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San Martino vescovo, san Francesco e san Domenico - Pasquale Ottino (attribuito)

Foto -  A.G. Scolari.

 

Scheda Artistica - Dott. Roberto Alloro

 

Nella pala conservata nella chiesa parrocchiale di San Martino vescovo, anticamente posta sopra la mensa dell’altar maggiore ed ora nel coro, in uno spazio ricavato tra le canne dell’organo, il santo patrono (nato a Claudia Sabaria, nell’antica provincia romana di Pannonia, oggi Szombathely in Ungheria, nel 316 circa – morto a Candes, in Francia, nel 397) è raffigurato al centro del registro inferiore, in ricco paramento episcopale. Il piviale rosso è decorato da una fibbia in oro e pietre preziose e da una fascia ricamata con figure di santi.

 

Per rendere immediatamente conoscibile l’identità del vescovo, il pittore ha raffigurato, in secondo piano, all’altezza della caviglia sinistra del santo, l’episodio della carità del mantello, in cui Martino indossa un’armatura di foggia contemporanea. Affiancano il patrono altri due autentici campioni della Chiesa, protagonisti indiscussi del grande moto di rinnovamento attuato dagli ordini Mendicanti a partire dal tredicesimo secolo: san Francesco a sinistra e san Domenico di Caleruega a destra.

 

Il santo di Assisi (Assisi ca. 1182 - 1226), fondatore dell’ordine dei frati Minori, è raffigurato con il saio marrone cinto dal cingolo di corda con i nodi simboleggianti i tre voti religiosi (obbedienza, povertà e castità). Le mani recano ben visibili le stimmate ricevute nell’estate del 1224 sul sacro monte della Verna. Al fianco sinistro del santo pende la corona del rosario francescano, a ricordo della preghiera costante ed intensa.

 

Domenico (Caleruega, nella Vecchia Castiglia, ca. 1170 - Bologna 1221), fondatore dell’ordine dei frati Predicatori, chiamati comunemente Domenicani, è ritratto nell’abito religioso del suo ordine, veste bianca e cappa nera, con i tre attributi più comuni: il giglio nella destra, il libro nella sinistra e la stella nell’aureola sopra la fronte. L’iconografia è densa di simbolismo. Il bianco della veste indica la purità dell’anima e l’innocenza dei costumi. Il nero della cappa significa il lutto (per la morte di Cristo), la penitenza e l’umiltà. Il giglio – simbolo di purezza e castità – secondo alcuni sarebbe simbolo del culto tributato da Domenico alla Vergine. Il libro della Sacra Scrittura è un invito alla meditazione, allo studio, alla predicazione e ricorda l’innovazione più originale di Domenico nelle istituzioni ecclesiastiche, ossia l’introduzione dello studio come mezzo ordinario per tutti i Predicatori. La stella ricorda quelle viste dalla nutrice sulla fronte e sulla nuca del neonato Domenico al momento del battesimo, simbolo delle sue luminose dottrine.

 

Il registro superiore del dipinto è occupato dalla visione gloriosa del Cristo risorto benedicente che nella sinistra regge il globo terrestre. Ai suoi piedi, genuflessi, da un lato la Vergine Maria intercede per i sottostanti, dall’altro è raffigurato san Giuseppe orante. Il dipinto viene attribuito solitamente al pittore veronese Pasquale Ottino (Verona 1570-1630), altre volte al suo maestro e concittadino Felice Brusasorzi (Verona 1539/40-1605) o comunque alla di lui cerchia.

 

Viene spontaneo chiedersi quale sia l’eventuale nesso che lega tra loro i santi del registro inferiore, quale la relazione tra essi e la visione rappresentata in quello superiore e, infine, quale il messaggio che il committente voleva trasmettere scegliendo un soggetto così articolato. In mancanza di una risposta certa, facciamo alcune riflessioni. La prima è intrinseca e riguarda la visione, che il gioco degli sguardi sembra attribuire a Francesco e a Martino ma non a Domenico, gli occhi del quale sono rivolti allo spettatore. Il mantello che copre il dorso, la spalla e il braccio sinistro del Risorto potrebbe essere un richiamo alla visione in cui, la notte successiva all’episodio della carità di Amiens, il Cristo si mostrò al giovane cavaliere ricoperto del mantello regalato al mendicante. E forse non è un caso che anche Francesco abbia compiuto lo stesso gesto, il dono del mantello ad un bisognoso, episodio immortalato da Giotto nel ciclo delle storie del santo nella basilica di Assisi.

 

La rappresentazione di Francesco e Domenico ai lati del santo titolare Martino può essere frutto casuale dell’accostamento al patrono di due santi per i quali esistevano in paese devozioni private o della comunità. Potrebbe esserci, però, anche un altro e meno immediato significato. Francesco e Domenico si incontrarono personalmente e si riconobbero uniti nella difesa del messaggio di Cristo. Il santo di Caleruega aveva avuto, in precedenza, una visione in cui la Madonna intercedeva presso il Figlio adirato con i peccatori dicendo di poter contare su due fedeli, lo stesso Domenico e Francesco, in grado di salvare gli uomini e la Chiesa intera.

 

Una scena che mostra diverse analogie con il soggetto rappresentato in questo dipinto. L’accostamento dei due grandi rinnovatori medievali a San Martino, cerniera ideale tra monachesimo orientale e cenobitismo d’occidente, potrebbe allora essere letto come celebrazione della grandezza della vita religiosa e, in senso più ampio, della comunità cristiana, sempre capace di generare dal suo interno uomini ed energie in grado di rinnovare strategie e modalità del cammino, individuale e collettivo, verso Dio.

 

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