di
Sergio Spiazzi
Il
Fibbio: storia di un fiume.
Nel
1904 il Sormani - Moretti nella sua voluminosa opera dedicata alla provincia di
Verona, descrive il Fibbio come un fiume perenne avente le sorgenti in Montorio
e derivanti dalle prealpi.
La
sua lunghezza - precisa lo storico - è di 15 km. e si congiunge all'Antanello
(poi nel Canale SAVA), prima di affluire nell'Adige, con una larghezza normale
di m. 7 (massima di m. 10 e minima di m. 5), mentre la sua portata varia da un
massimo di 6 mc al secondo ed un minimo di 3 mc e viene usato per animare
opifici e per irrigare.
In
origine il Fibbio doveva essere un fiume di portata sicuramente maggiore e con
un letto ben più ampio.
Infatti
se consideriamo che le numerose derivazioni di fossati per irrigazione
provenienti dal Fibbio - Fossa Rosella compresa sono stati costruiti tra il XII
e il XVII secolo, possiamo affermare che in precedenza il fiume doveva essere
alquanto impetuoso e pericoloso.
Fin dall'epoca romana il fiume era sfruttato da un punto di vista economico. Da esso si traeva perfino l'acqua potabile per la città di Verona e Montorio; con i suoi laghetti e sorgenti, doveva rappresentare per i cittadini romani un luogo di amenità e di delizie.
L'economia
della zona si sviluppò in gran parte lungo il corso del Fibbio (naturalmente
dopo il mille quando la città di Verona si scosse dal torpore della storia),
che divenne il fiume industriale più importante del veronese.
Il
corso d'acqua doveva essere molto pescoso se nel 995 Ottone III donava al
Monastero di S. Zeno il distretto del Castello di Montorio e la pesca nel Fibbio
" .... districtus castelli Monte Tauri vocati et piscationem fluvii qui
dictus est vulgariter Flubius ...”, donazione che veniva confermata al
monastero nel 1014 dall'imperatore Enrico II " ... in monte Tauri curtem
unam cum molendinij ... " e in cui si sottolineava la presenza sul fiume
dei molini.
Nel
1180 Gerardo, abate del monastero di S. Zeno, investe a titolo feudale Maestro
Otone, Widone e Widoto causidico “... de acqua flubii a ponte scti Martini
Boni Albergi ...”.
Il
diritto di usare l'acqua del Fibbio divenne fonte di ricchezza, soprattutto per
i diritti di sfruttamento delle acque per uso industriale.
Il
primo documento storico che nomina i molini è del 920, dove Garilberto
suddiacono della Chiesa Veronese promette a Andelberto, abate di S. Zeno,
un'annua corresponsione livellaria per un molino concessagli " ... in valle
Fontense in aqua quae dicitur squarado ... (Montorio)”.
I
documenti del XII secolo sono numerosi e stanno ad indicare un intensificarsi di
costruzioni industriali lungo il fiume che si vede arricchito, oltre che di
molini, della presenza di " ... valcatoribus ... (dal longobardo walkan
"rotolare")" ossia di gualchiere o folloni, che servivano per
rassodare o pressare le pelli ed i tessuti (praticamente le antiche concerie e
tintorie).
Gli
opifici vennero costruiti lungo il Fibbio sfruttando soprattutto le cadute
naturali e si disposero, da Olivé fino a Formighé, creando numerosi nuclei
industriali che con il tempo divennero veri e propri borghi edilizi.
I
nomi di questi luoghi, alcuni dimenticati, testimoniano ancora l'antica presenza
degli opifici come: Ferrazze, Molinello, Quattroruote, Pignatte e Maglio.
Il Fibbio nel XII e XIII secolo
Nel
corso del XII e XIII secolo troviamo diversi documenti che si riferiscono a
locazioni di molini sul Fibbio o terre poste nelle vicinanze che dovevano essere
alquanto ricercate per la loro fertilità.
Le
proprietà erano soprattutto suddivise tra i monasteri cittadini di S. Zeno, di
S. Nazaro (che teneva diverse proprietà nella valle di Marcellise) e il
monastero benedettino delle suore di S. Michele in Campagna.
Tali
opifici e terre venivano consegnati di solito in locazione per 29 anni, con la
possibilità di rinnovi successivi, in cambio di una corresponsione livellaria o
diritti di decima annua da pagare il 29 settembre festa di S. Michele.
Il
primo documento è del 1166 ed è riferito a Tarsilla badessa del monastero di
S. Michele che dà in locazione a Pizolo, a Bolfredino, a Bosone e a Cotegoso
suo fratello, tutti di Montorio, di tre walcatori (gualchiere) e tre parti di un
molino, posti sul Fibbio, nel luogo detto "Vous". Detta locazione è
di 29 anni con un affitto annuo da pagare nella festività di S. Michele.
