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di Piero Piazzola

 

27 aprile 1945: Un prete cimbro e un soldato tedesco, angeli incoronati.

 

Don Domenico Mercante e Leonhard Dallasega.

 

« La Resistenza è stata una scelta che ha consentito posizioni molteplici, come anche la testimonianza qui riportata dimostra: dai fronti dell’eroismo a quelli della sommessa pietà. Ma ci sono momenti in cui le distinzioni si riducono a un perentorio aut-aut; o dalla parte della luce o da quella delle tenebre. Un giovane soldato tedesco, padre di quattro figli, conosce l’alternativa di quell’ora. Gli vogliono far commettere un’infamia: uccidere un prete innocente. Erompe il suo “No!”, tante volte strozzato nella gola. Egli è dall’altra parte, accanto al prete, libero nella morte eroica ».   

                                                                                                                                                                                                             

Questa introduzione che Antonio Collo, studioso di storia contemporanea ha reso pubblica, comparve anonima su “L’Italia” di Torino nel giugno 1959.

È il 27 aprile del 1945. I tedeschi sono in fuga verso il Brennero. Un colonna di paracadutisti risale la valle del Progno - Illasi, in direzione di Passo Pertica, nel gruppo del Carega, da cui, poi, scendendo lungo la vallata di Ronchi-Ala, si potrà guadagnare la provinciale per il Brennero. Che voleva dire: guadagnare la strada più sicura per tornare nella terra d'origine; riguadagnare la libertà … dimenticare una guerra terribile.

 

La colonna punta su Giazza, il paesino che chiude la lunga Val d’Illasi, dove è parroco da un paio d’anni, don Domenico Mercante, nativo del paese. Come aveva fatto in altre occasioni quando v’era da mettere a rischio la propria persona per strappare alla fucilazione dei giovani, si fa incontro ai soldati per convincerli a evitare eventuali scontri armati con i patrioti che sono appostati sulle montagne circostanti.

Sarà questa l’ultima volta che i parrocchiani di Giazza vedranno il loro parroco.

 

I paracadutisti tedeschi, per garantirsi le spalle, lo prenderanno come ostaggio e, fucili puntati alla schiena, lo trascineranno con loro fino a Muravalle, vicino ad Ala, al bivio con Pilcante.  Don Domenico chiede un sorso d’acqua che gli viene negato. Poi solo il crepitio lancinante di una mitragliatrice seppellisce nel cratere di una bomba il prete e con lui un soldato della Werhmacht. Perché un soldato? Perché era cattolico e s’era rifiutato di uccidere un sacerdote. Era Leonhard Dallasega, nativo di Proves, in alta Valle di Non, il 15 ottobre 1913, sposato e padre di quattro figli. Mentre infuriava l’odio e la vendetta, due anime si univano per l’eternità in un atto d’amore e di ideale sublime.

 

                                                  *                   *                 *

Vintissète de April: in Paradiso / se spalanca le porte! Un vento novo / el im­pìssa le stéle a una a una /e mile campanili i se raduna... / Gh'è du angeli novi che riva, insieme: / uno, italian, la tònega da prete, / l'altro, todesco, con l'elmeto in testa... / In paradiso ancó l'è na gran festa!/ Con ale de cocal, tabar de luna, / i è rivadi col cor pien de alegria / volando piassè alti de i confini, / tegnendose par man, come butini...

 

Questo il sunto di un’altra notizia "giornalistica", mai pubblicata, ma apparsa sul quotidiano "La gazzetta del Pa­radiso" del 27 aprile 1945. Si usa questo linguaggio, asciutto, popolare, senza re­torica, lassù in Paradiso, anche quando si tratta di registrare la venuta di due nuovi angeli.

 

Venivano, quei due, tenendosi per mano, dal Trentino, e più propriamente da una buca di una bomba d'aereo, caduta mesi prima, proprio sul bivio della strada che porta a Ceré, in quel di San Martino, nei pressi di Ala. Venivano pro­prio di là, da quella buca, dove avevano fatto amicizia, all'ultimo momento, ma solo con gli occhi e con un lungo sospiro, un attimo prima di uno sparo. Là avevano intonato un canto: Osanna!

