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Madonna in trono col Bambino - Antonio da Mestre (attribuito)

Foto -  A.G. Scolari.

 

 

Scheda Artistica - Dott. Roberto Alloro

 

L’opera d’arte più antica e senza dubbio più preziosa - come giustamente ha scritto Sergio Spiazzi - tra quelle custodite nella parrocchiale di San Martino Buon Albergo si trova in sacrestia, in una nicchia ricavata nel muro orientato a meridione. Si tratta di un interessante gruppo lapideo policromo di dimensioni inferiori al naturale (altezza 97 cm, larghezza 54 cm) raffigurante la Madonna in trono col Bambino.

La Vergine, coronata e assisa in posizione frontale su un severo trono a panchetta con avancorpo sporgente alla base, indossa veste rossa e mantello blu. La capigliatura castana finemente incisa, folta e mossa, incornicia il viso fino alle spalle evidenziandone l’ovale pieno, la fronte ampia, le sopracciglia ben disegnate, il mento piccolo e pronunciato, le labbra appena increspate in un accenno di timido sorriso. Gli occhi, ben delineati, mostrano ancora tracce dell’antica cromia scura dell’iride. La corona dorata ferma sulla sommità della testa, poggiandovi sopra, il cappuccio del mantello. L’attributo regale è costituito da una fascia dorata con incisioni diagonali incrociate delimitata da due cordoni a spirale con andamento opposto impreziosita da una sequenza alternata di grosse gemme dipinte rotonde o romboidali.

 

La parte superiore della corona è decorata da un motivo stilizzato d’ispirazione floreale. Poco sotto l’attaccatura del collo, il sottile bordo rosso della veste stacca tra l’incarnato e il  bordo dorato del manto. Una spilla dorata di raffinata fattura, ancora di gusto floreale, stringe le due falde del mantello formando una fitta raggiera di pieghe. La falda destra (alla sinistra di chi guarda) disegna un ampio panneggio che scende lungo il ventre pronunciato, si arrotola intorno all’avambraccio destro e attraversa, formando molli pieghe opulente tra le gambe divaricate, l’intera figura della Vergine.

 

L’ampia veste rossa è stretta poco sotto il seno da una cintura dorata con incisioni diagonali incrociate (come nella corona) stretta da un fibbia quadrata. Le maniche sono lunghe fino al polso, aderenti e prive di bordi o bottoni. Il lembo inferiore della veste poggia sulle punte delle calzature, delineandone la forma ma coprendole interamente, e cade a terra in ricche pieghe, in ossequio ad un gusto ampiamente attestato per questo soggetto nella scultura del tempo anche per quanto riguarda foggia e colori dell’abbigliamento. Alle estremità della base del collo, tra i capelli e le spalle, due fori circolari passanti erano forse destinati ad alloggiare le terminazioni del sostegno che originariamente sosteneva l’aureola.

Maria porta il Bambino sul fianco sinistro, trattenendolo al bacino con la mano e sostenendone appena un piede con la destra. La posizione di Gesù è molto inclinata rispetto a quella della madre e il lieve piegamento in avanti del busto non è sufficiente ad allontanare l’impressione di forte asimmetria e di sbilanciamento della composizione e di una complessiva non felice resa plastica del fanciullo, più mostrato al riguardante che raccolto tra le braccia materne.

 

Il piccolo è coperto solo da un panno con ampie tracce di doratura che gli cinge i fianchi e che egli stesso trattiene con la sinistra. La testa è resa con tratti fisionomici decisi, molto simili a quelli della madre, incorniciati da una massa abilmente descritta di corti capelli castani ricciuti che lasciano scoperte orecchie clamorose per dimensione e attaccatura. Nella destra Gesù stringe l’ala sinistra di un cardellino che invano tenta di liberarsi beccandogli il polpastrello dell’indice. Le forme e la sgargiante colorazione del piumaggio dell’uccello, di cui rimangono tracce, sono suggerite con efficacia da incisioni graffite sulla pietra.