Un'
altra investitura da parte del monastero di San Zeno è del 1168 e si tratta di
un molino nella parte alta di Montorio.
Un
centro importante diventa Ferrazze con un complesso industriale notevole a cui
si riferiscono due documenti di affitto del Monastero di S. Michele in Campagna
datati 1183 e 1195.
Il
primo documento è un rinnovo di locazione a Marzio di Illasi, alla moglie
Engelanda ed al figlio Ottolino, di metà di due molini e due gualchiere che di
solito tenevano. Mentre il secondo è sempre una locazione a Cavazano dell'altra
metà degli stessi molini e gualchiere divisi con la famiglia di Marzio di
Illasi.
Se
i documenti del XII secolo si riferiscono ad opifici posti soprattutto nella
parte alta del Fibbio, dove si può sfruttare meglio la quantità d'acqua, nel
corso del XIII secolo le industrie fluviali si dispongono lungo il corso medio
ed inferiore del fiume.
In
una pergamena del 1299 Benedetto abate del monastero di San Zeno, con il
consenso dei suoi monaci, investe per 29 anni Rodolfino de Cagabissi di un
molino con gualchiera e follone, posto a sud del ponte di S. Martino, con ogni
suo diritto.
Tale
opificio si trovava confinante con la chiesa di S. Martino. La locazione, sempre
da corrispondere il 29 settembre, è della decima parte del lavoro di "masinatura
et moletura".
Il
6 ottobre del 1235 nel cimitero di S. Maria Antica, posto vicino a detta chiesa,
davanti a Gerardello giudice di Chiavica, Aicardino dà in locazione per 29
anni, con possibilità di rinnovo, a Ognibene figlio di Zenone una proprietà
costituita da " ... casamentis ruptism, cum vado, molendinus et
walcatoribus que jacet in pertinentia Montis aurei et Lavagni in flubio
inferioris a Sancto Martino ...” con il vincolo di migliorare e non peggiorare
la conduzione del godimento.
Se
tra il mille e il XIII secolo i molini vengono sfruttati per la macinatura dei
vari cereali o per rassodare le fibre vegetali usate per i vestiti o le coperte,
nel corso del XIV e XV secolo le industrie fluviali si arricchiscono di nuovi
meccanismi che servono a far funzionare le neonate ferriere e cartiere.
Nella
seconda metà del XIII secolo l'industria fluviale si consolida, soprattutto
quella legata alla lavorazione dei panni. I folloni, acquistati da agiate
famiglie veronesi nel corso del XII e XIII secolo, vengono sfruttati al massimo
diventando una fonte di ricchezza talmente importante che i proprietari dei
suddetti opifici costituiscono una corporazione a parte rispetto ai mugnai.
Il
primo statuto" dell'arte della lana" è del 1260 mentre il secondo
viene promulgato da Cangrande I della Scala nel 1319.
Tali
statuti definiscono le regole di lavorazione, di acquisto del materiale, della
vendita e utilizzazione delle gualchiere o folloni.
L'attività
del lanificio veronese si industrializza in una sorta di compartecipazione dei
mercanti sulla lavorazione, quindi sulla commercializzazione dei tessuti e
sull'utile dei folloni, con acquisti di parti del bene.
Interessante
il caso del mercante Gordone "... qui fuit de Vérona e moratur Padue
(Padova) ... " che acquista la quarta parte di quattro molini e gualcatori
al di sotto del ponte di San Martino nel posto chiamato "i molini del prato
della chiesa".
L'acquisto
avviene il 27 settembre del 1270 e sono interessati alla vendita la vedova di
Enrigeto Montecchi con la figlia Desiderata con il consenso del marito
Silvestro.
A
sua volta, nel 1277, il mercante Gordone affitta per un anno a Giovanni
Tabernario, con beni in S. Martino, la decima parte di uno dei molini acquistati
dai Montecchi.
Alla
fine del XIII secolo diventa un centro industriale importante per la lavorazione
del ferro il nucleo di Ferrazze, anche se altre fucine vengono segnalate lungo
il corso del Fibbio.
Il
documento è del 1292 e segnala la presenza di una fonderia per il ferro. Tale
fucina brunisce armature e produce armi per i nobili veronesi rimanendo in
funzione, anche per altri scopi, fino all'inizio del XIX secolo.
L'importanza
del Fibbio, come fiume industriale, si manifesta soprattutto dalla fine del XIV
secolo con il sorgere delle cartiere. La prima viene menzionata nel 1382 in
località "Buxolus" e produce carta fine bambagina. Tale cartiera
viene segnalata anche successivamente nel 1425 ed alla fine del XV secolo e può
essere collocata non nell'attuale centro detto del Busolo ma al Maglio come
risulta da diverse mappe del XVI secolo.
L'attività
cartaria viene regolamentata quasi subito con gli statuti della "Domus
mercatorum" di Verona datati 1387. Durante tutto il XV e XVI secolo le
cartiere costituiscono un polo manifatturiero importante a tal punto da chiamare
il paese con il nome di S. Martino delle Cartiere.
