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Appendice

Dai ricordi della gente (1920-1945)

la guerra e la resistenza a San Martino Buon Albergo - appendice

 

a cura di Anna Solati

 

 

Appendice 1 - Autarchia, razionamento

 

L'autarchia potrebbe anche essere definita come: "economia chiusa", cioè un sistema in cui una nazione non ha relazioni commerciali con le altre: né di importazioni, né di esportazioni. In tal modo il suo bilancio non viene influenzato dalle tendenze internazionali perché lo stato é in grado di produrre tutto quello di cui ha bisogno.

 

L'autarchia non fu un fenomeno solamente italiano perché dopo la grande crisi del 1929 che colpì l'economia mondiale, i paesi economicamente sviluppati si fecero quasi tutti promotori di politiche autarchiche per contrastare le turbolenze della finanza internazionale che ne erano state la causa.

 

A differenza degli altri stati da noi essa fu finalizzata anche a un'economia di guerra volta a soddisfare i bisogni imperialistici del fascismo.

 

Il primo passo importante in questa direzione fu la proclamazione, già nel 1925, della battaglia del grano. Con essa il regime mise a punto una serie di provvedimenti per rendere la nazione indipendente dai paesi esteri per l'importazione di frumento che era causa di un forte deficit della bilancia di pagamento. Nel 1931, dopo solo sei anni dal lancio della campagna, grazie a essa il nostro paese riuscì a soddisfare quasi del tutto il fabbisogno nazionale, arrivando ad un raccolto di 81 milioni di quintali. Questo risultato, però, era andato a scapito di altri tipi di coltivazione e dell'allevamento del bestiame. In tal modo la dieta alimentare della popolazione era peggiorata in quanto, potenziando la produzione e il consumo dei cereali che erano meno costosi, essa veniva impoverita del corretto equilibrio tra i vari principi alimentari.

 

In conseguenza della battaglia del grano quando nel ’35, a causa della guerra di Etiopia, la Società delle Nazioni colpì l'Italia con le sanzioni economiche non eravamo impreparati alle restrizioni.

 

Dopo sette mesi, nel 1936, quelle misure furono abrogate ma la politica autarchica nel nostro paese proseguì grazie all'abile campagna della propaganda fascista che invitava gli italiani a resistere alle nazioni "plutocratiche" coalizzate contro di loro.

 

Qualche anno dopo, ormai in guerra, in una nazione già abituata ai sacrifici venne introdotto per legge il razionamento che durò anche dopo la fine del conflitto.

 

Il primo passo per una vera politica autarchica fu quello di economizzare le risorse. In questa ottica nel 1938 a Torino si tenne un convegno dal titolo Sprechi e recuperi.Vennero presentate ben 195 relazioni. Le prime riguardavano gli sprechi e le possibilità dei recuperi dell'energia, le seconde gli interventi da fare in tal senso nell'industria. Un altro tema trattato, attuale anche oggi, fu quello dei rifiuti urbani. Il motto era: Non buttare via niente, neanche il rifiuto del rifiuto.

 

Le sanzioni che avevano limitato buona parte delle nostre esportazioni e importazioni favorirono una serie di studi, specialmente nel campo della chimica, finalizzati alla sopravvivenza autarchica. Alcuni prodotti o prototipi di quei tempi, finita la guerra, sarebbero stati  sviluppati nell'industria degli anni successivi.

 

Produzione energetica.

Grande importanza assunsero gli studi per superare la carenza di petrolio. La ricerca di tale materiale nella valle Padana aveva portato alla scoperta di grandi giacimenti di metano. Le sue proprietà vennero usate specialmente per gli automezzi pubblici. Nel 1940 ne circolavano circa 4000. L'eccellenza della tecnologia italiana, nel campo del metano e del GPL per autotrazione (valvole e accessori di sicurezza) che dopo la guerra hanno reso l'Italia leader internazionale, risale ad allora.

Furono costruiti due grandi stabilimenti, uno a Bari, l'altro a Livorno, per trattare il greggio scadente, perché bituminoso, proveniente dall'Albania. I risultati furono incoraggianti.

 

Si cercarono anche soluzioni alternative agli idrocarburi.

 

Visto che l’esportazione dei vini era stata interrotta, si pensò di adoperare l’alcol etilico al posto della benzina. Del resto i primi motori a scoppio usavano proprio l’alcol che si ricavava anche dalla melassa delle barbabietole. Sorgeva il problema che le barbabietole erano usate anche nel settore agro-alimentare. Fu potenziata la produzione del sorgo dal quale si possono ottenere: alcol, cellulosa e pannelli oleosi. Questa cultura nel dopoguerra è andata espandendosi in varie nazioni per le notevoli potenzialità del cereale.

Per superare la difficoltà del terreno coltivabile disponibile venne anche studiato un metodo per ottenere alcol per sintesi chimica.

Furono incrementate le centrali idroelettriche. Vennero avviati brillantemente studi sull'energia eolica, solare, e nucleare. A metà degli anni trenta si era ottenuta anche la liquefazione dell'idrogeno passo importante per la conservazione e un futuro uso di questo elemento.

A molte macchine, e anche a qualche motocarro, fu applicato nella parte posteriore un impianto a gasogeno che funzionava con gas povero: una miscela di gas d’aria, gas d’acqua, monossido di carbonio, anidride carbonica, azoto e idrogeno.

Nel 1938 un decreto imponeva l'impianto a gasogeno per tutti gli autoservizi pubblici comunali.

 

Va ricordato che molti studiosi di punta di queste ricerche erano ebrei che, con le leggi razziali del 1938, vennero allontanati dai loro incarichi.

 

Dopo la guerra tutti questi studi vennero abbandonati perché, per motivi ben evidenti, si impose il consumo del petrolio come fonte energetica

 

Vestirsi con la natura: l'industria tessile.

Dalla cellulosa si realizzò il Rayon o seta artificiale o seta del legno. Anche la cellulosa, che era stata sempre importata in grosse quantità, venne sostituita da quella prodotta dalla canna comune o canna domestica che cresceva lungo i fiumi.

Essendo calate molto le esportazioni di latte e formaggio, da un derivato: la caseina, si ottenne un tessuto che poteva ricordare la lana: il Lanital.

Dai rametti di ginestra bolliti in acqua e sfibrati venne prodotto un tessuto molto resistente e flessibile: Vermene.

Sempre dalla ginestra e dai fiocchi di canapa si ricavò anche una specie di cotone: Cafioc.

Col filato proveniente dalle fibre di canapa si facevano rigidi sacchi e lenzuola.

Da caseina e formaldeide si ottenne un materiale che si poteva paragonare all’odierna plastica.

Questo prodotto sintetico permetteva di adoperare le corna degli animali per altri usi.

 

Riciclo dell'usato.

Per quel che riguarda il vestiario non si gettava via niente: ogni indumento veniva riciclato. Gli abiti erano rivoltati, rammendati, passati tra fratelli. Per cercare di "rinnovarli" le donne ricorrevano alla tintura domestica usando colori vegetali o il famoso Super Iride di una ditta di Prato.

Si disfacevano le vecchie maglie di lana e con il filato si lavoravano a ferri altri indumenti. In casa si era tornati a filare la lana grezza da cui si ricavavano pungenti calze e maglioni.

Per risparmiare stoffa le gonne, che nel 1935 arrivavano a metà polpaccio, si accorciarono drasticamente fino ad arrivare al ginocchio.

Cuoio e  suoi manufatti.

Già nel 1937 erano state brevettate le suole di sughero ottenute con quello sardo pressato e bombato. In seguito nel 1942 furono emanate norme per confezionare le scarpe con la suola di legno.

Al posto del cuoio si studiarono, e poi si produssero, suoi succedanei. Tra di essi il Cuoital: miscela di cascami di cuoio sfibrati con latex e vulcanizzati, Sapsa (prodotto dalla Pirelli): cascami di cuoio macinati e lattice di gomma, Coriacel: cascami di cuoio, fibre vegetali e collanti. Con ai piedi scarponi fatti con materiali di questo tipo il nostro esercito partirà per la campagna di Russia.

