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Oratorio di Sant'Antonio Abate. 1997 - Foto E. Dal Cerè

 

Scheda storica - Arch. Sergio Spiazzi

 

Il nome dell' attuale quartiere di S. Antonio deriva dall'esistenza in tal posto di un oratorio dedicato a S. Antonio Abate e demolito nelle seconda metà del XIX secolo per far posto, prima ad una costruzione rurale e, successivamente, all'edificio a quattro piani che campeggia vicino alla Rosella, a nord della statale.

In alto sulla facciata una nicchia contiene la statuetta di S. Antonio Abate in ricordo dell'oratorio distrutto. Una lettera del 1835 del parroco di allora, don Giuseppe Maria Gilardoni, descrive la storia controversa dell'oratorio con casa e orto annessi.

Già anni addietro, nel 1754, il parroco di San Michele rivendicava l'oratorio e la località quali sotto la sua giurisdizione, ma anche il Comune di S. Martino, in virtù di antichi elenchi delle strade comunali del 1589, affermava che la località oltre la Rosella apparteneva al proprio territorio.

Vi furono numerose discussioni e liti che si protrassero per quasi due secoli fino al 1927, anno in cui il borgo di S. Antonio venne aggregato definitivamente al comune e alla parrocchia di San Martino.

Nella lettera del 1754, l'arciprete di S. Michele, intervenendo per difendere i diritti del monastero di S. Michele in Campagna contro la parrocchia di S. Martino, scrive: "Con massima di ragione e di fatto inconcussa ed irrefutabile che il confine della Contrà di S. Michel in Campagna a Oriente o mattina vi è la Fossa derivante da Montorio detta volgarmente Rosella o Cermisona che và verso la Cengia. Per tutto sin Proc.o Sez. A. Mazzo p. 'A" 26 del Monastero di S. Michel contro la contrà detta verità apparisce. Ma ancora più preciso à l'originario fondamento della vendita fatta dal Comun di Verona ad Envio di Mozzecanne e Magnin di Peschiera ... " che acquistano dal Comune di Verona, il 14 maggio 1230, una" ... petia terrae aratoriae et vigrae et Campagniva Communis Veronae que jacet in Campanea Veronae inter S. Michaelem in Campanea, et S. Martinum Bonalbergum e strata stapholata quae vadit ad S. Martinum superius ... confinia ad uno latere via comunis ... quae vadit ad S. Martinum Bonalbergum ... et indi de alio capite Fossatry S. Martini et via quae vadit ad montem aureum".

Continua: "Codesto immutabile confine è quello d'oggi la fossa tutta allora detta di S. Martino ora Rosella o Cermisona chè appoggiata alla strada che va a Montorio, come nel disegnetto antico e moderno e perciò chiaro si rileva che le case e chiesa di S. Antonio dippoi fabricata sono entro detto confine e però di S. Miche!”.

 

Bartolomeo Visconti, che intanto aveva acquistato la possessione dal Mozze-canne, il 3 gennaio 1255 (lo stesso documento è segnalato in ASVr, S. Michele in Campagna, perg. n. 163 originale 1211 gennaio 3 ind. XIV, probabilmente trascritto con data erronea), fa testamento lasciando al monastero benedettino delle suore di S. Michele in Campagna alcuni beni tra S. Michele e S. Martino, a nord dell' attuale strada statale, istituendo erede la propria madre, Gisla, e dopo di essa il suddetto monastero: " ... in communis Verone que jacet in campum Verone ind Sctum Michaeli in Campagna e Sctum Martinum Bonalbergum astrata stafolata (i Staffoli sono cappelle o capitelli votivi) que vadit ad Sctum Martinum ... ".

 

Tali beni sono consistenti e divisi in diversi corpi. Il primo è formato da 327 campi e 19 vanezze " ... trecinti viginti septem campi e decem e novem vanezie ... ", il secondo di 47 campi" vigri" posti tra lo “...stafolum curtum...” verso il “... fossatum sancti Martini e ad via que vadit ad montem aureum...”, mentre il terzo appezzamento costituito da 249 campi e 7 vanezze si estende al di sopra della strada statale e le proprietà di "... Rodolfinus de Cagabissis e jura predictis monastero S. Miche!. .. ", mentre da una parte troviamo come confine il fossato esterno al paese di S. Michele e dall'altra parte il fossato di S. Martino e la via che porta a Montorio.

 

La descrizione della località è precisa, in quanto i confini di S. Antonio non sono mutati da allora. Già esisteva la Rosella allora chiamata "... fossatum sancti Martini ... ", canale artificiale costruito probabilmente in epoca comunale, e le strade "... ad via que vadit ad monte aureum ...", l'attuale Via CavaI e "... via comunis sta folata que vadit ad sancto Martinum bonalbergum ... ", l'attuale Statale 11.