Oltre
alla cartiera "in Buxolis" troviamo citata nel 1403 quella di "
... se Andrea de Paganis, della contrada di Olivé. .." che si impegna a
consegnare, entro un anno, a Gianesello di Folgaria " ... seicento risme di
carta fine bambagina ... " fabbricata nella sua cartiera di S. Martino
vicino al ponte sul Fibbio.
Nel
1425 troviamo una cartiera a " ... La cha da laglio ... " di proprietà
di Francesco Dall'Ora che acquista 300 lire di carta e stracci per produrre
“… carte mercantevoli nella forma desiderata".
Numerosi
sono i documenti segnalati che rimarcano le vicende, seppure frammentarie,
dell'industria fluviale sia da un punto di vista produttivo che giudiziale.
Nel
XV secolo il paese cresce in numerosi aggregati lungo il fiume, anche se quello
principale si organizza attorno all'asse viario Verona-Vicenza nelle vicinanze
del ponte sul Fibbio, della Chiesa e dell'Antico Buon Albergo.
Il
Fibbio nel XVI secolo
Nel
corso del XVI secolo l'attività industriale rende il Fibbio uno dei fiumi più
importanti della Repubblica Serenissima, tanto che i Provveditori sopra li Beni
Inculti incaricano dei periti a rilevare lo stato di fatto del corso d'acqua.
Dal
5 al 9 agosto 1561 gli ingegneri: Nicolò del Cortivo, Iseppo delli Pontoni e
Pompeio Canepoco visitano il fiume con incarico di stilare " ... un
elaborato tecnico di tutti i manufatti e diritti lungo il Fibbio e perizia degli
stessi ingegneri incaricati".
Da
Olivè a Formighè i periti visitano 42 opifici segnalando il tipo di produzione
e la quantità delle ruote idrauliche usate, inoltre segnalano tutti i fossati
esistenti e la quantità d'acqua ricavata dal fiume.
È
il primo elenco completo di tutti i fabbricati industriali operanti sul Fibbio;
tali edifici mantengono la loro funzione fino alla metà del XIX secolo, anche
se nel corso dei secoli l'attività si riduce sensibilmente fino a scomparire
del tutto nel dopoguerra, quando ancora qualche ruota girava.
Nella
relazione del 1561 quasi la metà degli edifici viene elencata nei territori di
Olivè e di Montorio, dove sono soprattutto presenti in gran numero gualchiere e
molini, mentre nel territorio di San Martino si distribuiscono in più centri:
ferriere, cartiere e molini.
Tralasciando
la descrizione relativa al territorio di Montorio possiamo elencare le attività
ed i centri di produzione del sanmartinese.
Partendo
dalle Ferrazze troviamo: "un edifizio degli eredi del fu sig. Zulian dalle
Calze quali sono in tutto rote sette, cioè due rote da molino, due rote da
cartera, due rote da batter rame e una da imbrunitor d'armi, tutto esso edifizio
con una stessa decaduta, il qual si lascia colli suoi livelli e bocche, come si
ritrova".
Percorrendo
il corso del fiume si arriva alla Cengia dove i periti descrivono gli edifici
che "... sono d'una istessa decaduta, et abbracciano tutto il corpo del
Fibbio delli quali ghe ne e uno de doj boche con doj Ruotte de Giacomo, et
Francesco de Marcantoni, uno de tre Ruotte de Giacomo di Lioni et fratelli; et
l'altro Eddificio da carta con tre Ruotte de Zulian d'i Bassj: alli quali
Edifizi non se fa innovazione alcuna".
Interessante
è la descrizione degli edifici del Drago che non verranno più segnalati nelle
successive ispezioni e che comprendono: " ... doi Eddificij del suddetto
Zulian con Ruotte tre, due delle quali servono per il Maglio; l'altra per uno
edifizio da far chiodi" .
Proseguendo
lungo il Fibbio si arriva al Ponte del Cristo dove a sud si incontrano "
... Doi Eddificij, uno da carta con doi Ruotte de Marco Pesenti, et l'altro de
Molin con doi Ruotte de Antonio Maria Concorezo e de Zulian d'i Bassj ... item
seguitando per l'alveo del Fibbio per perteghe trenta in circa el ditto Fibbio
si divide in due rami, uno va a banda dextra, et serve a macinar il molin de doi
ruotte detto il Molinello de Lonardo Todesco, l'altro Ramo và a servir al molin
detto della Paglia de doj ruotte del ditto Lonardo".
Continuando
si incontra il molino delle" Quattro Ruote" di Pietro Cermisoni e più
a sud verso il Maglio " ... uno Eddifizio da carta delli Heredi Collosin
con quattro ruote ... con appresso ... un altro Eddifizio da carta con doi
Ruotte delli heredi di Alessandro Pozza".
