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San Lorenzo Giustiniani e san Zeno (Giovanni Battista Caliari).  Foto -  Roberto Alloro.

 

Scheda Artistica - Dott. Roberta Patrizia Alloro, Dott. Roberto Alloro

 

All’inizio degli anni Trenta dell’Ottocento il pittore veronese Giovanni Battista Caliari (1802-1850), per soddisfare la richiesta del parroco di Marcellise, realizzò dei pastiches nei quali inserì figure prese in prestito da pittori del Cinquecento veronese. Questo procedimento può essere ben osservato nella pala raffigurante I santi Lorenzo Giustiniani e Zeno, collocato in alto a sinistra all’inizio della navata.

 

L’originale da cui Caliari ha tratto le due figure maschili e i tre angeli musicanti è la Madonna col Bambino e i santi Lorenzo Giustiniani e Zeno, dipinto da Girolamo Dai Libri per la chiesa cittadina di San Giorgio in Braida. Poche le modifiche che il pittore ha apportato negli abiti dei cinque personaggi, limitandosi a cambiare la sfumatura della veste dell’angelo di sinistra da un rosa antico a un rosso Tiziano e il colore della pietra sulla mitra di Lorenzo Giustiniani, da rossa a verde. Sono mutati, invece, in modo sensibile i loro volti, resi più paffuti e ovali. 

Per esigenze tematiche il Caliari ha riprodotto i due presuli dipinti da Girolamo Dai Libri, ma avvicinandoli tra loro per colmare lo spazio occupato nel modello dalla Vergine in trono. Ha manutenuto la collocazione dei personaggi in un ambiente separato dal paesaggio retrostante da un’alta balaustra ed impreziosito dal pavimento bianco con decori geometrici azzurri. Il pittore ottocentesco ha preferito chiudere ancor di più lo spazio dedicato ai santi sovrapponendo al parapetto una coppia di archi. La colonna che li separa, impreziosita da un’effigie maschile in stile classico, svolge il ruolo che nel dipinto rinascimentale ha l’albero di limoni alle spalle della Vergine, ossia quello di suddividere in due parti lo sfondo rimasto pressoché uguale, solo più ravvicinato.

Confrontando il lavoro di Caliari con San Giovanni Evangelista e san Benedetto di Francesco Morone, di cui è pendant nel ciclo pittorico di Marcellise, si osserva che la scelta di tener separato l’ambiente sacro da quello profano è stata in qualche modo forzata dalla necessità di conformarsi il più possibile a  quelle prese secoli prima da Morone. È evidente, infatti, che l’artista ottocentesco ha mantenuto in tutti e quattro i suoi  quadri costituenti il “ciclo” la stessa ambientazione proposta dai colleghi rinascimentali (spazio aperto per la Visitazione ed i profeti, suddivisione area sacra – area profana per i santi e le sante).

Dalla chiave di volta dei due archi pendono due frutti, a sinistra una rossa mela e a destra un limone, tipici non solo di Girolamo Dai Libri ma anche di Bartolomeo Montagna (Orzinuovi, Brescia, ca 1450 - Vicenza 1523), altro pittore amato e studiato da Giovanni Battista Caliari. Morone, in San Giovanni Evangelista e san Benedetto, preferisce invece esibire un ramo carico di mele rosse attaccato con un nastrino ad un finto anello nella parte alta della pala. I capitelli dei pilastri sono uniti da una traversa metallica, forse atta a sostenere un eventuale tendaggio, e su quella di destra è appoggiato un uccello, collegamento tra sacro e profano. 

