Una madrina di guerra
a
cura di A. Solati
E’
una storia minima, questa.
Minima
perché il materiale che ho è scarso: otto lettere inviate dal fronte russo e
mancano quelle di lei che sono andate
perdute assieme al soldato a cui erano state mandate.
Minima
perché di grossi avvenimenti non ce ne sono: la censura sorvegliava con
attenzione e non avrebbe lasciato passare certi discorsi. Non sappiamo neppure
da dove esse siano state inviate anche se lo si può supporre.
Eppure,
analizzando con attenzione quello che lui
scrive, ne esce un racconto che mi sembra bello, pieno di poesia ed emozione.
Madrina
di guerra è una ragazza che chiameremo Maria.
Ma
cos’era una madrina di guerra? Si trattava di una istituzione del primo
conflitto mondiale. Avevano cominciato le signorine della buona società che
confortavano con lettere e pacchi i soldati, più spesso gli ufficiali, che si
trovavano al fronte. A volte, anzi molto spesso, i due non si conoscevano, erano
stati messi in contatto epistolare nei modi più svariati. La corrispondenza tra
la ragazza e il militare serviva a non farlo sentire troppo solo e a confortarlo
nei momenti peggiori. Al ritorno i due potevano anche sposarsi, più spesso
restavano soltanto amici, oppure non si incontravano
mai e tutto finiva in niente.
Maria
a quell’epoca, siamo nel ’42, non ha ancora vent’anni. E’ una bella
ragazza: alta, ben fatta, con folti e lunghi capelli biondi. Non ha studiato,
perché proviene da una famiglia povera, per ulteriore disgrazia suo padre è
stato un socialista convinto, finito spesso in carcere per le sue idee e morto
giovane. Lei ricorda di aver accompagnato la madre incinta della sorella più
piccola in caserma dai carabinieri che volevano sapere dove era nascosto
l’uomo e di averla sentita dichiarare. “No so gnente, se no’ me credì
tegnème rento”.
E’
intelligente, piena di iniziative, come questa di accettare di far
corrispondenza con uno sconosciuto che si trova in Russia.
Naturalmente
in paese c’è uno con cui
“discorre”. A quei tempi chi
alla sua età non lo ha può considerarsi ormai zitella.
Ma
è lontano, in Albania, se ne hanno scarse notizie non solo perché il posto è
quasi dimenticato da Dio, ma anche perché lui scrive di rado: è di poche
parole, piuttosto semplice. E’ più vecchio di lei, è nato nel 1912. Non è
ben chiaro per quale motivo due persone così diverse si siano messe insieme,
probabilmente le due famiglie sono amiche perché hanno le stesse idee
politiche. In un paese ormai fascistizzato ci si tiene a mantenere questi legami
che aiutano a non sentirsi troppo diversi. C’è addirittura una piazza, il
Camillion, dove gli abitanti sono tutti, chi più, chi meno, “poco
simpatizzanti” per il fascismo.
Forse
questo amico nuovo le darà qualcosa che l’altro non è capace di esprimere.
Lui
si chiama Fabio è nato nel 1920 alle “basse” della provincia di Verona,
dove vive tutt’ora (sic) la sua famiglia.
Visto
il tono spesso romantico delle lettere che ce lo mostra sensibile e delicato,
ma con diversi errori di ortografia, non deve aver fatto una scuola
classica. A suo modo è anche spiritoso, spiritoso come si può essere dopo tre
anni di servizio militare quasi sempre lontano da casa.
E’
un addetto alle trasmissioni della divisione Celere, la 3°.
L’anno
precedente, venendo in licenza, si è fermato a San Martino con un commilitone
che ha la morosa in paese, morosa che è amica di Maria. E’ l’amico che gli
procura l’indirizzo della ragazza.
Le
lettere arrivano tutte con i trasporti militari, da una zona che non è dato
conoscere ma in cui non è necessario il francobollo e sono state tutte aperte,
vistate dalla censura e richiuse con una striscietta incollata. Il regime ne ha
di tempo da perdere in quel periodo tragico. In Italia non deve filtrare nessuna
notizia della situazione disastrosa dell’esercito: divise inadatte alla
temperatura russa, gelida d’inverno, torrida d’estate, e soprattutto
armamenti per gran parte risalenti alla prima guerra mondiale, mezzi di
trasporto scarsi, poca benzina. Il confronto con gli alleati tedeschi è
umiliante.
