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Anonimo sec. XVIII, San Francesco alla mensa del cardinale Ugolino (San Martino Buon Albergo, chiesa di San Martino Vescovo) - foto G. Rossignoli

 

 

Scheda Artistica - Dott. Roberto Alloro

 

 

Storie di san Francesco d’Assisi

San Francesco alla mensa del cardinale Ugolino (Anonimo, sec. XVIII)

 

Il dipinto occupa il  lato sinistro del presbiterio e fa pendant con L’approvazione della Regola, anch’esso provienente dal demolito oratorio di San Francesco. La scena è ambientata in un grande palazzo patrizio, la cui magnificenza è accennata dagli elementi architettonici monumentali che occupano il quadrante superiore sinistro. Il cardinale Ugolino di Anagni, assiso in trono sotto il baldacchino, domina il quadrante opposto. Francesco, accompagnato da uno dei suoi frati, si inginocchia e depone dei tozzi di pane ai piedi del cardinale, suscitando in lui un moto di sorpresa e sconcerto che si riverbera anche nei personaggi della corte. Lo schema compositivo è molto simile a quello dell’Approvazione della Regola e le evidenti analogie stilistiche inducono a ipotizzare, per entrambi i quadri, la mano di un unico autore. Questo l’episodio narrato nella Legenda perusina, ritenuta - come scrive Maria Pia Alberzoni - «ormai concordemente una delle voci più immediate e fedeli all’ambiente di Francesco»:

 

In altra occasione, Francesco, andato a far visita al vescovo di Ostia, più tardi eletto papa, all’ora del desinare scivolò fuori casa a questuare, ma di nascosto per riguardo al vescovo. Costui, quando Francesco rientrò, stava assiso a mensa e aveva incominciato a mangiare, poiché aveva invitato anche alcuni cavalieri, suoi consanguinei.

 

Il Santo depose le elemosine sulla tavola del vescovo, poi venne a sederglisi vicino. Il prelato infatti, quando Francesco era suo ospite, voleva che all’ora dei pasti prendesse posto al suo fianco. Quella volta rimase un po’ male, per il fatto che il Santo era andato alla cerca; però, per riguardo ai commensali, non gli disse nulla.

Dopo che Francesco ebbe mangiato qualcosa, prese le elemosine e ne distribuì un poco a ciascuno dei cavalieri e dei cappellani del vescovo, come dono da parte del Signore Dio. Tutti lo ricevettero con molta devozione. Alcuni lo consumarono, altri lo riposero con un senso di venerazione. Anzi, si levarono il cappello in segno di rispetto a Francesco, nel momento che lo ricevevano. Ugolino fu ricolmo di gioia nel vedere tanta devozione, soprattutto perché quei frustoli non erano pane di frumento.

Dopo il pranzo, il prelato si alzò ed entrò nella sua camera conducendo con sé Francesco. E levando le braccia, strinse a sé il Santo in uno slancio di gioia esultante, dicendogli però: «Ma perché, fratello mio semplicione, mi hai fatto l’affronto di uscire per la questua mentre stai in casa mia, che è casa dei tuoi frati?». Rispose Francesco: «Al contrario, signore: io vi ho reso un grande onore. Invero, quando un suddito esercita la sua professione e compie l’obbedienza dovuta al suo signore, egli onora il signore e insieme il rappresentante di lui».

 

E aggiunse: «Io devo essere modello ed esempio dei vostri poveri, perché so che nella vita e nell'Ordine dei frati, ci sono e saranno dei frati minori di nome e di fatto, i quali per amor del Signore Dio e per ispirazione dello Spirito Santo, che insegna e insegnerà loro ogni cosa, sapranno umiliarsi a ogni genere di umiltà, sottomissione e servizio del propri fratelli. Ma ci sono e saranno di quelli che, trattenuti da vergogna e mala abitudine, hanno e avranno a noia di umiliarsi e abbassarsi a mendicare e adattarsi ad altre umili occupazioni. È mio dovere istruire con il comportamento i frati che sono e saranno nell'Ordine, affinché siano senza scusa davanti a Dio, sia in questo che nell'altro mondo.

E quando sono ospite in casa vostra, che siete nostro signore e papa, o nella dimora di magnati e ricchi, che per amor di Dio mi offrono con molta devozione e anzi mi impongono la loro ospitalità, io non voglio arrossire di andare alla questua, ma ritenere ciò un titolo di gran nobiltà, una dignità regale, un onore che mi fa il sommo Re. Egli, Signore di tutti, ha voluto per slancio di amore diventare il servo di tutti; ricco e glorioso nella sua maestà divina, è venuto nella nostra umanità povero e disprezzato.

Per questo voglio che i frati presenti e futuri sappiano come godo la più gran consolazione di corpo e di spirito allorché siedo alla povera mensa dei frati e mi vedo dinanzi le poverelle elemosine accattate di porta in porta per amor del Signore Dio, che quando sto alla mensa vostra e di altri personaggi grandi, carica di ogni genere di cibi, sebbene mi vengano offerti con sincera devozione. Il pane dell’elemosina è pane santo, santificato dalla lode e dall’amore di Dio. Quando infatti il fratello va alla questua deve dire: “Sia lodato e benedetto il Signore Dio!”, e poi soggiungere: “Fateci l’elemosina per amore del Signore Dio”».

E il vescovo di Ostia, profondamente edificato da questa elevazione del padre santo, gli rispose: «Figlio, fai quello che ti sembra meglio, poiché il Signore è con te e tu con Lui».

 

Secondo Alberzoni, fatti come questo hanno particolare importanza perché «mettono in risalto profonde differenze di mentalità e punti di vista proprio tra Francesco e il cardinale Ugolino d’Ostia, che nella curia romana fu il sostenitore più efficace, costante, amorevole dell’ordine nascente» dei frati Minori. Per un altro studioso, Giovanni Miccoli, la scelta dell’Assisate «è la via della testimonianza, lo sforzo di rivelare agli altri il mistero del Cristo, incarnandolo nella quotidianità di un amore fraterno e ripetendo in se stessi il mistero del sacrificio eucaristico… un modo di essere diverso, alternativo ai binari correnti, un richiamo costante ad altri valori, smentiti, negati o assenti nel contesto sociale e politico del proprio tempo». Tra questi atteggiamenti e le esigenze della Chiesa romana esisteva «una impossibilità oggettiva» di intesa.

 

 

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