza di Wenceslao e della tela dipinta "... volle Iddio che l'ultima fosse, poiché infermatosi con piccola febbre dapprima, si manifestò quindi in lui un attacco di polmone ed una tisi perfetta". Muore a 23 anni, la notte del 15 aprile dell'anno 1815, lasciando oltre al dipinto suddetto una tavola con "Medea e Giasone ...” e “... un catafalco da morti, con emblemi allusivi al lugubre fine a cui serve, che incontrò il comune aggradimento" .

Sulle pilastrature o lesene che scompartiscono le pareti, troviamo la "Via Crucis", opera pregevole di Romolo Nicolis, autore anche dell' ''Annunciazione'', posta nell'arco trionfale e della serie dei dodici apostoli, in alto, lungo la navata ed il transetto, oltre alla tela conservata nell'oratorio ottocentesco dedicata alla "Madonna del Rosario coi Ss. Domenico e Caterina da Siena". Nello stesso oratorio è conservata una tela dedicata a S. Antonio di Padova, proveniente dall'antico altare di destra della confraternita di S. Antonio della chiesa quattrocentesca, dipinto da autore ignoto in due riprese per volere di Bartolomeo Salatius nel 1611 e di G. B. Colosimo nel 1620, per grazia ricevuta, con storie del santo di Padova.

Nel presbiterio rialzato, troviamo l'altare seicentesco, traslato in quella posizione ed arricchito, con aggiunte laterali, per la nuova collocazione, dopo l'ampliamento del dopoguerra. Rognini lo descrive come: "Notevole l'altare maggiore l’antipendio di forme lineari, a tre specchi che presenta in quello centrale un intarsio marmoreo a motivi quadrilobi di verde antico e croce greca. Elegante anche il tabernacolo a tempietto, poggiante su alto zoccolo, con colonnine in marmo rosso di Francia e bianco di Carrara nel doppio coronamento".

Disposto verso i fedeli troviamo il nuovo altare, voluto da don Egidio Peroni e disegnato dal sottoscritto nel 1971, in seguito alle nuove disposizioni celebrative della S. Messa in italiano dettate dal Concilio Vaticano II.

 

Dietro l'altare, al centro dell'organo, restaurato da Bartolomeo Formentelli e collocato nel 1964 in quella posizione (prima dell'ampliamento del dopoguerra si trovava sopra l'entrata principale), si trova la pala dedicata a S. Martino posto al centro, tra due santi, mentre in alto si trova la figura di Cristo tra la Madonna e S. Giuseppe. Il Lanceni nel 1720 indica tale opera "... derivata dalla scuola Brusazorzi", con S. Martino "... nel mezzo ai ss. Bartolomeo e Francesco".

Luigi Simeoni nel 1909 in "La provincia di Verona" scrive: "Nel coro la pala con Cristo la Madonna e S. Giuseppe in alto, Francesco, Martino e Domenico in basso è bella opera dell'Ottino".

A parte l'errore del Lanceni che riconosce S. Bartolomeo al posto di S. Domenico, è interessante capire se l'opera è veramente attribuibile a Pasquale Ottino (1570-1630) o ad un pittore contemporaneo come l'Orbetto, morto nel 1650 (entrambi allievi del Brusazorzi morto nel 1605), visto che nella prima visita pastorale del 1640 il Cozza non cita la tela, ma solo nella sua seconda visita pastorale del 1648.

Diego Zannandreis nelle sue "Vite" dedica all'Ottino diverso spazio. Lo pone come allievo del Brusazorzi, ma nell'elenco delle sue opere non risulta quella di S. Martino, anche se ricorda diverse pale d'altare della provincia veronese. Lo stesso vale per Alessandro Turchi detto l'Orbetto. Da ricordare che lo Zannandreis utilizza come fonti il Lanceni e il Dal Pozzo. Luciano Rognini a pag. 191 di "San Martino Buon Albergo - Una comunità tra collina e pianura", suggerisce il nome di Felice Brusazorzi o comunque di un pittore della sua cerchia.

Nel catino absidale si trova il grande dipinto del "Buon Pastore" eseguito a tempera nel 1963 da Giuseppe Resi (Ronco all'Adige 1904- Verona 1974), che nell'occasione dipinge tutta la volta della chiesa con decorazioni a cassettoni quadrati ed esagonali, in gran parte ricoperti durante il pesante restauro degli anni novanta, che ha tolto la leggerezza originaria al "Buon Pastore". Il Resi lascia innumerevoli dipinti sacri e profani, soprattutto di grandi dimensioni, in numerose chiese del Veronese e del Mantovano (vedi anche la chiesa di Ferrazze).