 

Eppure non sarebbero mancate calzature adatte ad affrontare il gelido fronte orientale visto che da qualche anno erano stati brevettati i Vibram dal nome del loro inventore Vitale Bramati. Essi erano caratterizzati della prima suola di gomma vulcanizzata col disegno della tassellatura detto "a carrarmato". Ma anche la gomma mancava.

 

Del resto, altro esempio della nostra impreparazione, o disorganizzazione o peggio, gli ufficiali tedeschi in quella guerra indosseranno pesanti pellicce e i nostri il solito pastrano.

 

Economia alimentare.

Negli anni dell'autarchia e durante la guerra vennero pubblicati diversi libri che insegnavano alla massaia come cucinare con quello che c'era. Si iniziò nei primi anni trenta quando l'Ufficio Propaganda del Partito Fascista inserì un ricettario autarchico in un opuscolo dal titolo: Sapersi nutrire. Nel 1935 fu la volta di: La massaia contro le sanzioni; nel 1936 venne pubblicato: La cucina italiana in tempo di sanzioni; poi le famose Ricette di Petronilla che ebbero numerose edizioni; nel 1942 furono stampati: La cucina autarchica di Elisabetta Randi e La cucina del tempo di guerra di Lunella De Seta.

La prima regola di ogni libro era: «Fate attenzione a tutto ciò che viene gettato nelle immondizie. Tutto può essere utilizzato».

 

L'autarchia era diventata quasi una filosofia di vita e con quello spirito le italiane e gli italiani affrontarono i lunghi anni di guerra riuscendo in qualche modo a sopravvivere.

 

Per i generi alimentari le restrizioni ai consumi erano iniziate già nel '39. Il razionamento vero e proprio cominciò nel maggio del '40, pochi giorni prima dell'inizio della guerra, con l'istituzione della tessera annonaria. Ma anche per altri prodotti la crisi del periodo bellico si fece sentire. Vediamone qualche esempio.

 

Dal 1940 l’Italia, paese manifatturiero per eccellenza, si trovò a dover fare fronte ancora di più alla penuria di materie prime.

Per i metalli si ricorse alle requisizioni che, naturalmente, non supplirono a sufficienza alle necessità della situazione. Più complessa si rivelò la soluzione dei problemi inerenti alla scarsità di carburante.

 

Severi limiti furono posti alla circolazione degli autoveicoli. La benzina fu razionata: 25 litri al mese per chi aveva una moto; 50 per i motofurgoncini; da 100 a 150 per le automobili, a seconda della potenza; fino a 300 litri per gli autocarri di grossa cilindrata. Da 175 a 300 litri per i taxi, a seconda della grandezza della città.

 

Per la  maggior parte degli italiani che per muoversi usava la bicicletta come mezzo di trasporto, il razionamento della benzina non fu un problema, ma per loro sorsero altre difficoltà perché scarseggiava la gomma per ripararne le ruote. Quindi, per chi forava, una delle soluzioni era ricorrere a pezze tagliate da vecchi copertoni.

 

Anche trovare materiale per accendere le stufe, cucinare e riscaldarsi, divenne difficile. Si adoperava quello che si poteva. I boschi, già provati dai disboscamenti della I guerra mondiale, subirono un altro grave collasso. Per questo nel dopoguerra venne dato il via a una campagna per ripristinare il nostro patrimonio forestale. Per esempio tutti i pini che crescono sulle Torricelle furono piantati dalle scolaresche alla fine degli anni '40.

 

La carenza di carbone indusse ad adoperare palle di carta indurite con acqua e lasciate asciugare. Poi anche di carta ci fu penuria tanto che si doveva portarla da casa per acquistare i prodotti sfusi.

 

Per fumare si usavano tutte le possibili miscele di foglie secche avvolte in carta da giornale.

 

Il sapone da bucato fu anch'esso razionato: la quota individuale era di 200 grammi mensili. Si consigliava di usare la cenere per il lavaggio degli indumenti e delle lenzuola, mentre per pulire i piatti si invitavano le casalinghe a riciclare l'acqua della pasta. Sapone si otteneva anche dalla cenere fatta bollire assieme a ossa e eventuali ritagli di grasso.

 

Le lamette da barba di sicurezza, da poco arrivate in Italia dall’America, furono sostituite di nuovo dal rasoio.

 

 

 

Appendice 2 - Requisizione campane

 

Regio decreto N° 505 del 23 aprile 1942

 

Art. 1- Il Sottosegretario di stato per le Fabbricazioni di Guerra può procedere per esigenze di guerra alla raccolta di campane facenti parte di edifici di culto.

Art. 2- All’atto della requisizione delle campane, il Sottosegretario di stato per le Fabbricazioni di Guerra rilascia al rappresentante dell’Ente di culto dichiarazione con la quale lo Stato si impegna:

a consegnare a un anno dopo la stipulazione dei trattati di pace, l’ottanta per cento di rame e il venti per cento di stagno del peso della campana ritirata.

a versare contemporaneamente a titolo di rimborso per le spese di rifusione e la ricollocazione sul posto delle campane:

L. 10 al chilogramma, per le campane di peso non superiore a 100 chilogrammi.

L. 12 al chilogramma, per le campane di peso oltre a  100 chilogrammi e fino a 350 chilogrammi.

L  10 al chilogramma, per le campane di peso oltre 350 chilogrammi fino a 1.000 chilogrammi.

L.   5 al chilogramma, per le campane di peso oltre i 1.000 chilogrammi.

 

Art. 3- Si applicano le norme del R. Decreto 18 agosto 1940 n. 1741, in quanto non sia altrimenti disposto nel presente decreto.

Art. 4- Il presente decreto va in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno.

 

Finita la guerra presso il Ministero dei Trasporti venne istituito l’Ufficio Ripristino Campane che, in collaborazione con la Pontificia Commissione centrale per l’Arte Sacra, provvide prima alla restituzione delle campane rimaste integre che si trovavano in giacenza nei depositi di raccolta per un peso totale di 2.022.040 Kg, poi alle diverse e numerose rifusioni assegnando i lavori alle varie fonderie attive. In totale su tutto il territorio italiano si rifusero 13.605 campane per un peso complessivo di 4.787.000 kg di bronzo. Nella sola diocesi milanese furono 693 le campane per un peso totale di 466.112 kg. A Verona si trovavano 222 campane del peso complessivo di 693 quintali. In provincia ce n’erano 3121 e 131 campanelle per un peso complessivo di 8588 quintali.

 

Le parrocchie che provvidero autonomamente a rimpiazzarle ottennero un rimborso in denaro.

 

 

  

Appendice 3 - I.M.I.

 

Dei più di 800.000 soldati italiani fatti prigionieri dalle forze tedesche l’8 settembre, circa 200.000 decisero di tornare in Italia e aderire alla repubblica di Salò. I restanti scelsero di restare nei Lager. Fino al 20 settembre 1943 furono considerati prigionieri di guerra ai quali si doveva applicare la Convenzione di Ginevra del 1929.

L’art. 14 di tale convenzione tra l’altro scriveva: I prigionieri di guerra hanno diritto, in ogni circostanza, al rispetto della loro personalità e del loro onore…

e l’art. 15: La Potenza che detiene prigionieri di guerra è tenuta a provvedere gratuitamente al loro sostentamento e ad accordar loro gratuitamente le cure mediche che il loro stato di salute richiede.

Seguivano altri 128 articoli che li tutelavano.

 

Hitler, con una decisione unilaterale accettata dalla RSI, trasformò i prigionieri italiani in Internati Militari Italiani (I.M.I). Una categoria che per la Convenzione non esisteva e quindi a loro non venne riconosciuto nessun diritto. In questo modo la Germania si procurò mano d’opera da sfruttare a costo minimo.

 

A inglesi, francesi, belgi, olandesi prestava assistenza la Croce Rossa che inviava sistematicamente pacchi. Essi inoltre non dovevano fare più di un certo numero di ore di lavoro, dal quale gli ufficiali erano esentati.