 

Il cardellino, frequentemente attestato nelle rappresentazioni artistiche del periodo, è un richiamo alla tradizione popolare che vede nella macchia rossa delle piume sulla testa del pennuto un ricordo della goccia di sangue caduta dalla fronte di Cristo sull’esemplare che tentava di alleviare le sofferenze della Passione togliendo col becco una delle spine della corona. Secondo uno schema circolare ricorrente nell’iconografia antica la presenza del cardellino nell’infanzia di Gesù  prefigura il destino di sofferenza e morte profetizzato dalle Sacre Scritture necessario per la redenzione dell’umanità peccatrice. Anche qui come nella Madonna - ma in questo caso sotto le ascelle - due fori passanti non necessari alla definizione dei volumi erano probabilmente funzionali al sostegno dell’aureola. 

La nicchia (B) che da non molti anni ospita il gruppo statuario è ricavata in quello che originariamente era muro meridionale del campanile, ma in precedenza la scultura era collocata nella vicina nicchia (A), più ampia e dunque più adatta ad ospitarla, nell’andito che separa la sacrestia dal presbiterio, ossia sull’esterno della parete orientale della torre campanaria, in cui attualmente è esposta un’immagine lignea policroma di san Rocco.

 

Spiazzi ha ipotizzato che, in origine, la statua potesse trovarsi nella non lontana chiesa di Santa Maria in Fibbio, esistente nel XII secolo nei pressi dell’attuale via Radisi. Nel 1532, al tempo della visita pastorale del vescovo Gian Matteo Giberti, di tale chiesa non si fa menzione mentre si ricorda l’esistenza, nella parrocchiale di San Martino Buon Albergo, di un altare «di Santa Maria antica». 

 

Potrebbe trattarsi proprio dell’altare dell’antica chiesa di Santa Maria in Fibbio, rimosso prima dell’abbandono dell’edificio e trasportato (con la statua che vi era esposta) nella chiesa del capoluogo. Nel 1744, infine, al tempo dell’ampliamento della chiesa intitolata al vescovo di Tours e della connessa demolizione dell’altare ora ricordato, la scultura sarebbe stata posizionata nella nicchia (A). Non si può escludere, naturalmente, che l’opera sia nata proprio per la chiesa di San Martino e che l’eventuale rimozione dalla collocazione originaria sia stata determinata dal mutamento dei canoni estetici. In ogni caso, le dimensioni della statua sono consone all’esposizione su altare, impiego con il quale bene si conciliano il buono stato di conservazione generale e dei pigmenti in particolare.

La struttura del gruppo scultoreo, la connotazione fisionomica delle figure e, soprattutto, il raffronto con la produzione artistica scaligera di epoca tardo-medievale suggeriscono una datazione tra la seconda metà del secolo XIV e i primissimi anni del XV. In particolare, i tratti della testa e del viso, un certo quasi inconfondibile modo di rendere i capelli, la corona ed il panneggio mi spingono, spero non avventatamente, a riconoscere nella Madonna in trono col Bambino della parrocchiale di San Martino Buon Albergo la stessa mano che scolpì almeno alcune delle otto statuette – in particolare quelle raffiguranti la Madonna con il Bambino (e il cardellino) e l’Annunciazione - che formano il fastigio del monumento funebre della famiglia Dal Verme nella chiesa di Santa Eufemia di Verona.

 

Se tale attribuzione venisse suffragata da altri e più autorevoli pareri, la nostra scultura, di cui si confermerebbe in tal caso la datazione sopra indicata, sarebbe opera di Antonio da Mestre, lo scultore cui Fabrizio Pietropoli ha assegnato, nel 1996, la paternità della tomba Dal Verme. Questo maestro veneziano, molto attivo in città e nell’Est veronese tra gli ultimi anni ottanta del Trecento e il primo ventennio del Quattrocento, rivelò una forte personalità artistica, tale da «improntare di sé», come ha scritto Gian Lorenzo Mellini, «la scultura fin de siècle a Verona»*.

La Madonna in trono col Bambino di San Martino Buon Albergo si conferma perciò un importantissimo monumento dell’arte veronese, vecchio di oltre sei secoli, che merita di essere restituito alla fruizione e alla devozione popolare anche pensando con sollecitudine ad una collocazione più conveniente della nicchia in sacrestia, angusta e scarsamente accessibile al pubblico.

 

Roberto Alloro

 

*Ringrazio la prof.ssa Tiziana Franco, professore associato di Storia dell’Arte Medievale presso il Dipartimento di Discipline storiche artistiche e geografiche dell’Università degli Studi di Verona, per le cortesi indicazioni. 

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