 

I beni sono trasferiti al monastero il 17 novembre del 1272 che edifica l'ospedale e la chiesa di S. Antonio Abate, tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300. Il primo documento trovato è del 6 novembre 1370 e si riferisce a suor Lucia Pini, la quale fu posta in possesso dell'ospedale e chiesa di S. Antonio in vicinanza del ponte di S. Martino Buonalbergo come descritto in una pergamena del monastero di S. Nazaro e Celso "...ponte fouce sancti Martini Bonalbergi ... cum domo murata copata et solarata cum curte ara et ... orto ... appellatum hospital sancti Anthony (presso) pont sancti Martino Bonalbergi ... " e come ricordato dal Biancolini nella sua opera del 1750 sulle "Notizie storiche delle chiese di Verona", succedendo a Frà Crescimbene qm Nascimben ed a Frà Giovanni da Monteforte conversi del medesimo monastero "... e padroni dello detto Spedale”.

 

Quindi la prima costruzione si riferisce ad un posto di sosta per pellegrini, un luogo lungo la strada vicentina che potesse essere di aiuto ai viandanti in entrata ed in uscita dalla città, ed un luogo per raccogliere i diseredati bisognosi di cure mediche e di cibo.

 

Il 6 novembre 1387 viene stipulata una locazione tra l'Ospedale di S. Antonio, il quale possedeva diverse terre in proprietà, attraverso "... domina Madalena ... de Verona, Abatissa ... " e Giovanni qm Giacomo di San Martino Buon Albergo, che viene investito "...de una petie terre Casal cum domo murata ... travezata et copata".

Un documento del 1501 ci indica come "... Aloysius Lipommus ... venetus rector perpetui simplicis beneficij ecclesiastici S. Antonii prope villam S. martini bonalbergi veronensis diocesis (di tutti i) benefici} ecclesiasticii ... ", il quale viene nominato rettore fino alla sua morte della chiesa e relativi possedimenti.

Probabilmente, nel corso del XV secolo si vogliono creare delle strutture autonome sul territorio, staccate dal monastero e quindi date in beneficio a dei rettori o priori.

Nella visita pastorale del Giberti, gli appunti annotati nel registro in data 15 agosto 1529 ci permettono di capire che l'ospedale era ormai dismesso da diverso tempo, visto che lo stesso vescovo viene informato della sua antica esistenza, mentre la chiesa si presenta "...ruinosa cum quadam una domuncola eodem modo minantè”, cioè in cattive condizioni, con una casetta vicina abbandonata, mentre non sono più visibili gli affreschi ed il cippo di S. Antonio, suggerendo quindi di restaurare il tutto con la vendita dei beni.

Nella visita pastorale del 1532 si legge: "Die mercurii 5 iunii 1532 post nonam.

Praefatus reverendus dominus Philippus Stridonius, visitator, in Dei nomine prosequendo visitationem suam, se contulit ad villam Sancti Martini Bonalbergi, ubi imprimis visitavit hospitale sub vocabulo Sancti Antonii, cuius rector est Andreas filius quondam Baptistae Carterii et habet campos 12 terrae macrae ... ".

Il luogo conserva come riferimento il nome di ospitale anche se ha perso però quella sua funzione originaria con un rettore a gestirlo, suggerendo come aveva fatto tre anni prima il Giuberti, di restaurare gli edifici.

Altri documenti riferiti al XVI secolo trattano su questioni legate alle continue liti sul confine tra i parroci di S. Michele e S. Martino. Nel 1567 la controversia si concluse con la conferma delle terre e quindi degli edifici di S. Antonio al territorio di S. Michele.

Nel corso del XVI e XVII l'oratorio di S. Antonio perde quell'importanza dei secoli precedenti. A notizie che si riferiscono al "priorato" succedono quelle relative alla presenza di eremiti, come nella visita pastorale del 1648, dove custode della chiesa di S. Antonio abbate si trova l'eremita Clemente Galli.

Un documento del 1678 parla di "licenza questuandi” all'eremita Giovanni Battista di Noveville della chiesa di S. Antonio Abbate. Durante la visita pastorale del 24 giugno 1697, effettuata da Alessandro Spolverini, arciprete della Cattedrale di Verona e dall'abate Alvise Priuli, il luogo viene identificato come S. Antonio da Vienna "Ecclesiola tittulo S. Ant: da Viena ... cum heremitario ... cum domuncula ... " momentaneamente privo di eremiti e dipendente dalla parrocchiale di S. Martino.

Nella visita pastorale del 1710 S. Antonio viene posto nell'elenco degli oratori minori e custode della casa ed oratorio "saccellum Sancti Antonii Abbatti”, "fra' Giovanni Battista Laner de Tridento heremita".

Un altro eremita, "Francesco Antonio Graifinbergh", lo troviamo nel 1725 con mandato e licenza dell'abbazia di S. Zeno. Mentre, nella visita pastorale del 1736, custode della chiesa troviamo l'eremita Jacobij Perezanus, anche lui con mandato abbaziale.

Nella visita pastorale del 23 ottobre 1754, effettuata da don Giò Batta Ravignano, la chiesa viene trovata in cattive condizioni tanto che si ordina di rifare il portatile e la statua di legno di S. Antonio Abbate posta sull'altare e di sistemare la porta d'entrata secondaria in legno dell'edificio, dove di solito entra l'eremita.