 

Ai lati del presbiterio e nelle due absidi del transetto si trovano quattro grandi tele raffiguranti alcuni miracoli di S. Francesco d'Assisi, della metà del XVIII secolo, provenienti dall'oratorio di S. Francesco che si trovava in Piazza del Popolo, costruito nel 1730, soppresso nel 1806 sotto Napoleone e demolito, come ricorda la lapide, nel 1837. I temi raffigurati, secondo Luciano Rognini sono: "La vergine intercede presso il Cristo Risorto in favore del santo", "Francesco implora la Madonna ed il Bambino per le Anime del Purgatorio", "Il Santo davanti al cardinale Ugolino" e "L'approvazione della sua Regola da parte di papa Innocenzo IlI".

A destra del presbiterio si sviluppano alcuni ambienti, tra cui la sacrestia, costruita nel 1862 ed il campanile della prima metà del XV secolo, elemento centrale e perno del complesso parrocchiale. A sinistra del presbiterio una piccola cappella costruita insieme all'ampliamento della chiesa tra il 1945 ed il 1954.

Nell'anno 801 d.C. esisteva già una prima struttura religiosa, ampliata probabilmente nel corso del XV secolo. La conferma è data dall'analisi delle parti murarie del campanile, unica parte sopravvissuta ai successivi ampliamenti del complesso parrocchiale.

La parte più antica del campanile, quella originaria, è incapsulata all'interno, come se ad un certo punto il primitivo campanile fosse crollato o si fosse deciso di costruire un campanile più alto e quindi con un basamento almeno il doppio di quello originario, per adattarlo ad un edificio religioso più ampio, adatto ad una comunità in crescita sulla spinta industriale ed agricola della zona agli inizi del XV secolo.

All'interno della cella (ml. 1.74x1.83), per i primi 5-6 metri d'altezza, si trova un paramento in mattoni disposti regolarmente per uno spessore di cm. 50 circa, con a sud una finestra romanica archivoltata che in origine dava all'esterno (tamponata nel XV secolo in seguito alla ricostruzione del campanile), mentre per la parte esterna al muro originario (per altri 50 cm. di spessore) e la parte superiore, la costruzione avviene in modo approssimativo, come se fosse stato usato materiale di risulta proveniente dallo stesso campanile crollato.

Il Simeoni nel 1909, nella sua guida del Veronese, afferma che la parrocchiale sia stata rinnovata nella prima metà del XV secolo "... e ne rimangono ancora l'abside quadrata (distrutta nell'ampliamento del dopoguerra) ... e il campanile colla cella campanaria a bifore sostenute da colonne e pulvini ambedue decorate da cornici di archetti accavalciati formando arco acuto".

Il campanile quindi è l'unico elemento originario rimasto, a cardine dell'intero complesso ecclesiastico. Alto 25 metri circa si dispone su sei piani. In alto si trovano sei campane da concerto datate 1899, di cui cinque della ditta Cavadini, che vanno da un diametro di 59 ad un diametro di 100 cm. della campana più grande del peso 570 kg.

Al piano terra del campanile si trova una lapide scritta in latino riposta in passato in quel luogo prima dell'ampliamento del 1744, a memoria della sepoltura di don Ignazio Seronio, Dottore in Sacra Teologia, Protonotario Apostolico, Patrizio e Arciprete della città di "Bozuli" ed Emerito Vicario Foraneo nell'Inquisizione di S. Pietro. Tale don Ignazio, mentre infuria una guerra nel suo paese, si rifugia a San Martino dove muore, pianto da tutti, il giorno 6 dicembre 1702 a soli 41 anni.

All'esterno del campanile, in una nicchia, si trova la statua antica della Madonna seduta, con in grembo Gesù Bambino che tiene nella mano destra un uccellino. Tale scultura è la più antica e la più preziosa opera d'arte conservata nella chiesa di San Martino. La statua policroma si caratterizza per la solida volumetria dell'insieme, per l'espressione irreale dei due personaggi e per la forte tensione strutturale.

Annotazioni popolari, come l'uccellino che becca il dito a Gesù, la borchia del mantello ed il cinturone attorno alla vita, si contrappongono ad una certa abilità nel proporre il panneggio e l'acconciatura dei capelli. Lo Stegagno ricorda che "Una leggenda voleva che se la Madonna fosse rimossa sarebbero accadute gravi calamità".

Si possono fare delle ipotesi sulla provenienza e sull'epoca di realizzazione della statua collegandola con l'esistenza fin dal XII secolo della chiesa di S. Maria in Fibbio e dell'altare dedicato a S. Maria Antica ricordato nella visita pastorale del 1532 effettuata dal Giberti.