Prima lettera
La
storia comincia con una lettera di lui datata 6/5/42/ XX sottolineato
(ventesimo anno dell’era fascista) da un luogo che, come ho detto, non si sa.
Ma che oggi possiamo storicamente individuare.
Fabio,
che fin quasi alla fine sembrerà un fascista ben indottrinato, da del voi a
Maria. La lettera è scritta con una notevole spaziatura perché lui non sa bene
cosa dire e quindi fa lo spiritoso e: “Prendo
l’ardire con una mano (poiché con l’altra sto scrivendo….”.
Poi si lascia andare a un discorso che vuole essere poetico: “Lancerei
sulle ali del vento che da qui transita diretto in volo verso la bella Italia,
un bacio, perché possa essere colto da qualcuna delle sue giovani abitanti.
Debbo ritirare tali parole?”
Frasi fatte, si potrà pensare, ma a quei tempi la prosa era ancora dannunziana e questo era il modo di esprimersi dei giovani che volevano essere audaci.
Seconda
lettera.
La seconda lettera, spedita il 30/5/42/XX, inizia: “E’ con vero piacere che oggi ho ricevuto la vostra lettera….”.
E’
quasi passato un mese, probabilmente tutto questo tempo è dovuto alla pigrizia
di Maria che forse si è accorta di essersi messa in un impiccio e non si sente
di portarlo avanti. Si capisce che ha chiesto al ragazzo di raccontare qualcosa
del suo aspetto e del suo carattere. Lui si descrive così: “…mi
allungai fino a questo momento fino a un metro e settantacique, le mie gambe
portano un peso di settantacinque chili. E’ naturale ch’io non sia né
sciancato né gobbo altrimenti non sarei attualmente sotto alle armi e per
giunta in Russia a passare quarantatre gradi di freddo!…non so se mi spiego.
Ma la pelle e quello che ci sta dentro sono sani, e così spero di tirare avanti
fino alla fine.”
Un
ragazzo abbastanza alto e atletico per quei tempi.
Quanto alla temperatura la Russia, ma in generale tutta l’Europa, negli inverni dal ’42 al ’45 ebbe temperature rigidissime che toccarono per lungo tempo i –40°,e più tardi trasformarono la ritirata dell’ARMIR (Armata Militare Italiana in Russia) in una tragedia immane.
Fabio è arrivato in Russia con il primo contingente italiano che formava i CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) partito da Verona a mezzanotte del dieci luglio 1941. Ne facevano parte le divisioni: Pasubio, Torino e Celere ( [1] ), il corpo a cui lui apparteneva. Caricati su 216 treni, dopo 27 giorni di viaggio, il 5 agosto, erano stati scaricati nella Moldavia romena a nord-ovest di Jassy, a 280 chilometri dalla meta. L’11 agosto primo scontro con l’armata rossa che vedeva impegnata la Pasubio, e i reparti aerei, il 27 settembre si era svolta la battaglia di Petrikova, durata otto giorni. Il 2 ottobre la Celere e la Pasubio avevano attraversato il fiume Dnieper: era cominciato a nevicare e le piste russe si erano trasformate in un pantano (vedi nella sez. "Protagonisti": Bonetti Primillo, Grezzana Silvino). L’11 ottobre l’esercito italiano era a Pavlograd. Il 22 si era svolta la battaglia di Gorlokowa e Rikovo. Tra il 25 e il 30 dicembre l’Armata Rossa aveva sferrato un violento attacco (battaglia di Natale) ma alla fine l’esercito italiano era riuscito a riguadagnare la posizione e contrattaccare.
Durante l’inverno ’41-’42 i due eserciti non hanno avuto scontri di particolare violenza mentre si è intensificata la guerriglia partigiana.
Proseguendo
la sua lettera Fabio descrive un lato del suo carattere: ”Un
tempo ero irascibile, forse lo sono tutt’ora ma credo che con questa vita di
esser guarito almeno in parte.”
