Forte San Briccio e le sue storie

 

A cura di Anna Solati

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Da: Marino Composta cl 1917- comandante “Anselmo”- residente a San Briccio di Piero Piazzola leggiamo:

 

"L’8 settembre del ’43 Marino Composta, che era a casa in licenza speciale, vide giungere i tedeschi con un carro armato e un autocarro. Probabilmente erano stati disturbati da una sparatoria avvenuta poco prima ed erano arrivati al forte. Avendo trovato la porta sprangata, vi spararono contro due cannonate.

 

Temendo che finisse per saltare il deposito delle polveri, Elio Zotta, un abitante del paese a cui il comandante del Forte prima di fuggire aveva affidato le chiavi, le consegnò ai tedeschi che, ne presero possesso lo rimisero in funzione e riassunsero personale per il lavoro. Tra costoro ce n’era anche uno che informava Composta su quanto vi avveniva . Il Forte venne minato di modo che, se fosse stato attaccato, sarebbe saltato in aria con tutto il paese. Visto però che gli americani si erano arrestati lungo la linea gotica, i tedeschi disinnescarono tutto.

 

Dice Composta: …e i le gà deposité nel primo local, apena dentro el porton principale, pronti però a rimetar in funzion tuto al primo segnal de pericolo de avanzata.”

 

Nell’estate del ’44 gli “sbandati” del paese cominciarono a riunirsi e a formare un gruppo partigiano perché erano venuti a contatto con un rappresentante della resistenza a San Martino (Piazzola non ne fa il nome vedremo anche perché) che faceva parte del GAP di Verona. Inoltre arrivarono in paese Luigi Dusi con la famiglia perché ricercato dai fascisti, e un altro partigiano: Albino Cavalli, sempre in paese viveva Cobello, un altro partigiano della zona appartenente ai GAP di Verona.

 

…”Lori i ne ga dato istrussion e consigli come comportarse e i ne ga insegnà a rastrelar le arme, a prepararle in un posto sicuro per adoperarle al momento giusto. E in quel tempo gavemo fato anche qualche azion de sabotaggio”.

 

Erano piccole azioni di disturbo come seminare per strada chiodi a tre punte per forare le gomme degli automezzi. Tutto questo durò poco perché i tedeschi reagirono minacciando di deportare 40 ostaggi se tali atti fossero continuati.

 

Il 17 luglio del 1944 un commando di 6 partigiani veronesi (Lorenzo Fava, Emilio Moretto, Aldo Petacchi, Danilo Pretto, Vittorio Ugolini, Berto Zampieri) assaltarono il carcere degli Scalzi per liberare il dirigente comunista Giovanni Roveda che vi si trovava prigioniero da sette mesi. L’azione fu sanguinosa, al momento di scappare la macchina faticò a partire, e i tedeschi ebbero tempo di sparare: Moretto, Zampieri e lo stesso Roveda, furono feriti ma riuscirono a fuggire. Pretto, colpito da quattro proiettili, morì quasi subito, mentre Fava, ferito, venne sottoposto a tortura fino alla morte perché rivelasse la struttura del CNL veronese.

 

Questa impresa clamorosa spinse la Gestapo e le brigate nere a una reazione decisa.

 

Per quel che riguarda la nostra storia venne imprigionato il partigiano nostro concittadino che raccontò tutto quello che sapeva sulla struttura della zona.

 

Dusi e Cobello se ne andarono subito da San Briccio. Dusi si rifugiò con la famiglia in una soffitta a Verona ma continuò il suo impegno di lotta nella zona di San Giovanni Lupatoto. Arrestato il 18 gennaio 1945 morì per le torture subite.

Al gruppo di Marino Composta, comandante “Anselmo”, non restò che cercare l’appoggio di un’altra formazione partigiana e lo trovarono nella “Brigata Manara” comandata da Luciano Dal Cero che operava nella zona di Roncà.

Albino Cavalli assieme a un partigiano di Belfiore, Sandro Aldegheri, riuscì a combinare una serie di incontri alla fine dei quali avvenne la “fusione”.

 

Siamo ormai nei primi mesi del 1945, Composta accompagnato da Germano Dal Dosso, venne invitato a un incontro segreto nei pressi di Colognola ai Colli. All’incontro erano presenti Luciano Dal Cero, Sandro Aldegheri e altri capi partigiani. Dal Cero propose di assaltare il Forte con l’aiuto di due autocarri partigiani che sarebbero scesi dalle montagne come supporto.

 

Si doveva perciò far sfollare la popolazione, salire al Forte prendere prigioniera la guardia, impossessarsi delle armi e farlo saltare. Ma “Anselmo” fece presente che l’azione non sarebbe stata di nessuna utilità perché “Li gò informadi de quante arme che gh’era al Forte: na dozina de moschetti, un fusil mitragliatore, un mitra: Gh’era invesse ‘na grandissima quantità de cartucce, ma de quele francesi, che par i nostri fusili no’ le serviva, e infine granate e polvere anca quele inutili par i nostri scopi.”

 

Convinti dai suoi argomenti si rinunciò all’assalto.

 

Nel Forte non esisteva un vero e proprio presidio, ma vi entravano artificieri per controllare lo stato delle polveri e tutto intorno c’era una guardia di soldati italiani che erano in buoni rapporti con la gente di San Briccio.

 

C’era la paura che gli ultimi momenti della guerra provocassero un dramma per la popolazione per questo vennero chiamati in aiuto non solo gli abitanti del paese ma anche quelli di Lavagno.


La notte tra il 24 e il 25 aprile con l’appoggio dell’artificiere Giuseppe Ceolaro e del responsabile militare Renato Puliero, tutto San Briccio entrò nel Forte e:

 

Quela sera gh’era ‘na moltitudine de gente che portava fora le casse de tritolo (che erano più di mille) . Lo gavemo portà in un campo, de drio el monte del Forte, zo in basso; chi portava fora e chi spacava le casse e disperdèa tritolo per tera nel campo. Ale cinque de matina ghe gavèmo dato fogo e, dopo, semo tornè a casa ».

 

Le guardie del Forte, tutti ragazzi giovani, se ne andarono pacificamente e qualcuno fu anche accompagnato in stazione.

 

Un’ultima paura si ebbe quando le forze americane che erano arrivate vicino a San Martino cominciarono a sparare cannonate verso il Forte. A gran fatica, a causa del vento impetuoso che spirava quel giorno, fu innalzata la bandiera bianca e gli spari cessarono.

 

Il giorno 28, una lunga colonna di soldati a piedi giunse in paese, erano gli alleati. Ma non si fermarono a lungo e, avendo preso atto della situazione, se ne andarono. 

 

 

C'era una volta