Un'altra
cartiera con tre ruote si ritrova a Ca' dell'Aglio, di proprietà del Marchese
Albrigo Malaspina, mentre al Busolo e Formighé troviamo un molino con tre ruote
degli eredi di Leardin de Leardini del Vago e un molino con tre ruote di
proprietà di Dionisio da Lisca, che conclude l'elenco dei 42 edifici e delle 93
ruote contate lungo il corso del fiume.
Attorno
alla metà del XVI secolo la Repubblica Veneta favorisce, attraverso una idonea
legislazione, il recupero di terreni vallivi o scarsamente produttivi con
concessioni di acque pubbliche.
Sono
soprattutto i patrizi locali che investono capitali per la costruzione di canali
artificiali e la bonifica dei terreni.
La
relazione sullo stato di fatto del Fibbio del 1561 si rende necessaria per
controllare le concessioni che vengono date ai numerosi richiedenti della zona
sanmartinese. Non solo acque del Fibbio ma anche delle risorgive dei Pori.
La
prima richiesta è del 22 gennaio 1557, presentata dai fratelli Antonio, Piero,
Bortolo e Alessandro Cermisoni, nobili del Feudo di Campalto, che
"supplicano poter fare una seriola (canale) a' cavar acqua del Fibbio a'
San Martin di sopra della Cengia (attuale fossa Cengietta?) di piedi cinque in
circa e condurla, per i masali, e Brolo di Giuliano Basso nella campagna loro,
verso Campo Alto per li festi (giorni festivi), e ciò è quando li edifici
(molini, cartiere ecc.) non lavorano, per redur a' fertilità quantità di campi
sterili numero XI".
I
Beni Inculti di Venezia mandano un loro perito, detto ordinario, Cristoforo
Sorte, affiancato da un perito straordinario veronese nella persona di Iseppo
Dalli Pontoni, i quali stendono il 14 dicembre 1558 una mappa della zona con
indicato il tracciato del canale e la verifica dei luoghi. Il 5 ottobre 1559 il
Provveditore concede l'investitura per una bocca d'acqua di piedi 2 e mezzo
dietro il pagamento di soldi 500 da versare in due rate.
Dopo
i Cermisoni altre famiglie patrizie chiedono investiture di diritti d'acqua,
come la supplica di Giobatta Horti del 4 marzo 1558 per la concessione di
"una bocca di acqua" per condurla dal Ponte di San Martino verso la
"Porsilana", o quella di Zuanne Poeta di Verità del 7 agosto 1561,
che chiede di irrigare 50 campi sterili conducendo l'acqua attraverso un fossato
che parte al di sotto del Ponte di San Martino.
Tutte
le richieste vengono avanzate per concessioni festive, in modo da non
danneggiare il lavoro degli opifici da secoli operanti.
Nel
territorio sanmartinese già da tempo esistevano canalizzazioni di breve
lunghezza ad eccetto dell'importante canale della Rosella già esistente nel
1211 che conduceva l'acqua, come adesso, nelle campagne di Campalto.
Nelle
richieste di concessione d'acqua non sempre si specifica la coltura, ad
eccezione per le risare. Infatti le zone vallive del territorio sanmartinese
vengono sfruttate, simultaneamente a quelle di altri territori della bassa
veronese, per la coltivazione del riso. Anche se la coltivazione del riso viene
introdotta sul finire del XV secolo, è solo attorno al 1570 che esplode la
richiesta di risare visto l'alto reddito che tale prodotto garantiva.
I
primi a richiedere tali concessioni sono i fratelli Lunardo e Galeazzo Da Lisca
di Formighé con domanda del 10 ottobre 1569 per condurre acqua del Fibbio a
Lendinara "per inondare, e far risara campi 130 di pradi". Pochi
giorni dopo ed esattamente il 31 ottobre Carlo Marioni chiede "il
soprabbondante dell'acqua dei Pori per beneficio dei suoi 70 campi per far
risara".
L’anno
dopo i Da Lisca chiedono acqua per altri 50 campi e la possibilità di costruire
una pilla da riso a Formighé. Sempre nel 1570 i fratelli Lazize chiedono
l'acqua dei Pori vicini a Ca' dell'Aglio per irrigare 100 campi da far risara
alla Mambrottina. Altre richieste seguono a quelle descritte, trasformando il
territorio paludoso della bassa sanmartinese in zona altamente produttiva e
mantenendo tale vocazione fino agli inizi del nostro secolo.
Nel
corso del XVI secolo l'arte della lana e l'arte della carta resero famosi i
paesi di Montorio e S. Martino.
Se
Montorio era il centro di produzione della "pannina di lana" con i
suoi 10 opifici per un insieme di 16 ruote idrauliche, S. Martino era il centro
di produzione della carta. La carta prodotta in tantissime varietà, se ne
contavano 97 nella cartiera di messer De Paganis, era portata dai produttori ai
proprietari che risiedevano di solito in città, i quali erano tenuti a dare
stracci e soldi per il mantenimento e il funzionamento della cartiera.
