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L’Ultima Cena

di Luigi Sughi il Vecchio (da Leonardo da Vinci)

 

Scheda Artistica - Dott. Roberto Alloro
 

 

 

 

«Parapeto con intagli in legno, colorito a marmo di Carrara, rappresentante la Cena di Gesù Cristo di Lonardo da Vinci , intagliato dal celebre artista di Verona Sughi il Vecchio, e con due teste d’angelo portanti fiori, dorati a fino, dai lati, come compimento.»

 

Questa la descrizione dell’oggetto di questa scheda fornita nel minuziosissimo Inventario della chiesa parrocchiale di Marcellise eseguito nel 1877, nella sezione dedicata ai Fornimenti di altare eccetera eccetera.

 

Il paliotto oggi adorna il prospetto della mensa alla quale il sacerdote celebra la santa Messa, ma ha perso l’originaria coloritura bianca, essendo stato malauguratamente “sverniciato” a legno nel corso del restauro eseguito intorno alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Malauguratamente perché la finitura “a marmo di Carrara” non era affatto un espediente messo in campo dalla bottega «per concludere in fretta il lavoro» del maestro defunto prima di terminarlo, come abbiamo sentito dire al buon parroco. Si trattava, invece, come vedremo, di una precisa scelta artistica.

 

L’autore dell’opera è il non meglio noto Luigi Sughi, detto Sughi il Vecchio, al quale l’Inventario attribuisce anche la statua dell’Immacolata Concezione e un «bellissimo crocifisso di legno colorito al naturale» ancor oggi esistenti nella chiesa.

 

L’artista ha qui “tradotto” in bassorilievo l’Ultima Cena dipinta da Leonardo da Vinci nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, a Milano, tra il 1495 e il 1498. La trascrizione plastica del dipinto è assolutamente fedele, ad eccezione della “licenza” costituita dall’invenzione di quella parte che nell’originale leonardesco non esiste a causa dell’architrave di una porta che si apre al centro della parete ed occlude lo spazio occupato dai piedi di Gesù e degli Apostoli a lui vicini. Il raddoppio delle gambe della tavola (quattro, anziché due come nell’originale) è invece dovuto probabilmente alla necessità di spezzare l’impatto visivo di una tavola altrimenti troppo lunga, assolvendo in pratica alla stessa funzione svolta nell’originale dalla struttura della porta.

 

L’occhio dello scultore si focalizza sulla tavola imbandita e i commensali, eliminando la vista prospettica del grande salone addobbato che ospita la cena. Al centro siede Gesù. Alla sua destra (la nostra sinistra) vediamo, nell’ordine (ci riferiamo alle teste), Giovanni, Pietro, Giuda Iscariota, Andrea, Giacomo e Bartolomeo. Alla sua sinistra (la nostra destra) stanno Tommaso, Giacomo Maggiore, Filippo, Matteo, Giuda Taddeo e Simone.

 

Il tema è il notissimo passo del vangelo di Giovanni: «Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.» (Gv. 13,21-26)

 

La reazione degli Apostoli a queste parole è di stupore e di meraviglia; c’è chi si alza perché non ha udito il dialogo, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, chi commenta con il vicino. Una moltitudine complessa di sentimenti e movimenti, che Leonardo cerca di rappresentare soprattutto attraverso i gesti, la mimica dei corpi e le espressioni dei volti.

 

Pietro (quarto da sinistra) nella mano destra impugna il coltello e, chinandosi con impeto in avanti, con la sinistra scuote Giovanni chiedendogli «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Giuda, davanti a lui, stringendo la borsa con i trenta denari per i quali ha tradito Gesù, indietreggia con aria colpevole e nell’agitazione rovescia la saliera. Giovanni non è adagiato nel grembo o sul petto di Gesù, ma è separato da lui, nell’atto di ascoltare la domanda di Pietro, lasciando così il Cristo solo al centro della scena All’estrema destra del tavolo Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati il loro smarrimento e la loro incredulità. Giacomo Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui Filippo porta le mani al petto, protestando la sua devozione e la sua innocenza. Al centro è raffigurato Gesù con le braccia aperte, quasi trasfigurato nell’intensità tragica e grandiosa del momento.

 

Ritengo che il bassorilievo, databile alla prima metà dell’Ottocento, fungesse in origine da paliotto all’altare maggiore, come attestano foggia e dimensioni delle due paraste con le teste d’angelo e grappoli di frutta pendenti che lo completavano e che lì sono state lasciate (o ricollocate), perfettamente adatte alla struttura dell’altare medesimo. Da un punto di vista simbolico, infatti, il soggetto leonardesco ben si adattava all’altare destinato a sorreggere il tabernacolo in cui viene conservata l’Eucarestia, il pane fatto Suo Corpo che Gesù spezzò con gli Apostoli in remissione dei peccati dell’umanità. Si comprende allora come anche la “coloritura a marmo di Carrara” avesse, in questo senso, una sua precisa logica, trattandosi di restituire l’idea di una base d’altare tutta di marmo bianco con paliotto in bassorilievo dello stesso materiale. Sull’alzata dell’altare, lo stesso gusto veniva ripreso dalle «statue rappresentanti i quattro profeti maggiori, di legno colorito a marmo di Carrara, da mettersi nel mezzo dei candellieri sull’altar maggiore, in certe piccole solennità», pure citate nell’Inventario, che ora occupano stabilmente il luogo loro assegnato.

 

Successivamente, forse per dare maggiore visibilità all’opera avvicinandola all’assemblea, l’Ultima Cena venne rimossa dall’altare maggiore e spostata alla mensa eucaristica, perdendo la funzione originaria e, con essa, la necessità della “coloritura”.

 

 

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