Una frase che la dice lunga sulle esperienze che ha dovuto fare in tre anni di vita militare.
Non conoscendo bene la sua corrispondente, e temendo di essersi confidato troppo, si scusa: “Forse vi sembrerò un po’ originale, non fateci caso, ogni uno ha un suo carattere proprio.”
Chiude parlando dell’amico che li ha fatti conoscere, attualmente è in ospedale, probabilmente nelle retrovie, e certamente presto sarà rimpatriato in Italia (Beato lui!).
Terza
lettera.
La lettera porta la data 27/6/42/XX, circa un mese dopo la precedente. Maria deve essersi descritta anche lei perché Fabio è soddisfatto della loro strana presentazione.
“Non si può dire di aver fatto un passo avanti nella nostra conoscenza, ma tutto sta ad incominciare, fatto il primo scalino non si esita a superare i successivi.”
Poi
aggiunge: “Secondo i grafologi, ci si può conoscere
a distanze più o meno enormi, con i segni neri impressi su sostanze bianche,
per mezzo dei quali i mortali, svelano i loro affanni e la loro gioia….”
Povero ragazzo la sua calligrafia è quanto di più controverso si possa immaginare e rivela una persona profondamente turbata perché le lettere sono a volte verticali, a volte inclinate, il segno pesante o leggerissimo, la spaziatura poco ordinata.
Maria deve avergli chiesto maliziosamente come sono le ragazze russe e se da quelle parti qualcuna lo ha colpito particolarmente.
E lui: “Per quanto mi sforzi di trovare qualche rassomiglianza fra la donna russa e quella della mia terra, non riesco nel mio intento. Non vedo corpi flessuosi come un giunco, dal lesto incedere di gazzella, ma tozze e maschili sono le forme, prettamente asiatiche.”
Evidentemente le gazzelle italiane sono nei suoi sogni ad occhi aperti e le matrioske russe le ha sotto gli occhi. Ma le italiane saranno davvero tutte gazzelle? E le russe saranno davvero tutte matrioske?
Poi si lancia in un discorso di puro maschilismo: “Ragazze italiane, un po’ di pazienza ancora, sbrighiamo qualche faccienda, saldiamo i conti sulle steppe e sui deserti, e siamo da voi.”
Purtroppo le “facciende” non si sbrigheranno affatto, la convinzione di piegare facilmente la schiena al nemico presto avrà una amara conclusione. Ma era con quell’illusione che i nostri soldati, figli del ventennio, erano partiti per i vari fronti.
“In
questo nostro vecchio mondo, tutto ha un termine, nulla è perenne. Le strade
s’incrociano, le montagne stanno ferme e gli uomini camminano e il nostro
amico sarà già in Italia”.
Questa lettera piuttosto audace termina con una grafia abbastanza disordinata e con pensieri altrettanto audaci:
“Sta
nel mio carattere di…bruciare le tappe; perciò mi spingo in avanti e vi bacio
sulla punta delle dita, un po’ alla volta.
Saluti affettuosi e tutto il resto. “
“Vi bacio la punta delle dita, un po’ alla volta…” così si esprimono gli scrittori dei romanzi d’amore di quei tempi: rispetto, ma sottintesi che dovrebbero essere eccitanti come quel “…e tutto il resto”.
Quarta lettera
Datata 6/7/42/XX arriva solo dieci giorni dopo la precedente. Fabio ormai è lanciato verso la confidenza con la sua corrispondente.
Dopo aver sempre iniziato con un: Cara Signorina, questa volta comincia con un : “Mia cara amica….sembrami giunto il tempo di lasciare a parte le convenzioni imbarazzanti e altre simili teorie antiquate. Non siate imbarazzata per le mie espressioni, ve ne prego, in quanto alla vena poetica lasciamola perdere, vero è che amo tutte le cose belle e rincarerei su quanto dico se conoscessi le vostre sembianze….”
Maria deve essere stata turbata dalle espressioni della lettera precedente, non dimentichiamo che, anche se è lontano, un fidanzato povero di parole ce l’ha, e questa relazione epistolare comincia a scivolare nel sentimentale. Allora con il buon senso della ragazza onesta deve avergli raccomandato di non lasciarsi andare a fare il poeta, ma lui non si lascia smontare e rincara la dose.