Le
carte prodotte dovevano essere adatte al mercato e della forma desiderata.
Troviamo le "carte reali", "le mezane", le carte da libri
fine e le fini "piccole alla bresciana", le "brunelle" e
tante altre varietà che differivano per consistenza, spessore, impasto e
dimensioni.
Quasi
sempre le carte prodotte erano filigranate con il marchio di fabbrica, come la
cartiera di messer De Paganis che aveva come simbolo un bue sormontato da una
stella.
Lungo
il Fibbio nel territorio di S. Martino si trovavano disposte numerose cartiere
dalle Ferrazze a Ca' dell'Aglio con alterne vicende produttive. Il XVI secolo fu
quello più difficile, soprattutto per la concorrenza delle cartiere di Salò e
Toscolano sulla riva bresciana del Lago di Garda.
Nel
1577 queste ottennero di esportare gli stracci (che ridotti in poltiglia
attraverso i macchinari della cartiera venivano utilizzati per produrre carta)
dalla provincia di Verona eccetto i paesi di S. Bonifacio, Monteforte, Soave,
Illasi, Colognola, Caldiero e S. Martino, i cui stracci dovevano rimanere per
uso delle cartiere di S. Martino, con una netta limitazione della produzione
cartacea delle industrie veronesi.
A
seguito di rimostranze il Consiglio di Verona l' 8 ottobre del 1590 decise di
regolarizzare la situazione difendendo i diritti delle cartiere veronesi e
concedendo fiducia ai produttori sanmartinesi con un nuovo regolamento distinto
In tre punti:
"Primo:
che salva la libertà de' cartieri di S. Martino di poter comprare strazze in
ogni luogo, indistintamente in ogni luogo per il bisogno et uso delle cartiere
loro, nel resto non sia lecito ad alcuno di comprar strazze così nella città
come nel territorio per causa di estraherle fuori di essa città o territorio
sotto la pena contenuta nel detto statuto nel libro terzo capitolo 82, restando
la facoltà et libertà a noi Sebastiano Dalle Donne et Giovanni Dominico
Chincherna di far la detta estrattione di strazze, salvo il bisogno di san
Martino, come di sopra.
Secondo: che noi Sebastiano e Giovanni Dominico suddetti all'incontro si oblighiamo a mantenere nella piazza di Verona una bottega di carta da scrivere, la qual sia buona, bella e sincera a servizio di chi ne vorà comprare, non potendo la noi aprezzare né far pagare più de marchetti tre e mezzo il quinterno, sotto pena in caso di mancamento di ducati duecento da esser applicati alla casa della Magnifica Città et di perdere il partito.
Terzo:
per maggior sicurezza de' cartieri di S. Martino de non sentir mancamento di
strazze per il bisogno delle loro cartiere, si contentiamo di restar in obligo
di tener sempre in fontico fino alla somma de pesi cinquecento di strazze cum
obligo darle ad essi cartieri volendole comprare da noi a ragion de marchetti
vinti il peso.
Et
per osservatione di quanto sopra habbiamo promesso si oblighiamo a dare idonea
et sufficiente Sicurta”.
Tale
accordo non fu del tutto rispettato e subito sorsero delle liti in relazione
alla quantità di stracci da dare e il prezzo di vendita della carta. Ma queste
liti e questi problemi di mercato furono subito messi da parte quando la peste
del 1630 dimezzò gli abitanti del veronese, creando una crisi economica di
vastissime proporzioni anche nel nostro territorio.
Il Fibbio nel XVII secolo
Nel
1628 si svolge un primo ed importante censimento territoriale che coinvolge
direttamente S. Martino. Tra i dati che emergono e che riguardano parzialmente
l'attuale territorio ci sono quelli relativi alla forza lavoro occupata
nell'industria fluviale. Tra la Sengia, il Ponte, le Quattroruote e Cà
dell'Aglio troviamo 9 "cartieri", 1 "folador" e 4 "molinari"
che costituiscono il 23% della popolazione attiva al di sopra dei 18 anni e al
di sotto dei 60.
Alcune
professioni lavorano per la manutenzione dei macchinari, come il "rudaro",
il "marangon" e il "ferar". Anche se il territorio
considerato è molto più piccolo dell'attuale (350 ettari contro 3486 attuali)
i dati sono molto interessanti.
Un
altro dato che emerge è l'alto numero di terreni irrigati dal fiume Fibbio
attraverso le varie canalizzazioni. Ben 530 campi sono a prato irriguo e
costituiscono oltre il 50% del territorio dell'epoca.
Tra il 1630 ed il 1631 la peste di manzoniana memoria spazza via un'economia già vacillante e stantia da diversi decenni a causa di continue guerre, colpendo appieno l'industria fluviale. Attività di primaria importanza per il veronese.