Vicino all'oratorio, nel corso del XVI e XVII secolo, sorsero diverse costruzioni rurali e, lungo la strada, anche un'osteria. Un documento della seconda metà del 1700 scritto da Ottavio Simonari, curato di S. Michele, ci descrive un frammento di storia di questo piccolo borgo, elencando battesimi, matrimoni e funerali, sottolineando le continue liti e scelte diverse degli abitanti, i quali venivano, per esempio, sepolti sotto S. Martino o sotto S. Michele a seconda delle volontà dei loro familiari.

Se qualcuno annegava nella Rosella ed il corpo si trovava verso la sponda di S. Martino, veniva sepolto a S. Martino; se veniva recuperato sulla sponda di S. Michele veniva sepolto a S. Michele. Qualche annegato fu anche spinto da una sponda all'altra per poterlo seppellire nel paese per cui si parteggiava. Interessante sarebbe il recupero dei libri antichi citati dal curato di S. Michèle riguardanti S. Antonio.

Una descrizione del borgo di S. Antonio l'abbiamo nell'estimo del comune di S. Martino del 1766 che viene così riportata: "In contrà di S. Antonio vi è una chiesa dedicata al Glorioso S. Antonio Abbate giurisdizione dell'Ecc. mo Carlo Rezzonico nipote di Sua Santità Clemente XIII .. , contigue (h) a due casette con un campeto di terra che serviva come mantenimento di detta chiesa, in una abita il custode Romito (eremita), nell'altra un bracente di Campagna. In detta contrà contigua alle due casette vi è un'Osteria di sua Ecc.za Zenobio e del Sig. Conte Orti-Manara, oste di detto luogo è Pietro Tegazzino.

A nord della strada in detta contrà vi sono due finili con una casa dita la possession del Cavallo. A sud della strada vi è un finile con tre case contigue dette le casette".

La storia dell' oratorio continua fino al 27 ottobre 1835, data in cui il parroco di S. Martino, don Giuseppe Maria Gilardoni, scrive una lettera al signor Pietro Dorigotti, vice Rettore del Seminario di Verona. In tale scritto il parroco risponde alla richiesta fatta dai superiori sulla situazione dell'Oratorio di S. Antonio in quanto un certo Luigi Gaspari del fu Giambattista voleva acquistare la chiesa per trasformarla in abitazione privata.

Nella lettera il parroco sottolinea di non sapere come gli immobili siano finiti nelle mani del Demanio (il Demanio Pubblico aveva requisito il bene ecclesiastico attorno al 1806, in quanto intestato nel Catasto Napoleonico alla Congregazione di Carità di Verona, ed aveva venduto, nel 1826, l'immobile ad un certo Pietro-Paolo Zambona della contrada di S. Paolo di Campo Marzo), visto che, in un libro antico custodito in parrocchia e trascritto da uno più antico datato 17 agosto 1608, si trovano registrate tutte le entrate della parrocchia, mentre alla pagina 47 si legge "Item la medesima Chiesa di S. Martino possiede un Campo, una chiesetta appresso la chiesa di S. Antonio Abbate, che confina da una parte la fossa grande del Fibio (questo è quello che è chiamato la Rosella) dall'altra la strada Vicentina e da due parti i Beni Cozzi e i Beni Murari, con obbligo di celebrare due Messe al Mese, e disposta la solennità in detta chiesa nel giorno del santo, come giurisdizione parrocchiale, e le due messe devono essere celebrate nei giorni feriali...”.

Parlando dell'oratorio, don G. M. Gilardoni, spiega come sia stato profanato e abbandonato precedentemente al 1813, anno del suo arrivo a S. Martino, quando: "Per la guerra che succedette, la accampata truppa militare, rotta la porta dell'oratorio lo riempirono di cavalli, nel qual tempo ebbe a cadere il tetto tutto quanto e fu resa poi inutile la chiesa, alla quale, finita la guerra, poiché la gente non continuasse a profanarla, fu murata la porta, quanto alla casetta ammessa alla chiesuola, anch'essa in tempo di guerra fu diroccata. E il campo nominato nel libro di questo parrocchiale archivio?”.

Rispetto alla costruzione della casa invece si esprime come segue: "Dirò adunque schiettamente che quando venisse concessa la detta licenza pare che bastar potrebbe il collocare in alto una nicchia sopra la facciata della casa novella la statuetta del santo, come sta ora nella facciata stessa del suo Oratorio; e ciò a memoria che prima avevi Chiesa".

In quanto alla ricostruzione dell' oratorio il parroco si esprime in termini dubbiosi per la vicina presenza dell'osteria e scrive a tal proposito: "Ma anzi quando venisse riedificato (e già tale riedificazione è fuori da ogni anche minima speranza), sarebbe sotto lo spacioso pretesto di Divozione, e di visita, un vero zimbello alla gente oziosa e beona; e solo una dannarola guadagneria per l'oste, non affatto all'Oratorio stesso vicino; cosicchè torna assai meglio, che non sia riedificato di nuovo".

 

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