Poi si lancia nel solito discorso retorico di quei tempi:
“Brave ragazze! I legionari d’Italia vogliono l’incitamento delle donne della loro terra per sempre più proseguire sereni verso quel duro compito che presto avrà un epilogo.”
E’ un fraseggio che ricorda tanti discorsi del duce e noi sappiamo purtroppo l’epilogo che tra pochi mesi avrà il “duro compito”.
In quel momento però il morale del CSIR deve essere alle stelle perché si è diffusa la notizia che prestissimo arriveranno in Russia ben tre battaglioni di Alpini (Cuneense, Tridentina, Julia) e altri rinforzi. Si sa che gli alpini sono una garanzia di vittoria perché presto giungerà la neve e saranno nel loro elemento naturale.( [2] ) Il CSIR si è trasformato in ARMIR. Il Generale Giovanni Messe, pessimista sulle operazioni in Russia e per questo inviso a Mussolini, viene sostituito dal Generale Italo Gariboldi.
Nell’euforia Fabio si lascia andare alla sua natura poetica e ci descrive un’estate da sussidiario scolastico.
“ …occhi e bocche maliose…” parole delle canzoni di quei tempi in doloroso contrasto con “…gli orrori della guerra e di tutto ciò che genera la battaglia….” Quante volte ha già visto la morte questo ragazzo così sensibile e pieno di poesia.
Trascinato dall’entusiasmo, e con un pizzico di audacia, aggiunge:
“Dirai che sono un po’ troppo chiacchierone vero? Oh scusate nella foga di scrivere vi do anche del tu…non ti dispiacerà vero? Dato che prima o poi ce lo daremo davvero lo stesso, tanto vale incominciare subito non ti sembra giusto Maria?”
E turbato lo è davvero, e lo si vede dalla grafia disordinata e inclinata che usa e lo si percepisce dalla gioia con cui chiama per nome per la prima volta la ragazza.
Questa volta, per non forzare troppo la mano, niente baci sulla punta delle dita, una per una, ma ….una virile stretta di mano.
Quinta
lettera.
E’ datata 21/7/42/ XX
Mia cara Maria, così comincia la lettera.
Dalla precedente sono passate due settimane e la divisione Celere, assieme alle altre, si è mossa superando il ricco bacino del Donez avvicinandosi al Don. La strada percorsa nella steppa è stata “un’enormità di chilometri e mi è stato praticamente impossibile prendere la penna e isolarmi dal resto del mondo per qualche ora”.
Maria, che ha accettato volentieri il tu confidenziale, ha chiesto una fotografia. Fabio che non è vanesio ne ha poche e sono tutte in Italia. Del resto in Russia i fotografi, anche da strapazzo, sono rari come le mosche bianche perché manca tutto dalla pellicola per i negativi alla carta per stamparle. Presto comunque spera di tornare in Italia e verrà di persona a San Martino. L’idea del proprio paese lo induce a lasciarsi andare al suo temperamento poetico:
“Credo bene che l’Italia sia sempre bella e ridente. Cambiano le cose e gli uomini, secondo la legge della natura alla quale non ci si può sottrarre, ma la terra che ci genera, il cielo che li fa vivere non cambiano mai. Passano le ore e i giorni nella clessidra del tempo, tramonta il sole per risorgere in nuove albe iniziatrici di altri giorni al seguito dei quali, sorgerà quello nel quale si effettuerà l’inno patriottico di Roma.( [3] ) Tornano alla sua casa i reggimenti e sorge il sole. Veramente mi lascio andare troppo dalla fantasia.”
[1] La
Divisione Celere era composta dalla I, II, III, Principe Amedeo Duca
d’Aosta, il 3° reggimento bersaglieri ciclisti, il reggimento Savoia
cavalleria e Lancieri di Novara, un reggimento
artiglieria a cavallo e a traino, carri veloci Fiat Ansaldo L33. Carri
veloci e traino meccanico, sono più sulla carta che nella realtà. Nel
‘40/’41 le tre divisioni avevano operato in Croazia. La 3° è la più
sfortunata delle tre perché è quella che finirà in Russia.