Il
bilancio è impressionante, solo in città muoiono tra atroci sofferenze i 3/5
della popolazione, ben 33.000 persone. Il "gran contagio" a S. Martino
decima oltre il 40% della popolazione. Tra i colpiti, l'elenco evidenzia subito
i componenti le famiglie dei lavoratori del fiume, come quelle di Giacomin
molinar e Bartolamio molinar che perdono rispettivamente le mogli Artemisia di
33 anni e Giulia di 25. Mentre nella famiglia di Giacomo molinar muoiono il
capofamiglia Giacomo di 41 anni e il figlio Zuani.
Le
case degli appestati vengono chiuse e segnate con una gran croce e i familiari
di questi chiusi in casa. Il Pona, storico dell'epoca, racconta che "i
cadaveri venivano gettati alla rinfusa sulle spaventose carrette che si vedevano
da molti luoghi uscire e subito sepolti; mentre i mobili, toccanti la sua
persona, di qualunque siano, venivano abbruciati, mentre la casa di lui,
particolarmente la camera, biancheggiata o affumicata con calce viva".
Finita
la peste, l'economia è a terra, le industrie ferme, le terre abbandonate.
Numerosi sono coloro che emigrano alla ricerca di nuove attività produttive. Il
Consiglio della Magnifica Città di Verona cerca di promulgare leggi per
favorire la ripresa economica, soprattutto è l'Arte della Lana che cerca di
restaurare il Lanificio veronese (inteso come complesso di unità produttive di
tessuti in lana e vestiario in genere) costituito da gualchiere o folloni che si
trovano in gran parte sul Fibbio. Nel 1646 Tonio Lipella eTonio di Zoppi
confermano il possesso di una pila per follar i panni sul Fibbio, acquistata
dall'Arte della Lana.
Ma
molto probabilmente il follo non rendeva molto o forse era necessario usare i
macchinari per altri scopi se nel 1647 i Muselli supplicano la Serenissima di
trasformare il follo per panni della Sengia in un molino per "macinar i
grani" e come lo stesso Tonio di Zoppi sopracitato, nel 1653, appena 7 anni
dopo aver confermato il follo chiede di commutarlo in molino da grano.
La
visita generale del Magistrato Veneto sulle acque del Fibbio del 27 Luglio 1688
conferma lo stato di crisi del lanificio sanmartinese. Infatti tra gli edifici
sul Fibbio molti sono ancora abbandonati, soprattutto le gualchiere.
Solo
a Montorio sono ricordati due folloni abbandonati ed uno diroccato per
complessive 6 ruote, mentre alla Sengia sono ricordate tre ruote disfatte.
Il
27 luglio 1688 il Magistrato Veneto sulle acque visita il fiume Fibbio,
relazionando sullo stato di fatto; sia per gli opifici esistenti, sia per le
derivazioni d'acqua, annotando una situazione di difficoltà economica, ma con
diversi tentativi di ripresa.
Infatti,
dopo il gran contagio del 1630, la ripresa è lenta ma riccamente documentata da
tutta una serie di dati e di mappe conservati nell'archivio dei Provveditori
Sopra i Beni Inculti a Venezia.
Tra
le famiglie più attive, nel territorio sanmartinese, troviamo quella dei
Muselli, proiettata, nel corso del XVII secolo, verso una posizione di prestigio
nel mondo economico e culturale veronese.
Alla
trasformazione della corte rurale delle "Colombare" in villa, sopra
l'attuale collina della Musella, la famiglia imposta tutta una serie di attività,
sia industriali che rurali, soprattutto nel nostro territorio.
Dal
1640, con acquisizioni costanti e ripetute di piccoli appezzamenti, i Muselli
costruiscono una proprietà consistente ma disposta a macchie, sia nella parte
collinare che in pianura, con la formazione dei fondi detti di: Cà dell'Aglio,
del Chievo, di S. Domenico (dove costruiscono il grande fienile a nord della
corte), della Rosella (attuale Case Nuove) e della Presa (a S. Antonio a sud
della statale).
Per
irrigare tali territori chiedono di derivare l'acqua dal Fibbio in località
della Cengia con l'escavazione di un fossato, come da richiesta fatta ai Beni
Inculti nel 1646.
Il
12 settembre del 1650, Cristoforo e Gio. Francesco Muselli acquistano una
cartiera alla Cengia "a tre ruote, per fare o pistare carta "
con" ... casa murata, coppata e solarada, con corte stala e cantina e
colombara con tutti li suoi utensili, con brolo serato di muro ... più due
piccoli luoghi ruinati, con la giurisdizione d'acqua per fare andar due ruote da
follar panni ... ".
Tale
acquisto va a rinforzare la presenza della famiglia Muselli, già proprietaria
di un molino, in tale località.