 

Nei vari campi di concentramento uomini e donne erano suddivisi per nazionalità. I nostri soldati, oltre a subire i continui insulti dei tedeschi: “Verroter!” (traditori), erano fatti segno dello scherno dei soldati alleati che muniti di cibo si recavano alla rete che li divideva e li sbeffeggiavano come affamati e miserabili. Questo facevano in modo particolare i francesi, gli inglesi addirittura li ignoravano. Francesi e inglesi inoltre erano riusciti a organizzarsi in modo da tenere i contatti con le nazioni di origine. Erano informati sulla produzione interna delle officine militari. Una volta mio padre, per una pagnotta offertagli da un prigioniero francese, riuscì a sabotare una partita di tubi per aerei. Nell’inchiesta che ne seguì rischiò la morte. Solo la stima del capo officina lo salvò. Il suo non fu un caso isolato.

 

Gli italiani avevano orari di lavoro quasi insostenibili, erano sotto alimentati e praticamente senza cure mediche. Tutte cose che invece la Convenzione aveva regolamentato.

 

Sopravvissero grazie ai pacchi che venivano da casa dove le famiglie, in quei momenti di tesseramento, si toglievano letteralmente il pane di bocca, e a volte i pacchi non arrivavano. Il prigioniero poteva comunicare con i famigliari con una cartolina postale già predisposta.

 

Dal 20 luglio 1944 un accordo tra Hitler e Mussolini smilitarizzò gli I.M.I. ma questo cambiò poco la loro situazione. Erano praticamente lavoratori civili obbligati. A quella data erano rimasti in poco più di 495.000. Vennero rimpatriati dal giugno del ’45 fino alla fine di quell’anno.

 

Nel 2007, quando i più giovani I.M.I. avevano più di 80 anni, il governo in carica decise di ricompensarli per i loro sacrifici.

 

Finanziaria 2007. Concessione medaglia d'onore per i lavoratori coatti nei lager nazisti Comma 1272: “[…] E' autorizzata la concessione di una medaglia d'onore ai cittadini italiani militari e civili deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l'economia di guerra, ai quali, se militari, e' stato negato lo status di prigionieri di guerra, secondo la Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra fatta a Ginevra il 27 luglio 1929 dall'allora governo nazista, e ai familiari dei deceduti, che abbiano titolo per presentare l'istanza di riconoscimento dello status di lavoratore coatto. Le medaglie d’onore coniate dalla Poligrafico e dalla Zecca dello Stato  vengono inviate alle prefetture e consegnate nel giorno della Memoria.”

 

Nei Lager nazisti erano morti più di 100.000 soldati italiani che con la loro scelta si erano opposti alla dittatura nazifascista.

 

Della storia, come ho scritto all’inizio, si possono dare interpretazioni varie a seconda del punto di vista.

 

Io posso solo testimoniare quello che mi raccontava mio padre sui dibattiti che avvennero nel suo campo e che riguardavano se aderire al regime di Salò e tornare in Italia: c’era comprensione verso chi aveva scelto di tornare, ma tanto disprezzo. Chi restò non lo fece per paura, ma per libera scelta. Da M. Stammlager VI D  Dortmund ( Westfalen) Arbeits-Kommando- n.240 lui tornò che pesava  55 chili.

 

 

 

Appendice 4 - Lavori di fortificazione a San Martino Buon Albergo

 

Dopo lo sfondamento della Linea Gotica[1] tra il 1944 e il 1945 i tedeschi iniziarono a costruire delle linee difensive per proteggere la loro ritirata e anche San Martino Buon Albergo fu interessata da questi lavori.

 

Oggi a distanza di anni non vi sono più segni evidenti della drammaticità di quei momenti ed è per questo, per capire cosa avvenne, che diventa necessario fare ricorso ai ricordi della gente del luogo o ai documenti che si possono ritrovare nell’archivio comunale.

 

Nel rapporto dei partigiani del Gruppo Montezemolo nota n. 141 del 16 aprile 1945,  testualmente viene detto: “Nella zona di San Martino Buonalbergo sulla nazionale Verona – Vicenza, nelle adiacenze del ponte sul T. Fibbio, sono in costruzione fortini in cemento armato che sbarrano le provenienze da Verona”.

 

Fatte le opportune ricerche, e sentiti alcuni concittadini che all’epoca dimoravano in loco, questa segnalazione non risulta vera. L’unico bunker del quale si hanno testimonianze era un rifugio antiaereo ricavato, per uso personale, nel deposito di legna della ditta Pellizzoni quasi fuori paese in direzione Vicenza.

Ma allora quali opere vennero realizzate?

 

La prima minaccia, e la più temibile a quei tempi, erano le incursioni aree. L’attacco degli alleati  poteva avvenire sia di notte che di giorno, ma tutti i documenti trovati riguardanti le trincee non distinguono tra rifugi antiaerei e trincee vere e proprie.

 

Il 15 luglio del ’44 troviamo una nota firmata dal Capo Stradino di San Martino Luigi Ceolari in cui risultano lavori di scavo di trincee lungo la strada dal 6 luglio al 15 luglio, operai giornate 18 lire 30 al giorno “per riparazione dai pericoli aerei”  pagati in tutto £ 540 [2].

 

Ma in una comunicazione piuttosto sgrammaticata del 14 settembre dello stesso anno,  il Comandante del Presidio di San Martino scriveva al Podestà:

Per i lavori di fortificazione occorrono grandi quantità di filo metallico per reticolato. In base d’un ordine il provvedimento del materiale necessario dev’esser eseguito dal Comune, consegnando tutti i fili metallici disparsi  per il comune, per esempio disfando i recinti.

Colla raccolta di questi fili sono incargati i Podestà. Prego, che nel Vostro Comune il materiale suddetto venga raccolto e preparato per il trasporto. Per il materiale consegnato c’è da consegnare un elenco con copia indicando i prezzi. Vi prego di volermi far parte per il 25 settembre 1944 a che punto stanno le cose in riguardo a suddetta esecuzione. La raccolta si deve fare con severità e acceleramento [3].  

 

In questo caso il filo di ferro serviva per vere e proprie trincee che non venivano fatte nelle nostre zone ma vicino al Po per arrestare l’avanzata alleata.

   

Il 25 ottobre 1944 il Capo della Provincia Presidente del Comitato Prov. P. A.A. scriveva ai Comuni e per conoscenza al Leitkommandantur quanto segue:

 

Oggetto: Protezione del traffico stradale contro attacchi aerei da bassa quota.

In seguito all’intensificarsi della guerra aerea nemica nel territorio di questa Provincia, presi accordi con il Leitkommandantur, si invita codesto Comune ad aumentare del 100% la costruzione di trincee e posti di occultamento sul tronco stradale che attraversa il territorio di codesto Comune, della strada VERONA –VICENZA.

Valendosi delle esperienze fatte si riassumono le condizioni particolari in base alle quali le trincee stesse devono venire costruite e precisamente[…].

 

Le trincee dovevano avere la profondità di m 1,80, larghezza media 1 m, lunghezza media 3- 4 metri con andamento a zig zag. Prima di scavarle bisognava togliere le zolle erbose che sarebbero servite da mascheramento. Il mascheramento era della massima importanza [4].

 

Da questo testo si può intuire che le trincee avrebbero avuto una funzione diversa da quella di rifugi contro i mitragliamenti dei civili. 

Il 28 ottobre Il Comandante del Presidio di San Martino inviava al Podestà una lettera che iniziava:

 

“1.) Secondo ordine della Flatzkommandantur di Verona del 21ottobre del 1944 devono costruirsi delle trincee lungo le due parti della strada […]” [5]

Ligio a quanto scritto dal Comandante di Presidio il 29 Novembre 1944 compariva sull’Arena un articolo dal titolo [6]: Trincee lungo le strade contro i mitragliamenti.

 

In esso si leggeva:

Il Podestà, ravvisata la necessità di emanare urgenti provvedimenti atti a ottenere un’efficace difesa del traffico stradale contro attacchi aerei da bassa quota […].

 

Ordinava la costruzione di trincee le cui caratteristiche erano quelle descritte dal documento del 25 ottobre.