[2] L’ottava armata, che prenderà il nome di ARMIR, venne costituita il 1 maggio 1942. Al suo organico oltre ai corpi già presenti in Russia appartenevano le divisioni Sforzesca, l’ultima che arrivò e dove cedette il fronte, Ravenna, Cosseria, il raggruppamento CC.NN. “23 Marzo” con i gruppi Leonessa e Valle Scrivia e le divisioni Julia, Cuneense e Tridentina che costituivano il corpo d’armata alpino inizialmente destinato a operare sulle montagne del Caucaso. I tre battaglioni alpini percorsero a piedi i 400 chilometri che li separavano dal corso del Don dove alla fine erano stati destinati.
[3]
L’inno a Roma aveva origine
latina infatti era stato composto da Orazio nel 17 a.c. per i Ludi Seculares
voluti dall’imperatore Cesare Ottaviano Augusto per celebrare la fine
della guerra civile con la sconfitta di Marco Antonio e Cleopatra. Poesia di
occasione, non particolarmente ispirata aveva il suo punto migliore nella
terza strofa:
Alme
sol, curru nitido diem qui
Promis
et celas alius et idem
Nasceris,
possis nihil urbe Roma
Visere
maius.
Fu
tradotto agli inizi del ‘900 da Fausto Salvatori e musicato nel 1919 da
Giacomo Puccini. Esso nasceva da una motivazione storica che accostava il
periodo di pace intervenuto a Roma dopo le guerre civili, alla sperata pace
dopo la carneficina della I guerra mondiale (!914-1918)
Però
pur essendo stato composto per questa motivazione, il fascismo se ne
appropriò e in ogni manifestazione ufficiale del regime si eseguivano la
Marcia Reale in onore della monarchia, l’inno fascista Giovinezza, e,
appunto, l’inno a Roma.
Roma
divina, a Te sul Campidoglio
dove eterno verdeggia il sacro alloro,
a Te, nostra fortezza e nostro orgoglio,
ascende
il coro.
Salve, Dea Roma! Ti sfavilla in fronte
il Sol che nasce sulla nuova storia;
fulgida in arme – all’ultimo orizzonte
sta
la Vittoria.
Sole che sorgi libero e giocondo
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior
di Roma.
Per tutto il cielo è un volo di bandiere
e la pace del mondo oggi è latina;
il tricolore canta sul cantiere,
su
l’officina.
Madre che doni ai popoli la legge
eterna e pura come il Sol che nasce
benedici l’aratro antico e il gregge
folto
che pasce.
Sole che sorgi ecc.
Benedici il riposo e la fatica
che si rinnova per virtù d’amore,
la giovinezza florida e l’antica
età
che muore.
Madre di uomini e di lanosi armenti,
d’opere schiette e di pensose scuole,
tornano alle tue case i reggimenti
e
sorge il Sole…
Sole che sorgi ecc..
Del resto in una situazione come la sua bisogna, astrarsi dalla tragica realtà fatta di battaglie e di avanzate nella steppa dove il caldo è soffocante, dove non c’è un albero, non c’è acqua, dove le strade sono piste polverose e piene di buche e se piove si resta impantanati.
Eccolo di nuovo lasciarsi andare al sogno della vittoria che si porterà a casa sulla punta delle baionette come promette il duce.
E motivi per essere ottimista ne ha perché fino a quel momento le cose sembrano messe al meglio. Non sa le drammatiche ragioni che hanno indotto Mussolini a sostituire il comandante della spedizione.
E
termina romanticamente: “In tale attesa abbiti i miei
cari saluti baciandoti le mani, se chiudi gli occhi forse li senti.”.
Alla fine di quel mese la divisione Celere si scontra con le unità sovietiche appoggiate da carri T-34, ben cinque giorni durano gli scontri, alla fine il nemico viene cacciato dal caposaldo di Serafimovic. Ritornerà ai primi di agosto e di nuovo si combatte aspramente fino al 13 di quel mese: ci saranno 251 morti tra ufficiali, graduati e soldati.
E’ del 24 agosto la carica, l’ultima di tutte le guerre, condotta dal Savoia Cavalleria, che sgomina tre battaglioni russi a Isbuscenskji.