Nella
seconda metà del XVII secolo gli acquisti continuano, sia di edifici sia di
piccoli appezzamenti, anche se qualche proprietà è abbastanza rilevante, come
i 105 campi del Chievo o i 52 della Rosella.
Nel
1703, con atto del 29 agosto, Giacomo, Girolamo e Paolo Muselli acquistano alla
Cengia da Ottavio Drago un molino che risulta abbandonato da diversi anni, con
il progetto di trasformazione in follo da panni, come da investitura del 21
marzo 1699 così come risulta dagli scritti del Summario di Casa Musella in cui
troviamo che "... sono state fatte molte spese tra cui è stato alzato il
coperto molino e restaurata la casa del molinaro con la spesa di 584
ducati".
Altre
famiglie sono impegnate in questa ripresa economica e diverse chiedono la
conferma del possesso di beni industriali come nel 1674 i marchesi Malaspina,
chiedono il possesso della "Cartera" di Ca' dell'Aglio e un molino di
tre ruote sotto Marcellise.
Nel
1683, Leonardo Da Lisca ed il Conte Marion Marioni supplicano l'acqua delle
scoladizze per le risare e la costruzione di due pille da riso, una a Formighé
ed una alla Mariona.
Altri
proprietari ristrutturano gli edifici industriali nella ricerca di altri
segmenti di mercato nella speranza di nuove possibilità economiche.
Il Fibbio: nel XVIII secolo
Nel
corso del XVIII secolo la vita industriale sul Fibbio e lo sfruttamento agricolo
delle terre irrigate si consolida, soprattutto con la richiesta di nuovi terreni
da trasformare in "risara".
Gli
opifici esistenti vengono riconfermati con un sensibile aumento di
ristrutturazioni e cambi di destinazioni d'uso in "pille da riso".
Diverse sono le richieste di costruzione di nuovi manufatti, per pillare il
riso, nelle zone adiacenti alle risare del basso sanmartinese, come al Casino, a
Ca' del Ferro, a Formighè ed alla Mariona.
Interessante
è la richiesta di trasformazione in opifici per la lavorazione del rame e del
ferro. La località delle Ferrazze mantiene la vocazione dei secoli precedenti,
con le fucine metallurgiche.
Nella
località del Maglio permane il "maglio di rame", mentre a Ca'
dell'Aglio troviamo una nuova fonderia richiesta dalla famiglia Malaspina il 16.
05.1696 ed ancora funzionante nel 1866 quando viene traslata insieme al molino,
per un totale di 5 ruote, a Giovanni Battista Spiazzi e figli Angelo e Giuseppe
di S. Martino B.A.
Tale
battirame prende il posto della Cartiera di tre ruote in funzione dal XV secolo.
Se nelle "basse" si investe nel riso, a Montorio ed Olivè continuano
le tradizioni secolari dei molini e dei folli per i panni, con l'aggiunta di
nuove richieste di trasformazioni in cartiere che vanno a compensare quelle
dismesse di Ca' dell'Aglio e delle Pignatte.
Il
Catasto Napoleonico del 1816 elenca tutti gli edifici produttivi lungo il Fibbio
e non, con le relative località e proprietà, confermando la quantità di
insediamenti del secolo precedente.
Da
Olivè a Formighè ed oltre si contano 35 unità produttive per un totale di 69
ruote idrauliche suddivise nei seguenti settori: a) 21 molini da grano per un
totale di 44 ruote, che sono distribuiti in modo equilibrato lungo tutto il
corso del fiume; b) 5 pille da riso per un totale di 7 ruote, distribuite tra la
Cengia e le zone basse del sanmartinese; c) 4 cartiere con 9 ruote che si
trovano alle Ferrazze, alla Cengia, al Ponte di San Martino ed al Maglio; d) 4
magli da ferro e rame per un totale di 7 ruote distribuiti tra le Ferrazze e Ca'
dell'Aglio; e) 1 follo con due ruote idrauliche a Montorio.
Nel
Catasto Austriaco del 1848 il numero totale degli edifici permane, anche se a
Montorio troviamo delle nuove industrie, come quella dell’ “lmbiancatura di
filati" e quella della "Filatura di cotone ad acqua" che vanno a
creare un polo manifatturiero con successive trasformazioni industriali
nell'area nord-est della città.
Ottavio
Cagnoli nella sua "Verona e provincia" del 1849 scrive, sottolineando
l'importanza che ancora a metà dell'ottocento hanno le industrie fluviali:
"Non si potrà tacere sul maglio da rame e su quello di ferro dell'egregio
amico Giulio Nicolini, situati alle Spinette delle Ferazze, alimentati dalle
acque del Fibbio. Si presentano detti edifizii a qualunque lavoro; il maglio da
rame pone in moto un anno con l'altro libbre 100.000 di rame lavorato; da quello
di ferro, unico nel veronese ...".