Il documento prefettizio si riferiva alle strade del Comune di Verona che si dirigevano verso Trento, Milano, Mantova, Bologna, Vicenza, ma logicamente i provvedimenti dovevano essere estesi anche alle strade extracomunali.

 

I proprietari dei terreni circostanti le strade avevano obbligo, a loro spese, di scavare le trincee che dovevano “… essere mascherate e nascoste possibilmente sotto alberi, vigneti ecc” . Il territorio del nostro Comune era ancora circondato dalla campagna. Gli scavi dovevano essere fatti ai lati della strada ogni 100 m, non sul suo ciglio ma a 30-50 m da esso e con accesso libero. Siepi, reticolati, filo spinato, dovevano essere rimossi per consentirne l’accesso. I terreni poco permeabili dovevano essere drenati.

 

[…] Il segno indicatore delle trincee deve essere esclusivamente un palo munito all’estremità superiore di un fascio di paglia. Altri sistemi di segnalazione sono assolutamente vietati.

I proprietari dei terreni in cui sarebbero state scavate le trincee avevano l’obbligo di curare che fossero sempre in ordine e sarebbero stati rimborsati dal Comune:

[…] Previo collaudo da parte dei suoi organi tecnici e richiesta scritta su carta libera da presentare dagli interessati all’Ufficio tecnico municipale[…] le suddette disposizioni sono obbligatorie, in conseguenza della difesa aerea passiva, per i proprietari tenuti alla costruzione delle trincee ed i contravventori verranno denunciati e severamente puniti a termine di legge.“

 

Il 10 gennaio ’45 il Capo della Provincia Bogazzi scriveva:

 

Oggetto: Taglio di alberi lungo le strade.

A parziale modifica della circolare prefettizia 18-12-1944 n.25387, comunico che la Leitkommandantur di Verona ha fatto presente che lungo tutte le strade di grande traffico potrà essere tagliato, d’ora innanzi, ogni quarto albero, mentre su autostrade i lati della strada Brescia-Verona-Vicenza e Montecchio-Valdagno è necessario che cessi immediatamente il taglio degli alberi.

In attesa di ricevere disposizioni più dettagliate, le Autorità in indirizzo (Commissari Prefettizi, Podestà e Leitkommandantur) impediranno, con ogni mezzo, il taglio degli alberi in misura maggiore di quella suindicata, chiedendo, ove se ne presenti la necessità, l’intervento dei Presidi Germanici, ai quali sono state date le istruzioni del caso.[7]

 

Sia il servizio, che le opere, erano costantemente monitorate tanto è vero che ci furono anche delle prese di posizione a seguito di ispezioni effettuate.

 

Non molto soddisfatto dei lavori nel nostro comune già il 23 novembre del ‘44 il capo della provincia, nonché Presidente del Comitato provinciale P.A.A. aveva scritto al Commissario Prefettizio di San Martino B.A. (al Podestà).

Da un’ispezione fatta alle trincee fatte da codesto Comune lungo la statale Verona -Vicenza si è rilevato che alcune trincee sono state costruite oltre il fosso che corre lungo la strada che ha acqua in permanenza e che non è possibile sorpassare data la sua ampiezza. Si invita codesto Comune a volere sistemare in corrispondenza alla trincea una passerella pedonale da costruirsi con tronchi d’albero e con uno stilare di pietra viva in modo da rendere possibile al pubblico di accedere facilmente al ricovero. Si prega di dare assicurazione.[8]

 

Da questa comunicazione sembra quindi che queste trincee fossero scavate proprio per essere un  rifugio per i cittadini.

Molto peggio si rivelarono quelle ispezionate il 14 aprile 1945. Scrive l’Ispettore Comitato Provinciale P.A.A. col. Vezzi Silvio:

 

Da ispezioni eseguite alle trincee laterali alle strade, si è notato che molte di queste contengono sassi, immondizia e cert’une vengono usate come latrina.

 

Da questa prima frase si deduce che i nostri concittadini non avevano nessuna fiducia di questi ripari ai lati di strade spesso sottoposte a mitragliamenti e ne facevano un uso non proprio.

 

 

L’Ispettore prosegue:

Inoltre, dopo la pioggia, nel fondo di esse si deposita l’acqua che non viene assorbita dal terreno.

 

Il suolo di San Martino, paese di fossi, infatti non permette facilmente il drenaggio delle acque.

 

I Comuni provvederanno con sollecitudine ad ordinare ai proprietari di terreni, di conservare sempre pulite le trincee e sul fondo di queste sia sistemato all’altezza di 15 cm. un graticcio, per impedire a chi dovesse improvvisamente servirsene di doversi bagnare. Questi lavori dovranno essere ultimati entro la terza decade del c.m. […] [9]

 

Ma dopo il 26 aprile di trincee non ce ne fu più bisogno.

 

Troppo tardi, alla fine di febbraio, in seguito al tragico bombardamento della manifattura Pozzani, si pensò a postazioni di segnalazioni antiaeree. Il 21 febbraio ’45 la Leitkommandantur, Gruppo Amministrativo militare, scriveva al Podestà:

[…] Siccome anche nel Vostro Comune il servizio di protezione antiaerea stradale lungo la strada principale Verona-Vicenza, deve essere organizzato con la più grande sollecitudine, allego copia di lettera indirizzata in data del 14 c.m. al Capo della Provincia di Verona.  

 

Il servizio di segnalazione aerei lungo dette strade verrà effettuato mediante il personale di detto Comune e controllato  dal Comando antisabottagio di Verona.

 

 Poiché il tratto della suddetta strada alle dipendenze del Comune è di ca. 4 km,  viene suddiviso in 2 parti di due km ciascuna; in ogni parte devono prestare servizio due uomini, dei quali uno in un posto fisso, esegue il servizio di segnalazione degli aerei, l’altro percorrendo due chilometri esegue il servizio di antisabottagio. Durante la notte, poiché  non viene fatto il servizio di segnalazione degli aerei, i due uomini debbono formare una pattuglia che percorrendo il tratto loro fissato, eseguirà il servizio antisabottaggio. (Come si vede lo scrivente non ha ben chiara l’ortografia di questa parola).

 

Il Ten Maccaccaro (era l’incaricato del servizio antisabotaggio presso il Comune) ha consegnato a codesto Ufficio la tela necessaria per la confezione di 2 bandiere di segnalazione. Dette bandiere dovranno avere stampata le lettera A. [...]

 

[...] Gli uomini del posto fisso debbono agitare, in caso di pericolo aereo, la bandiera di segnalazione; presteranno sempre il loro servizio vicino al posto steso (cioè presso il cartello)

Complessivamente per coprire il servizio occorreranno 12 uomini [...]

 

Le trincee ricovero non avrebbero più dovuto essere segnalate con ciuffi di paglia ma con un cartello.

 

[…] Si fa presente che di giorno tutti gli ingressi delle case o dei terreni lungo la strada devono sempre essere tenuti aperti, onde gli automezzi di passaggio possano ricoverarvisi durante il pericolo aereo […]

 

[...] E' assolutamente necessario di provvedere ad effettuare queste misure di protezione antiaerea    senza aspettare disposizioni da parte del capo della Provincia.

Firma per il Comandante  della Leitkommandantur  Il Capo del Gruppo Amministrativo Militare I.A. Min Rot[10]. (Anche da questo documento si capisce che la Repubblica di Salò è completamente esautorata e il suo Prefetto non conta più niente).

 

Oltre alle postazioni diurne, durante la notte con potenti fari veniva scrutato il cielo dai “soldati dell’avvistamento” per individuare per tempo eventuali incursioni aeree su Verona. Una di queste postazioni si trovava sul colle di San Briccio in località Carnoe. Quando era azionato il fascio di luce era visibile anche da San Martino.

 

Il 3 marzo ’45, protocollata il 14, il capo della Provincia scriveva al Podestà invitandolo a istituire per integrazione alle segnalazioni antiaeree:

 

[…] un posto fisso con tabella bilingue delle dimensioni di cm 60X60 dipinta in bianco con scritta nera:

“FLIEGERALLARM” – “ALLARME”

a)            -all’entrata del paese

b)            -all’uscita del paese.