 

E pensare che di strada ne avevano fatta assieme! Un'intera giornata. Senza mai parlarsi; erano su due sponde opposte. Non potevano conoscersi. Forse non avevano avvertito che erano tutti e due credenti e che questo fatto li avrebbe uniti eternamente in un viaggio verso il serto del martirio. Quello vestito di nero, il prete, indubbiamente e apertamente, con la sua tonaca, legalizzava e manifestava la sua Fede; l'altro invece, in divisa militare, agli or­dini di un'egemonia tirannica e devastante, non azzardava confessare la sua. Quelli erano i tempi. Tempi per guardarsi da lontano. Non s'erano mai visti prima e tutti e due disperavano, uno più dell'altro. Uno soprattutto, il prete. Fino all'arrivo in quella buca al Bivio per Ceré.  

 

Una volta là dentro, all'improvviso si videro, s’intesero, si cercarono a vicenda, uno nella mano dell'altro e, insieme, si avviarono sulla strada verso l'eroismo. Il soldato in maniera forte come quell’altro in abito talare. Avevano bisogno tutti e due di Cielo, di prendersi per mano, di non perdere di vista il Cielo, perché il Cielo è lì, ma non è facile raggiungerlo da soli. Quello sparo indicò loro la scalata più veloce e marchiò a fuoco sulla pelle, indelebilmente, un salvacondotto per arrivare alla cima. Si die­dero mano, per arrivare insieme, per non perder tempo, per far la salita più spedita.

 

E arrivarono in un giorno di festa. In Cielo è sempre festa quando arriva qualcuno che ha scalato la via più spedita, cha ha dato il suo sangue per la Verità, quella con la lettera maiuscola. E ne arrivano tanti, ogni giorno, di quelli che te­stimoniano quaggiù la Verità con la vita. Loro l'avevano offerta tutta; il sangue l'avevano versato tutto, fino all'ultima goccia, là in quella buca. Lui, Leonhard, perché non aveva accettato di fucilare il suo "compagno" di fede, il prete; l'altro, il prete, don Domenico, perché doveva essere la vittima di un qualcosa, non si sa cosa, forse dell'odio, forse di una convenienza, di una garanzia.

 

Ed era stato portato via di violenza, un po' come fece Abramo col proprio figlio Isacco, là sul Monte Moria, ma con ben altri propositi. Là c'era da offrire una prova solenne di fede in Jahvè; qua, invece, il tornaconto di sacrificare qualcuno per salvar la pelle a un gruppo di fuggiaschi. Qualcuno doveva ben pagare il pedaggio per un ritorno incolume dei soldati alle proprie case. Chi meglio di altri? Il prete. E chi si è rifiutato di utilizzarlo a protezione di una fuga? Il soldato. Servirono perfettamente tutt’e due.

 

È questa la fine della storia di quei due inconsapevoli eroi, uno più eroe dell'altro, martiri uno più dell’altro. È questa la fine di don Mercante, che doveva arrivare in cielo per un’altra strada che non fosse quella comune che batte la maggior parte dei mortali. Non in punta di piedi, ma accompagnato da una scorta, come quando si muovono i grandi della terra. Non poteva don Domenico morire in un letto; non poteva prendersi una malattia e morire in pace. Partì in cerca della centesima pecorella. La trovò in quella buca del Bivio per Ceré.

 

E questa fu pure la fine della storia semplice, quasi oscura, senza grandi turbamenti, senza tante medaglie, del soldato Dallasega, rimasto per tanti anni ignoto; un soldato della Werhmacht, aggregatosi a un gruppo di paracadutisti, privi di scrupoli, per tornar anche lui nella sua Val di Non. Ebbe la fortuna di trovar sulla sua strada un don Mercante, un prete che lo guardò negli occhi e che, presolo per mano, lo scortò fino in cielo e fece festa con lui e con gli angeli. Senza di lui, forse, non sarebbe stata festa piena in Paradiso, neanche per don Mercante. Ora, là nel cratere del bivio per Ceré è rimasto sepolto solo il triste ricordo di quella raffica di fucili.

   

Al Passo Pertica è stato eretto un monumento in memoria dei due martiri che passarono per quella mulattiera per andar incontro al martirio. Nella cappellina di Giazza, accanto alla chiesa, don Domenico e Leonhard, uno vicino all’altro, raccontano ancora la storia dell’ultimo percorso verso la gloria.

 C'era una volta