Alla
fine del 1800 nella zona est di Verona, l'industria si sviluppa in modo
considerevole, ma non è più l'acqua a far muovere gli ingranaggi, ma il
carbone, che necessita di caldaie e ciminiere costruite appositamente.
A
S. Martino sorgono diverse industrie, come lo zuccherificio della Società
Ligure Lombarda del 1881, arrivato ai giorni nostri in buone condizioni
strutturali con la grande ciminiera dominante l'abitato di S. Martino, il
cotonificio Crespi dei primi anni del secolo, la Cereria Barbieri, l'Oleificio
Sacchetti e altre industrie minori.
I
secolari opifici fluviali ormai sono al capolinea, ed uno alla volta chiudono i
battenti, anche se diversi lavorano fino alla fine degli anni 50 quando la
costruzione della nuova zona industriale e artigianale assorbe qualsiasi tipo di
attività. Allora gli antichi opifici lasciano malinconicamente il posto alle
nuove industrie, anche se qualche ruota gira ancora a ricordare alle nuove
generazioni le antiche tradizioni.
Consorzio Fiume Fibbio e Fossa di Campalto
Qualche
tempo fa trovai per caso un libretto di una ventina di pagine contenente lo
statuto del "Consorzio idraulico d'irrigazione ed animazione d'opifici
denominato Consorzio Fiume Fibbio e Fossa di Campalto".
Regolamento
stampato a Verona dalla Tipografia Apollonio nel 1877 e contenente interessanti
notizie sui diritti delle acque del nostro territorio. Il Consorzio è
antichissimo e deriva come diritti da quelli del Fiumicello dopo la transazione
avvenuta il 10 febbraio 1542 fra i De Peregrini ed i Battalei.
La
costituzione del Consorzio, recita lo statuto, è dovuta alla regolazione 8
agosto 1561 dei periti nominati dagli E.E. Provveditori ai beni inculti, nonché
dalla visita generale del Magistrato Veneto per le acque del Fibbio il 27 luglio
1668 e all'ultima visita praticata dalla Commissione dal 28 febbraio al 5 marzo
1822. Un regolamento rigido e completo che doveva essere osservato da tutti i
proprietari terrieri e da tutti gli opifici sul Fibbio.
La mappa di riferimento era quella disegnata dall'ing. Gaetano Pelesina del 24 dicembre 1824 che riportava l'andamento dei canali, l'ubicazione delle singole bocche, nonché la posizione di tutti i fabbricati industriali dell'epoca.
Interessanti
sono le notizie riguardanti i giorni che gli opifici dovevano restare inoperosi.
A parte tutte le domeniche le industrie si fermavano altri 36 giorni festivi per
un totale di 277 giorni lavorativi. La devozione a Maria Vergine prevaleva su
tutti gli altri santi, infatti si faceva festa il 2 febbraio giorno della
Purificazione; 25 marzo, Annunciazione di M.V.; 15 Agosto, Assunzione di Maria;
8 settembre, Natività di M.V. e 8 dicembre, Concezione di Maria.
Altri
giorni particolari erano il 3 maggio, invenzione della Croce; 24 giugno, Natività
di S. Giovanni Battista; 28 ottobre, Ss. Simone e Giuda e 28 dicembre Ss.
Innocenti.
Naturalmente
erano comprese tutte le festività attuali oltre agli evangelisti, agli
apostoli, S. Anna, S. Giuseppe e S. Michele Arcangelo.
Le
festività servivano per dare la possibilità d'uso dell'acqua a tutti i
contadini che avevano diritti, per quelle bocche che erano "non
continue" o "festive" per irrigare i terreni agricoli posti quasi
sempre nelle basse di S. Martino.
La
pulizia avveniva regolarmente ogni anno secondo la divisione dei corsi
principali in tre tronchi, attraverso lo sgarbamento che avveniva in media tre
volte I'anno. Alle spese ordinarie e per l'esecuzione dei lavori di ordinaria
manutenzione, si provvedeva attraverso una tassa annuale nei limiti determinati
dal Consiglio dei Delegati. La legge che regolava tale tassa era la n.192 del 20
aprile 1870.
Le
contravvenzioni erano severe per coloro che trasgredivano il regolamento con
pene e multe fino a 300 lire (cifra molto alta visto che un salario di un
sorvegliante era di Lire 198,72 all'anno), oltre al risarcimento dei danni e
sequestro degli oggetti colti in contravvenzione.
Uno
statuto quindi molto severo che a quell'epoca difendeva quasi sempre i diritti
dei grandi latifondi e dei proprietari nobili come i Da Lisca, i Carlotti, i
Murari Bra', i Trezza, i Malaspina e gli Orti, nominati quasi sempre presidenti
di turno del Consorzio.
Il percorso del Fibbio, documento PDF kb 1.204.
I Fossi nel territorio di San Martino B.A., documento PDF Kb 4.494.
Fibbio. Foto A. Scolari