Forza complessiva agenti n° 4

Tabelle indicatrici              n° 2

 

La situazione ormai precipitava. L’8 aprile il comandante di Piazza di San Martino scriveva al Podestà:

 

Oggetto : protezione aerea.

con rif: disposizione telefonica, Comandante Piazza Colonnello Moser il 7/4/45 ore 18,45.

[…]

1° Controllando i posti di segnalazione il 7 aprile il Colonnello Moser non à trovato il posto alla uscita occidentale di San Martino B.A. Direttiva: I rispettivi posti devono essere presenti, se no saranno puniti. Sono di bel nuovo rigorosamente da istruire al riguardo del loro dovere.

2° Il transito libero della strada deve venire segnalato al autista con la bandiera.

3° Un terzo posto segnalazione si deve mettere alla strada per C. Fracanzana. I rispettivi cartelli sono da fare.  

Si prega di mandarmi rapporto in merito.

 

In risposta, in un appunto del 16 aprile, in questo caso con poca fretta, il Podestà scriveva che per ordine del comando germanico doveva essere istituito un terzo posto di segnalazione antiaerea in località Fracanzana.

 

Il 20 aprile, protocollata il 21, i comuni di San Martino B.A, Lavagno, Caldiero, Colognola, Soave ricevevano dalla Prefettura l’ordine urgente del Platzkommandantur di aumentare le trincee laterali delle strade dei loro Comuni.

Forse i tedeschi si preparavano a un’ultima disperata difesa che però non fecero [11].

 

Fino a ora si è scritto di trincee che avrebbero dovuto essere rifugi all’aria aperta durante gli attacchi aerei ma le vere trincee difensive belliche sono altra cosa. 

Dai racconti della gente e dalla documentazione consultabile presso l’archivio Comunale, possiamo dire che furono realizzate trincee in collina, come peraltro evidenziato nel rapporto sopraddetto:

 “..trattasi piuttosto di una serie discontinua di trinceramenti di diversa consistenza a seconda della importanza della zona, con funzione di elemento ritardatore per permettere il consolidamento delle naturali posizioni nell’interno della fascia montana alpina.”

 

Sempre dalle testimonianze abbiamo appreso che queste trincee furono scavate sia sulle colline ad ovest, che ad est di Marcellise e altre approntate sotto la Madonnina del Belvedere.

 

In particolare, quelle ad ovest (un gruppo di tre) erano comunicanti tra di loro ed attrezzate con tanto di lanterna, pagliericci e dotate di sacchi di pan biscotto: venivano utilizzate anche come rifugi antiaerei dai residenti. Per tali scavi vennero precettati sia uomini che donne.

 

 

Scavo trincee a Marcellise, foto Ada De Vecchi.

 

 

"Nel '44 ricevetti la cartolina precetto dove venivo arruolata per fare le trincee sulle colline sopra Marcellise. Finito questo lavoro dicevano che saremmo state portate in Germania. Ma un vicino di casa mia che già lavorava per i tedeschi in sartoria in Musella mi fece assumere"

  

Un documento certo, in cui si scrive di fortificazioni è la lettera che sotto riproduciamo, scritta a mano dal Podestà, un avviso importantissimo per la cittadinanza datato 9-12-1944, che testualmente diceva:

 

Il Podesta, d’ordine del Comando Germanico Direzione dei lavori O.T. di Marcellise rende noto che nell’ambito delle opere di fortificazione compiute non si può circolare senza un permesso speciale firmato dalla Direzione dei lavori su detti e che tutti coloro che saranno trovati in detta zona sprovvisti del su detto lasciapassare saranno sottoposti alle sanzioni delle vigenti leggi di guerra. Anche i proprietari dei terreni dove esistono le fortificazioni devono premunirsi del permesso. Rende noto inoltre che tutti coloro che saranno sorpresi mentre stanno asportando pali, fascine o altro legname impiegato nelle opere di fortificazione di tutta la zona saranno fucilati sul posto. Data la gravità della sanzione il Podestà fa appello al senso di civismo della popolazione e invita tutti a dare la massima pubblicità al presente avviso.” [12]

 

Anche in Musella vennero scavate trincee soprattutto nelle colline sovrastanti la strada Pedrotta, che da Ferrazze conduce a Montorio.

 

Quindi appare chiaro che strategicamente vennero fatte opere di fortificazione nelle zone che consentivano di ritardare l’avanzata delle forze alleate, per proteggere da monte la ritirata verso la Lessinia. 

 

Alla fine della guerra la contraddizione tra le finalità delle trincee: rifugi antiaerei all’aperto per i nostri concittadini, o vere proprie trincee tedesche, emerge dalla contesa tra l’impresa … e il Comune. Ecco i fatti.

Il 31 marzo ’45 gli operai che scavavano le trincee per la ditta vennero liquidati per due settimane di lavoro con una fattura con tanto di marche da bollo riportanti ancora l’effige del re Vittorio Emanuele

 

Da quanto scritto in precedenza sappiamo che la richiesta di aumentare le trincee, ormai divenute difensive, era stata molto pressante.

I lavori continuarono e anche la manodopera crebbe di numero. Il 15 aprile L’impresa presentò il conto per:

[…] Trasporti eseguiti e forniture materiali per sbarramenti stradali per conto del Comune di San Martino Buon Albergo[…]

 

La fornitura riguardava il periodo dal 13 marzo al 14 aprile. Si trattava della costruzione di 52 trincee in cui erano stati impiegati 137 carri per trasportare sabbia e ghiaia e 47 carri per sassi e pietrame, e usati 48 quintali di legna [13].

In seguito venne presentato il conto per i lavori eseguiti dal 13 marzo al 20 di aprile. Gli addetti erano 47, compreso l’impresario. In fondo alla lista troviamo il timbro del Sindaco ma non la firma.

 

Nessuno venne pagato. Cominciò una contesa della quale abbiamo una discreta documentazione.

 

Il 18 febbraio 1946 Il facente funzione di Sindaco Agostino Luzzo scriveva al Prefetto una lettera  che dà la versione dei fatti dell’Amministrazione Comunale. Lo stile espressivo è quello dei tempi ormai andati: nessuno nella nuova Italia che si stava formando avrebbe più scritto a un’Eccellenza citando Manzoni anche perché l’Eccellenza forse non lo avrebbe capito.

 

Eccellenza,

è una delle settime lettere che alla E.V. scrivo per i miei amministrati, avvicinandosi il giorno della liberazione. Come la E.V. è a conoscenza il Comando Germanico qui di stanza, attraverso l’Autorità Comunale – allora impersonata dal mio buon predecessore Co. Zamboni Montanari ha ordinato la precettazione di lavoratori a mezzo del Comune per lavori di trincee.

I pagamenti arrivarono regolarmente meno per l’ultimo mese di Aprile - così ricordato – in quanto ai tedeschi si sostituirono gli americani e poi a questi gli inglesi-

Proprio si può dire col coro dell’Adelchi

                                               = Col nuovo signore rimane l’antico

                                               = l’un popolo e l’altro sul collo vi sta =

 

Ora un gruppo di lavoratori, facendosi sempre più stretta la situazione, in un primo tempo ha litigato, me assente, col segretario minacciando l’incendio del Comune analogamente a quanto succedette a Verona e di cui l’E.V. deve essere a conoscenza (lo scrivente fa riferimento all’assalto di pochi giorni prima alle sedi della Prefettura e dell’Unione Industriali fatto da lavoratori disoccupati) e successivamente ieri venne a casa mia per il pagamento (quarantasette persone infuriate sotto casa di un vecchio gentiluomo fanno paura) incolpando il Podestà precedente per le promesse da esso date che saranno pagati, anche per evitare la deportazione in Germania dall’allora rappresentante la Civica Amministrazione[...]

Agostino Luzzo non vuole fare da capro espiatorio di una situazione da lui non creata e propone al Prefetto di pagare almeno gli operai.

[…] Per il momento nella partita di giro- come anticipo provvederò per il pagamento di lire 96.081 e per il recupero della somma accollerò con ruolo speciale a carico dei contribuenti maggiori una percentuale al fine di conservare il bilancio comunale da questo avere di carattere statale.