La posizione se originaria, sulla parete del campanile, la collocherebbe alla destra dell'antica abside quadrata quattrocentesca e posta in quella nicchia durante l'ampliamento del 1744 della chiesa, proveniente probabilmente dall'altare antico dedicato alla Madonna (che si trovava a destra dell'antica navata quattrocentesca come visibile nella pianta del 1633), demolito per far posto alla nuova navata della chiesa.

Si può ipotizzare una datazione tra il XIII e XIV secolo e collegata con la nuova cultura occidentale, priva di bizantinismi, sulla scia dell'Antelami (e scultore che opera tra il XII e XIII secolo al Duomo e al Battistero di Parma) che contribuisce alla diffusione nella Padania di una scultura concreta, severa e d'impostazione tardo classica.

Sotto la pavimentazione della navata centrale si trovano alcune tombe, tra cui quella centrale dove si ricorda la sepoltura del parroco don Giovanni Mazzi: "Ioannis Mazzi - Rectore TempIo aede pauperibus-restituit M. - Vixit An. LXVIII - Obiit Die X jan. MDCCLXL" e quella di destra dove sono sepolti, in una camera archivoltata, abbastanza grande, i vecchi confratelli della società di S. Antonio, probabilmente fino agli inizi del XIX secolo.

La notte del 25 maggio 1848 un fulmine colpisce la cuspide del campanile, lesionando la punta che crolla, rovinando parte della cella campanaria. L'ing. G. Massoni che viene incaricato dal comune di S. Martino ad eseguire il progetto di restauro del campanile, presenta il 10 giugno 1855 la relazione con la descrizione delle opere da eseguire: "Sarà proceduto alla ricostruzione della cupola nella forma a cono retto coll'asse, od apotema avente l'altezza di m 4.67 e col raggio interno al cerchio di base di m 1.325 ... saranno impiegati mattoni di cotto appositamente sagomati come i vecchi ... dopo costruita la cupola saranno le linee di congiunzione esterne dei vari corsi delle pietre cotte stuccate con mastice composto di calce e polvere di mattone, internando il cemento anche nei più piccoli interstizi e lisciandolo colla cazzuola onde riesca brillante, mentre la superficie curva interna sarà intonacata a cemento di calce e sabbia".

Una descrizione delle opere da eseguirsi particolarmente precisa da far invidia agli attuali appalti pubblici. "Costruita la cupola nella parte a cotto, sul vertice sarà collocato il cono di pietra tuffo che deve servire di base alla croce di ferro nell'altezza di m 1.00.

La pietra sarà delle cave di Lavagno e sarà ridotta alle precise forme del tipo, e di quello precedente abbattuto dal fulmine, infliggendo nella sfera di culmine la croce preesistente, come verrà all'atto pratico indicato dal'ing. Direttore" .

Oltre alla cupola il fulmine provoca danni ad uno dei quattro pinnacoli angolari come mostra il disegno allegato alla relazione insieme ad una lastra angolare del cornicione che viene sostituita.

Con l'occasione tutte le parti in legno della torre campanaria vengono sostituite, comprese le scale di collegamento ai vari piani intermedi. Il capitolo tredicesimo dell'appalto prevede che "i materiali da usarsi saranno delle migliori qualità possibile senza difetti, e quelli di cotto, nonché la calce, delle fornaci Parisi di Belfior di Porcile, i latterizi da usarsi nella cupola dovranno essere appositamente sagomati; le pietre di tuffo delle cave di Lavagno, la sabbia della cava Cimitero ed anche d'Adige, spettando la condotta ai Parrocchiani ... " .

Ai parrocchiani viene accollato anche il trasporto del materiale proveniente dalle demolizioni da trasferirsi nella discarica detta "del Cimitero".

Come si vede una descrizione certosina delle opere, che vengono finanziate dal Comune di S. Martino ed eseguite tra il 1856 ed il 1859. Nel 1859 viene posto sul campanile anche il parafulmine, mentre tra il 1885 ed il 1889 viene collocato sul campanile l'orologio con il quadrante sul fronte della chiesa. Si hanno notizie di restauri alla chiesa tra il 1902 ed il 1913 eseguiti da Angelo Gottardi.

Tra il 1884 ed il 1889 si definisce il giardino della piazza davanti alla chiesa, mentre l'amministrazione cede una piccola area a Banco, verso la statale, sul sedime del vecchio cimitero prenapoleonico, dove viene eretto l'0ratorio (1891) e completata nel 1895 la cancellata a fianco.

 

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