Sesta
lettera
E’ datata 16 settembre/ 42/ XX
“Cara
amica,forse
è il cattivo tempo che da questa notte grava la sua minaccia piovosa, preceduta
fin’ora da un vento ciclonico
(probabilmente intende violento)
forse è lo stato d’animo che si crea dopo quattordici mesi lontano da cose
lasciate, perdute nella nebbia del tempo che, formano questa stanchezza di
spirito chiamata nostalgia… Il caldo è già cosa passata (lui
ormai conosce l’inverno russo), mentre in patria,
nonostante la siccità il clima è sempre magnifico. Le battaglie continuano, ma
chi è da tanto tempo in questa atmosfera rombante ha l’impressione di essere
nel suo elemento”.
E’ una lettera triste e pessimista. La marcia di avvicinamento al Don si è compiuta, dal 20 agosto al primo settembre si è svolta la prima battaglia difensiva del Don.
Fabio non rinuncia a essere poeta anche nella tristezza e desolazione che un mese di atroci battaglie gli hanno messo dentro. Lettere da Maria non ne sono più arrivate e lui cerca di consolarsi pensando alla distanza che deve percorrere la posta per arrivare fino a dove si trova, molti altri sono nelle sue condizioni anche perché adesso gli italiani sono molto cresciuti di numero e la posta deve arrivare con i camion militari su piste che non sono strade. Bruscamente la calligrafia cambia e il malumore cresce:
“Veramente
parlando sempre di una cosa mi stanco e debbo per forza cambiare argomento anche
col più futile.
Solitamente
ogni giorno si pensa se sarà vicino quello che sarà la nostra levata del
tacco da questa terra (parlando in gergo militare)“.
A questo punto non se la sente più di parlare di vittoria sulla punta della baionetta e si lascia andare ad una confidenza pessimistica riuscendo ad aggirare anche la censura:
“Secondo
le chiacchiere, che qui si espandono con un crescendo spaventoso: aizzano alla
speranza, ma, come ogni veleno ha il suo balsamo, ovverossia, per meglio
precisare: ogni cosa ha il suo punto mortale, vi è sempre la controchiacchiera,
cioè colei che ti butta a terra e disillude, comunque lascio il
compiersi del fato, preparato a ogni evenienza.
In
attesa del dì che sarà o che dovrebbe essere, abbiti tanti cari saluti."
Più di così non può dire, ma è chiaro che ormai ha capito come finiranno le cose per lui e gli altri e non ha neppure più voglia di baciare punta di dita o mani delicate.
Settima lettera
E’ datata 20/9/42/ XX
Questa lettera viene spedita ad appena quattro giorni dalla precedente. Questo fa pensare che sia la risposta a una spedita dopo tanto tempo da Maria che deve essersi ammalata piuttosto gravemente e presto finirà in Ospedale.
“...
sono proprio molto lontano dalla madre Patria, e chissà ancora per quanto
tempo. Non dare orecchio a certe chiacchiere, possono essere vere come possono
essere false, è facile che si passi un altro freddo quassù. Ormai lo conosco e
so come prevenirlo, certo che non è molto incoraggiante per me che lo so già,
come è e come è lungo.”
Ormai Fabio non la vede più così vicina la vittoria. Come sempre cerca di consolarsi pensando che tutto passa e che in futuro queste amare esperienze potrà ripensarle con la serenità di un brutto periodo ormai passato.
“Ma
tutto passa, passa il tempo, come passano i dolori e le gioie lasciando poi
nell’animo un senso di stanchezza e di rimpianto. Certo che non sarà mica con
rimpianto che penserò un giorno quando rimesterò nel passato, nella pentola
dei ricordi, bensì sarà con un senso di sollievo come fossi uscito da un
incubo”.
Maria
che non si rende bene conto dell’inferno in cui lui si trova gli ha raccontato
di essere malata. E Fabio risponde che lei presto sarà di nuovo con le sue
amiche a parlare delle solite cose, come si usa tra i giovani mentre lui che una
volta odiava questo perdere il tempo adesso ne ha un rimpianto infinito. In un
paese lontano con il freddo che sta facendosi sempre più acuto sente la
nostalgia delle sciocchezze e dei passatempi di una volta, dei balli che però a
lungo andare stancano, almeno quello che lui sta ballando ormai da quattordici
mesi, “non è un valzer, non è un tango, è molto
pesante e non consigliato alle donne."