Se lo Stato pagherà rimborserò, se non rimborserà i compresi nel ruolo si assumeranno le spese a fondo perduto.

Confido che V.S. approverà il mio operato e non avrà difficoltà a rendere il ruolo esecutivo. Ormai a mio giudizio siamo non al bordo della rivoluzione ma proprio entro e occorre muoversi secondo le circostanze e con la maggior abilità.

Purtroppo per Agostino Luzzo il Prefetto non la vede come lui e il 15 marzo risponde che per il pagamento dei lavori eseguiti per conto dei tedeschi è stato interessato il ministero competente e che:

[…] Non è possibile autorizzare l’emissione di un ruolo a carico dei contribuenti, per rifondere il Comune delle spese predette, perché non consentito dalle vigenti disposizioni[14].

 

Per fortuna sua dopo pochi giorni, in Aprile, si tengono le elezioni comunali e il facente funzione di Sindaco lascia volentieri la patata bollente al successore.

 

Il 24 Aprile il nuovo Sindaco, Cirillo Avesani, in una lettera al Comitato di liberazione nazionale Costruttori edili scrive una versione leggermente diversa:

Nel marzo del 1945 il capomastro … assumeva dal comando delle forze armate germaniche l’esecuzione di lavori di fortificazione in questo Comune.

 

Dunque non più ripari dai mitragliamenti, ma veri e propri lavori di fortificazione contro gli alleati che avanzavano.

 

Il comando tedesco precettava, come era suo costume, tramite il Comune, una trentina di lavoratori mettendoli a disposizione dell’impresa. I lavori proseguivano fino al 20 aprile e rimasero non pagati.

Gli operai reclamano il pagamento verso il Comune, in ciò  spinti  dal … che crede in tal modo tutelare anche i propri affari: ma non può essere dichiarato responsabile il Comune per il solo fatto di aver emesso d’ordine del Comando tedesco l’invito agli operai di prestare la loro opera.

 

L’Amministrazione ha chiesto alla Prefettura di anticipare almeno i salari agli operai ma questa ha risposto di

 

[…] non poter autorizzare la spesa ma di aver interessato il Ministero e si è in attesa di determinazioni in merito.

Si desidera conoscere in argomento l’avviso di codesto Comitato, specificando gli eventuali oneri che dovrebbero far carico all’impresario che spontaneamente si era messo al servizio del tedesco e che per conto proprio aveva richiesto al comando tedesco la precettazione della mano d’opera[15].

 

Rapidissimo, il 27 Aprile il C.L.N. sezioni costruttori edili scrive al Comune:

 

[…] Da informazioni assunte per altri casi consimili a quello prospettato riferentesi alla impresa …, risulta che altre Imprese hanno pagato in proprio gli operai che hanno prestato la loro opera nel periodo indicato Marzo-Aprile 1945, anche se tali operai vennero precettati a mezzo dei Comuni per ordine del Comando tedesco. –

 

Risulta altresì che le imprese pagarono gli operai adibiti ad opere di sbarramento delle strade, anche se tale spesa era posta a carico dei Comuni per circa una metà. Risulta ancora che il comando tedesco nella generalità dei casi, pagò le imprese a tutto il mese di Marzo lasciando sospeso solo il mese di aprile. Ciò posto si esprime il parere che nel caso specifico l’impresa sia tenuta nel modo più assoluto al pagamento delle mercedi insoddisfatte salvo l’eventuale rivalsa, non verso il Comune, ma bensì verso le altre Autorità extracomunali se queste crederanno di provvedervi con i propri mezzi […] [16].

 

A chiudere la vertenza arriverà il 23 luglio dall’Alto Comando per le sanzioni contro il fascismo una lettera avente per oggetto: Forniture ai tedeschi.

Una delle branche di questa Delegazione è preposta all’accertamento degli illeciti arricchimenti e dei profitti di emergenza, di regime e di guerra. Onde poter colmare una lacuna tra i nominativi delle ditte che hanno collaborato col tedesco invasore e col governo nazifascista si chiede alla S.V. di voler fornire l’elenco dei nominativi (con l’indicazione per ciascuno di essi dell’oggetto della fornitura e dell’importo relativo) che hanno lavorato o eseguito forniture ai nazifascisti tramite codesto Comune. Siamo certi che la S.V. comprendendo l’alto fine di giustizia sociale che ispira l’opera della Delegazione stessa vorrà fornire i dati richiesti con la massima cortese sollecitudine[17].

 

Pare di capire che all’impresa non era dovuto niente se non forse delle sanzioni per aver collaborato.

 

In merito alle postazioni fisse in una nota del 17 settembre 1947 indirizzata alla sezione staccata lavori del genio militare di Verona[18] il Sindaco negava l’esistenza di opere di difesa tedesche/alleate tipo: sbarramenti, casematte, rifugi, postazioni per artiglieria, strade militari, ecc..

 

Non vi sarebbero state costruite neppure postazioni permanenti di protezione antiaerea, come scriveva il Sindaco di allora in una lettera datata 18 novembre 1948 ed indirizzata all’ufficio tecnico Erariale di Verona [19]. Ma la risposta non è del tutto esatta.

Una postazione contraerea (mobile) risulterebbe essere stata nelle vicinanze del cimitero di San Martino B.A., ma su questa al momento non disponiamo di documentazione certa, oggi ci sono capannoni della zona industriale.

Un’altra era in località Ca’ Vecchia, dove oggi si trova la discarica. In questo sito, esisteva un “rifugio Bunker” che è documentato nelle mappe catastali.

 

Ai confini con il nostro Comune esisteva la contraerea, una postazione con “rifugi o bunker” era stata attrezzata a San Michele Extra nelle adiacenze della Villa Mattarana. Ancora oggi sono visibili manufatti in cemento uno dei quali con i due ingressi, si trova in un’area una volta agricola, e che oggi viene usata come parcheggio per il vicino ristorante. L’altro si trova nel terreno dell’ex sede del vivaio “Ikebana Center”, sempre in via Mattarana.

 

Dal 1943 la postazione era comandata dal Capitano Amerio e ne facevano parte molti giovani sanmartinesi per sfuggire al reclutamento tra i soldati della Repubblica di Salò. Si racconta che negli ultimi quaranta giorni di guerra, la cassaforte della batteria sparì.

 

 

 

Rifugi o Bunker adiacenze villa Mattarana. Foto di A. Solati


 

Appendice 5 - Missione RYE

 

E’ il nome di una organizzazione della resistenza. La sua nascita non è stata del tutto chiarita. Sembra che un sommergibile italiano, attraversando le linee tedesche, avesse sbarcato alle foci del Po il tenente Carlo Perucci, che ne era il capo, e due collaboratori. [20]

Pare che il motivo per il quale fu scelta la provincia di Verona come sede della RYE sia stato che il capo della missione, avendo studiato nella nostra città, conoscesse l’ambiente e, prima della guerra, fosse stato uno degli esponenti più qualificati dell’Azione Cattolica. Fu quindi relativamente facile a lui e ai suoi collaboratori trovare appoggio in diverse canoniche, nelle quali furono create vere e proprie basi.

Lo scopo della missione era raccogliere informazioni sulle forze tedesche e fasciste, sui loro movimenti e fornire dati sugli obiettivi militari da colpire. Avrebbe anche dovuto coordinare gli aiuti alle forze partigiane in montagna.

Il numero dei componenti della missione non è conoscibile perché la sua funzione “la rese sempre indecifrabile”.