Sul piano dei soggetti, a fronte delle figure commissionate a Dai Libri e Morone, ovvero Giovanni Evangelista, il discepolo più amato da Gesù, e Benedetto Abate, fondatore del monachesimo occidentale, a Caliari sono stati richiesti i santi Lorenzo Giustiniani e Zeno. Il primo (Vicenza 1381 - Venezia 1456) si dedicò alla riforma della vita sacerdotale e religiosa, al tempo gravemente decadute, e alla carità verso i bisognosi. Divenuto vescovo di Venezia (1433), per il suo zelo e per la sua eroica carità fu salutato da papa Eugenio IV «decus et gloria praesulum» (onore e gloria dei vescovi) e nel 1451 papa Nicola V lo nominò primo patriarca di Venezia, di cui è patrono assieme a san Marco. Zeno, proveniente dall’Africa, forse dalla Mauritania, dal 362 alla morte fu vescovo di Verona, dove fondò la prima chiesa e di cui divenne patrono. I suoi scritti danno importanti notizie su di lui e sulla sua attività pastorale, incentrata nel rafforzare clero e popolo nella fede, soprattutto con l’esempio della sua carità, umiltà e povertà. 

Nel monocromo posto nella specchiatura sopra al quadro sono raffigurati, su un cuscino di nuvole e incrociati fra di loro, i simboli dei due santi, ovvero il bastone con croce a doppia traversa, emblema di Lorenzo Giustiniani patriarca di Venezia, e il pastorale con il pesce per il patrono di Verona; tra le due aste incrociate campeggia una mitra, attributo comune ad entrambe le cariche, patriarcale e vescovile.

Dopo aver descritto la tela torniamo sulla questione della paternità del progetto iconografico, su cui ci siamo già intrattenuti nelle altre schede. Abbiamo posto in evidenza come due documenti di poco posteriori alla morte di Giovanni Battista Caliari attribuiscano a don Iacopo Dal Palù il primo la commissione al Caliari di quadri destinati ad abbellire la chiesa di Marcellise, il secondo il dono ad essa di un ricco tesoro di apparati e di pitture. È perciò indubbio, come abbiamo scritto, che il Dal Palù ebbe un ruolo determinante nella realizzazione delle tele. Ma, ci chiediamo, fece tutto da solo o  fu aiutato da altri? e chi lo mise in contatto con Caliari? Non lo sappiamo.

 

Possiamo tuttavia avanzare qualche ipotesi. La prima considera la possibilità che il sacerdote abbia incontrato personalmente l’artista o almeno abbia avuto modo di apprezzarne le opere – circostanza non preclusa dalla fonte - prima di insediarsi nella sua nuova parrocchia e che l’abbia quindi scelto senza l’intervento di intermediari “locali”. La seconda ipotesi, invece, parte dal presupposto che il contatto tra i due sia avvenuto per il tramite di terze persone in qualche modo legate a Marcellise. Una di queste avrebbe sicuramente potuto essere don Nicola Mazza (1790-1865). Suo padre Luigi, stimato commerciante di seta residente nell’allora parrocchia di San Pietro Incarnario, nel 1797 aveva acquistato una tenuta a Marcellise, ove è verosimile che facesse risiedere pressoché abitualmente la famiglia per sottrarla alla complicata situazione politica e militare in cui versava Verona in quegli anni.

 

Il 21 giugno 1807 Nicola, nel frattempo avviato alla carriera ecclesiastica, indossò la veste sacerdotale proprio a Marcellise, a quel tempo aggregata alla parrocchia di San Fermo Maggiore. Nel 1833 fondava a Verona l’istituto destinato ad accogliere i giovani privi di mezzi ma di “talenti distinti” e commissionava al Caliari diversi lavori. In quello stesso anno gli richiese, infatti, tre pale per l’altare delle Devozioni nella chiesa di San Carlo presso il medesimo istituto. Per lo stesso committente l’artista eseguì inoltre i disegni preparatori, ispirati ad episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, per il paramento “in quarto”, successivamente realizzato dalle ricamatrici formatesi nell’istituto mazziano.

Un altro possibile collegamento fra il pittore e don Iacopo Dal Palù potrebbe essere stato il conte Giovanni Girolamo Orti Manara, rappresentante di spicco di una delle numerose famiglie cittadine che possedevano dimore padronali nell’allora comune di Marcellise. Giovanni Caliari, infatti, secondo quanto riporta suo nipote Pietro, aveva realizzato un ritratto del conte Orti Manara podestà di Verona.

   

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