A questo punto si lascia andare a parlare del suo lavoro: “Sono ancora alzato e sono le ore 2 di notte”. Si trova in un osservatorio privilegiato, le trasmissioni, per questo, più di tanti altri, può rendersi conto della situazione che presto precipiterà.
Ottava
lettera
E’ datata 22/10/42/ XX
Maria è stata così malata che la corrispondenza l’ha tenuta la sorella e Fabio esprime la sua preoccupazione ma spera che il peggio sia passato.
Ha una bellissima notizia da dare:
"In
questi giorni sono felicie perché fra poco tempo rientro in patria…. Addio o
Russia crudele, mi spiace non lasciarmela dietro vinta e disfatta ma altri
continueranno le battaglie come noi le abbiamo sin qui condotte. Ora è il
riposo, vedrò i miei cari e tutti coloro che mi conoscono e mi hanno
incoraggiato fino ad oggi per sedici mesi, sarò insomma fra la gente che parla
la mia stessa lingua, mi sembra un sogno eppure è la verità. Dopo la tempesta
torna a splendere il sole, più giovane e benefico che mai, questo è per il tuo
caso attuale, tutto tornerà come un tempo avendo fiducia nella propria stella,
da essa si trae forza e coraggio per un migliore domani che sarà immancabile
che deve essere, altrimenti
l’evoluzione dei tempi cambierebbe il giro del sistema planetario.”
E
purtroppo questo avverrà tra poco più di un mese. La lettera si conclude con
una frase che non ha mai usata: "Buona fortuna.".
Fabio
non tornerà dalla Russia e di lui non si avranno più notizie. ([4])
[4]
Al termine degli spostamenti
strategici l’ottava armata nel medio Don era così stanziata: a nord la
seconda armata ungherese, subito sotto la Tridentina, poi la Julia, la
Cuneense, di seguito la Cosseria, la Ravenna, poi l’ottava divisione
tedesca, poi la Pasubio, la Torino, la Celere, la terza armata romena.
L’11
dicembre iniziò l’offensiva russa con l’operazione chiamata “Piccolo
Saturno”. L’obiettivo era sfondare il centro dello schieramento
italo-tedesco e quindi l’attacco fu rivolto contro la divisione Ravenna e
successivamente il giorno dopo contro la Cosseria. Il 21 la divisione Torino
cominciò a ripiegare assieme a elementi della Cosseria e della Ravenna
precedute dalla 298 divisione tedesca. Durante la marcia subirono diversi
attacchi dalle forze russe ma, finalmente, il 16 gennaio entrarono in
Belowodsk dove si era riorganizzata la nuova linea.
Storia
analoga ebbero la Celere e la Sforzesca che dopo un forte resistenza furono
costrette a iniziare la ritirata per il cedimento del Corpo d’armata
romeno.
Il
28 dicembre raggiunsero Nadeshovka dove si trovava la nuova linea.
Più
drammatica fu la sorte delle tre divisioni alpine. Infatti fino al 17
gennaio, quando arrivò l’ordine di
ripiegare, erano rimaste a presidiare la riva del Don e quindi le forze
dell’armata rossa che le avevano sopravanzate con una conversione le
chiusero in un’enorme trappola. I superstiti, con pochi mezzi e mal
equipaggiati si misero in marcia a piedi con un clima proibitivo. Lottando
contro le forze motorizzate dei russi che li attaccavano continuamente
percorsero 150 chilometri tra infinite difficoltà. Episodio simbolo di
quella marcia fu la presa di Nikolajewka. Il 31 gennaio i superstiti della
colonna uscirono dalla sacca e raggiunsero Shebekino. L’ottava armata era
composta di 229.005 militari, i feriti e i congelati furono complessivamente
29.690. I superstiti furono 114.485. Degli 84.830 mancanti, dai campi di prigionia ne ritornarono 10.030.