”[…] Una cosa si può senz’altro dire, che in altre parole essa non si limitò a svolgere un’attività informativa, ma più volte la si trovò in zone dove operavano altre formazioni partigiane, specie là dove vedeva la possibilità di affermarsi in posizione dominante, con i suoi incaricati in veste di “guastatori” o per gettare un “salvagente”, a seconda di come si presentava la situazione. […] È il caso ad esempio dell’allora già squalificato Marozin, salvato dallo stesso Perucci quando stava per colare a picco sotto il peso delle sue malefatte e di una grave condanna da parte del CLN di Vicenza )[…] Altri esempi si potrebbero citare per dimostrare che i capi della RYE non sempre hanno operato per il rafforzamento della Resistenza. Ora poco importa sapere fin dove fossero in buona fede: quelli che contano sono i fatti e questi, purtroppo, dicono chiaramente che gli esponenti della RYE hanno spesso agito in funzione disgregante del movimento armato di liberazione, anche se è vero che gran parte dei loro collaboratori non erano d’accordo e non potevano quindi appoggiare quella linea di condotta militare e politica". [21]

 

 

 

Appendice 6 - Bombardamenti a Verona e San Martino

 

Già nel 1940, quando tra il 20 e il 21 ottobre la RAF aveva bombardato Verona, causando 3 morti e 12 feriti, la zona era stata definita Bombing area. Dopo l'8 settembre, oltre a ministeri fascisti vi si insediarono importanti comandi tedeschi e divenne obiettivo prioritario nel Veneto.

 

Non è facile fare una cronistoria esatta delle incursioni alleate su Verona e provincia perché le persone che ne furono coinvolte non sempre riportarono dati esatti: tanto forte era il loro coinvolgimento in quei 600 giorni in cui la nostra città venne ridotta a un mucchio di rovine. Possiamo solo tentare di darne un quadro il più preciso possibile.

 

Nel 1943, a tre anni dal primo bombardamento, ci furono due incursioni: una in settembre con obiettivo la zona della stazione di Porta Nuova, Santa Lucia, Borgo Roma, e un'altra in ottobre che colpì Montorio e dintorni. Alla fine di quell'anno si contarono già 60 allarmi aerei.

 

Il venerdì 28 gennaio 1944, verso mezzogiorno, una formazione di 120 aerei bombardò la città. Vennero colpiti: la stazione di Porta Nuova, la cartiera Fedrigoni, il mulino Consolaro, Via Camuzzoni, Tombetta, le case dei ferrovieri a Santa Lucia, Basso Acquar. Bombe furono sganciate anche su Isola della Scala dove ci furono 28 morti.

 

Gli aerei USAAF tornarono martedì 8 febbraio. Venne colpito il Seminario Vescovile, la chiesa di San Giovanni in Valle, la stazione di porta Vescovo, e la zona tra Borgo Venezia e San Michele Extra nell'intento di distruggere le officine ferroviarie.

 

Lunedì 14 febbraio nei cieli di Verona si svolse una battaglia tra aerei tedeschi e alleati. Vennero abbattuti 2 aerei per ciascuna formazione. I due tedeschi caddero a Isola della Scala e Isola Rizza, i due alleati uno a Cadidavid, l'altro  presso Castelvecchio danneggiando le case della zona e causando un morto.

 

Altro bombardamento mercoledì 22 marzo, obiettivi ancora la stazione di Verona e Basso Acquar, zona dove c'era il ponte ferroviario.

Disastrosa incursione fu quella di martedì 28 marzo, la più pesante fino a quel momento. Due ondate colpirono, la prima: la zona della stazione di Porta Nuova, l'Arsenale fino alla Valdonega; la seconda le borgate di Santa Lucia e di Porto San Pancrazio, che furono praticamente rase al suolo. Vennero bombardati anche vari stabilimenti tra i quali le Officine Galtarossa.

 

Gli aerei alleati si ripresentarono nella notte di mercoledì 5 luglio e la mattina del 6. Oltre ai soliti obiettivi bombe furono lanciate sull'ex Ospedale militare, ora civile.

 

Giovedì 13 luglio violenti bombardamenti colpirono ancora le due stazioni, l'officina delle locomotive di Porta Vescovo, le condutture del gas presso il cimitero monumentale. La città rimase per ore senza luce, acqua e gas. Per impedire la ritirata delle truppe tedesche verso nord si cominciarono a prendere di mira anche i ponti che attraversavano i grandi fiumi. Per questo Legnago divenne un obiettivo importante. Ci furono bombardamenti il 22 e il 25 luglio e se ne registrarono 3 anche in agosto.

 

A Verona gli aerei alleati colpirono domenica 17 settembre. Particolarmente disastrose furono le incursioni notturne di mercoledì 10 e giovedì 11 ottobre. Tra l'altro raggiunsero le chiese di San Giovanni in Valle, Santa Toscana, Santa Teresa degli Scalzi, i loro dintorni e i soliti altri obiettivi. A Legnago ci furono cinque attacchi in settembre, uno in ottobre, quattro in novembre con due mitragliamenti, infine uno il 7 dicembre. Quel giorno, nel tentativo di distruggere il vicino ponte sull'Adige, fu raso al suolo il Santuario di Nostra Signora al Porto e le vie circostanti. 

 

In città avvennero bombardamenti lunedì 6, domenica 12, martedì 28 novembre, Sabato 2 e venerdì 29 dicembre. Nel 1944 solo a Verona ci furono 483 allarmi, più di uno al giorno.

 

Il 1945 si aprì con lo spaventoso bombardamento di giovedì 4 gennaio che durò tutto il giorno e si svolse in quattro ondate (qualcuno dice sei). Le prime tre colpirono i soliti obiettivi e la periferia, ma la quarta infierì senza pietà sul centro cittadino. Furono colpite Via Mazzini, Via Leoncino,Via Pellicciai, Via Quattro Spade, Via Cappello, Via Leoni, Via Stella, Via Scala, Corso Cavour, Porta Borsari, il quartiere di san Zeno,  Castelvecchio, la Biblioteca Civica. Fu quasi distrutta la chiesa di Santa Maria della Scala, gravi lesioni subirono le chiese di San Tomio, SS Apostoli, San Nicolò, San Bernardino, la Biblioteca Capitolare. Acqua e luce tornarono nelle zone non colpite dopo trenta ore, ma mancò il gas, e le filovie non circolarono.

 

La città e la sua provincia erano ormai quasi prive di difese e le incursioni divennero ancora più incalzanti.

 

Bombardamenti si ebbero venerdì 12, e giovedì 18 gennaio, il 30 gennaio fu colpito San Martino. Martedì 6 febbraio ci fu l'allarme più lungo della guerra: durò 8 ore.

 

Due giorni dopo giovedì 8 febbraio ci fu un nuovo bombardamento, e così lunedì 12. Venerdì  23 ci furono due incursioni: la prima a mezzogiorno rivolta ai soliti obiettivi, la seconda dalle 18 alle 19 composta, non da bombe questa volta, ma da spezzoni incendiari che colpirono anche il teatro Filarmonico, la chiesa di San Fermo, il quartiere dei Filippini, la Dogana. La città bruciava.

 

Per Verona ormai prostrata non ci fu pietà. Il nemico tornò a colpire in un tragico crescendo: martedì 27, mercoledì 28 febbraio, venerdì 2, sabato 3, giovedì 8, venerdì 9,  domenica 11 marzo, venerdì 6  aprile. In quella occasione fu colpita anche l’Arena nella quale si erano rifugiati in molti. Il 23 aprile fu bombardato l’ospedale di Zevio.

 

Secondo alcune fonti Villafranca, che era già stata bombardata sette volte, fu colpita anche il 24 e il 25 aprile. Un documento manoscritto, poi, riporta incursioni anche il 7, il 20 e il 22 aprile con Parona come obiettivo principale.

 

In quel 1945, da gennaio ad aprile, gli allarmi erano stati 696, in tutto 1079 dal settembre del 1943.

 

La guerra finì e la città era un ammasso di rovine. Nessun edificio o monumento era rimasto intatto essendo stati colpiti e incendiati non solo i quartieri periferici ma anche quelli storici. Inoltre Verona era tagliata in due perché i suoi ponti, anche quelli storici (Castelvecchio e della Pietra), erano stati fatti saltare dai tedeschi in ritirata.

Il ponte della ferrovia di Basso Acquar, che gli alleati non erano riusciti a colpire, aveva resistito anche alle mine tedesche. Saltarono solo le due arcate laterali di sinistra e fu subito riparato. Gli alleati si affrettarono a ricostruire una passerella al posto del distrutto ponte della Vittoria.

 

E’ difficile stabilire quante volte San Martino, data la vicinanza a Verona e, in linea d’aria alla stazione di Porta Vescovo, sia stata colpita da bombardamenti o incursioni aeree.  Subì comunque diversi mitragliamenti e bombardamenti, qualche dato è certo:

 

  6 ottobre ’43, bombardamento su San Martino, Ferrazze, Marcellise/Montelungo.

18 Febbraio ’44, bombardamento a Mambrotta.

13 luglio ’44 bombardamento sulla linea ferroviaria Verona-Caldiero.

27 luglio ’44 bombardamento da Tregnago a San Michele.

15 ottobre ’44 bombardamento sulla linea ferroviaria Verona San Bonifacio.

30 ottobre ’44 mitragliamento.

  1 novembre ’44 mitragliamento.

11 dicembre incursione aerea tra San Martino e San Bonifacio.

22 dicembre ’44 mitragliamento al Ponte del Cristo.

23 gennaio ’45 mitragliamento.

30 gennaio ’45 bombardamento dello stabilimento Pozzani.

  3 marzo ’45 mitragliamento.

21 marzo ’45 mitragliamento.

 

Come si vede la cronologia delle azioni nella zona del nostro paese non sempre coincide con quella della città.

 

Ma ogni volta che le incursioni aeree colpivano Verona c'era la paura che si estendessero anche su San Martino e la gente fuggiva a ripararsi. La distruzione dello stabilimento Pozzani creò uno stato d'animo di terrore.

 

Prima di allora si riteneva che le bombe su San Martino fossero una "conseguenza" di quelle sulla città. Un bombardamento mirato come quello del 30 gennaio del '45 rese conscia la popolazione che il nostro non era un semplice paese del Veneto ma un obiettivo che, per una ragione che non si capiva, poteva essere oggetto di altre distruzioni. Per fortuna la guerra, due mesi dopo, finì.

 

 

 

Appendice 7 – Strage Ferrazze

 

Racconto di Ambrogio Furlani membro del Consiglio del Comitato Antifascista.

Testo estratto da: Da San Martino '80, op cit.

 

[...] 25 aprile 1945. I tedeschi in fuga non smentivano la loro fama, dovunque accadevano scontri sanguinosi rappresaglie e atti gratuiti di crudeltà. Un gruppo di nazisti armati di tutto punto compresa una mitragliatrice, sostava sul ponte sant'Antonio. Lontano da loro, davanti alla corte Caval, un ragazzo di 17 anni Otello Scandola studente, attraversava il campo. Una raffica lo assassina. Il 26 aprile mattina, Ambrogio Furlani, 24 anni, ora capogruppo consigliare del PCI, si reca con una pistola in tasca partecipe delle iniziative insurrezionali, verso la Scimia, una contrada, vede in un canale il corpo di un suo coetaneo, Bruno Silvani di Borgo Venezia, sommerso. Raggiunta la località la trova devastata, i nazi hanno ucciso animali (cavalli) e reso inservibili gli automezzi. Sono gli stessi che hanno ucciso il ragazzo, la colonna in fuga si è spezzata: due sono nei paraggi, uno è nella stalla. Furlani si arma di uno dei loro fucili e lo snida senza indugio disarmandolo, quando gli altri tedeschi lo vedono uscire con il prigioniero, gettano le armi. Finiranno, nonostante alcuni volessero fare giustizia sommaria, consegnati agli americani. Sempre i membri della colonna uccisero alle Ferrazzette un operaio salariato, Bruno Gugole.

Ma alle Ferrazze la mattina del 26 compirono la strage. Esacerbati per gli ostacoli non previsti incontrati il giorno prima a San Martino (Furlani con alcuni americani appena arrivati, li aveva impegnati a lungo) ritiratisi nel piccolo centro uccisero sei uomini [...]

 

 

 

Appendice 8 - Referendum istituzionale del 2 giugno a San Martino

 

Nel Referendum istituzionale del 2 giugno a San Martino su 3491 voti la Repubblica ne ottenne 2222 pari al 63,6%, la Monarchia 1269 pari al 36,4%. In generale i paesi a sud della città tranne Cologna Veneta e Povegliano optarono per la Repubblica. La Monarchia fu scelta invece da molti paesi della Lessinia con punte importanti per la zona orientale.

 

Nelle elezioni per la Costituente nel nostro paese su 3502 votanti (un numero maggiore di quanti si erano espressi per il Referendum) i voti furono:

Lista N° 1 Democrazia Cristiana: 1628; lista N° 2 Partito Comunista: 310; lista N° 3 Partito Socialista Unità Proletaria: 1385; lista N° 4 Partito d'Azione: 23; lista N° 5 Partito Repubblicano Italiano: 11; lista N° 6 Fronte Uomo Qualunque: 62; lista N° 7 Unione Democratica Nazionale: 83 [22].

 

 

 

Appendice 9 - Morti e feriti di San Martino [23]

 

Alla fine della guerra un rapporto sui morti e feriti di San Martino riportava:

 

1 morto a Verona nel bombardamento del 28-1-44

1 morto in Borgo Venezia ucciso per spostamento d’aria il 8-2-44

1 morto maneggiando una bomba il 22-9-44

1 morto partigiano il 26-11-44 Druento (Torino)

1 morto mitragliato in Via Ponte il 22-12-44

1 morto a Verona nel bombardamento all’Arsenale del 4-1-45

2 morti e 7 feriti nel bombardamento alla Pozzani il 30-1-45

1 morto a Verona in via Biondella il 12-2-45

7 morti e 2 feriti a Ferrazze- Ferrazzette-Caval il 26-4-45

1 morto in Borgo della Vittoria ucciso dai tedeschi il 26-4-45

1 morto alla Fracanzana investito da autocarro americano il 25-7-1945

1 morto al ponte del Cristo investito da automezzo militare il 10-7-1946

1 morto maneggiando una bomba il 22-9-45

 

1 ferito mitragliato in Via Ponte il 23-1-45

1 ferito mitragliato Via Ponte il 21 3 45 (aveva 3 anni)

1 ferito all’ospedale Chiarenzi di Zevio bombardamento il 23-4-45

1 ferito presso il passaggio a livello delle 4 ruote il 25-4-45

1 ferito in combattimento a Canove il 26-4-45

1 ferito in combattimento in Via Ponte il 26-4-45

1 ferito maneggiando una bomba maggio del ‘45

1 ferito maneggiando una bomba il 22-7-45

1 ferito investito in via XX settembre il 29-8-45

 

 

Alla data del 13 Luglio 1949 nel cimitero di San Martino risultavano sepolti sei soldati tedeschi di cui era ignota l’identità. Non si può non provare pena per questi poveri militari tumulati in fretta e senza segni di riconoscimento, probabilmente perché senza divisa.

 


 


[1] La Linea Gotica (in tedesco Gotenstellung) era la linea difensiva, ideata dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring nel 1944, che si estendeva dalla provincia di Apuania (le attuali Massa e Carrara) fino alla costa adriatica di Pesaro. Venne fatta costruire nel tentativo di rallentare l'avanzata dell'esercito alleato comandato dal generale Harold Alexander verso il nord Italia.

 

[2] SMBA, C40.

[3] SMBA, B158.

[4] SMBA, C40.

[5] SMBA, C40.

[6] SMBA, C40.

[7] SMBA, C40.

[8] SMBA, C40.

[9] SMBA, C40.

[10] SMBA, C40.

[11] SMBA, C40.

[12] SMBA, B154.

[13] SMBA, C40.

[14] SMBA, C40.

[15] SMBA, C40.

[16] SMBA, C40.

[17] SMBA, B161.

[18] SMBA, B162.

[19] SMBA, B164.

[20] Zangarini Maurizio, storia della resistenza veronese, Cierre edizioni, 2012, pag. 441-500.

[21] Testimonianza di Romano Marchi, comandante della divisione Avesani operante sul Monte Baldo, medaglia d’argento della resistenza, Op.c. Su quanto da lui dichiarato alcuni studiosi dissentono. Consultare anche www.tamassia.it

[22] Archivio di Stat. Prefettura busta 34 inventario 65 bis.

[23] SMBA, B161.

 

 

 

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