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Bonetti Primillo.  Reduce dalla Russia.

a cura di Anna Solati

 

Quando Primillo Bonetti comincia a raccontare la sua storia ha davanti a sé una cartella che apre con delicatezza dicendo: “Qui c’è una parte importante di me: i miei ricordi. Forse a qualcuno possono sembrare cianfrusaglie da buttare, ma io penso che, quando si perde il passato, il presente e il futuro restano come una casa senza fondamenta.

E’ proprio perché per me il passato è importante che non ho mai cambiato “casacca” per andare al passo con la convenienza del momento. Sono orgoglioso della mia coerenza che,  qualche volta,  mi ha reso la vita poco facile”.

 

Con cura toglie da una busta le mostrine del corpo di appartenenza: l’arma degli autieri, un nastrino le cui tre stellette indicano gli anni trascorsi nella zona di operazioni, una croce di guerra dell’esercito italiano, la croce tedesca, con relativo nastrino che si riferisce al C.S.I.R., tre tagli diversi di rubli, dei Lei, il foglio matricolare … alla fine ecco otto quaderni, alcuni con l’intestazione in polacco, altri in caratteri cirillici: sono il suo diario di guerra.

 

Da quando è partito da Verona il 27 Agosto 1941 anno XIX (come sottolinea) a quando è tornato in Italia, il 20 Aprile del 1943, ogni giorno, con perseveranza, ha scritto qualcosa, anche solo che tempo faceva. Sono note in matita o in penna con inchiostro di vari colori e ci mostrano che Primillo, prima di addormentarsi, deve lasciare una traccia che in futuro gli permetta di ricordare ogni momento di quel periodo. Il suo diario ha questa modesta:

“Premessa

Diario di un soldato autiere, inviato su sua richiesta in zona di operazioni sul fronte russo con il C.S.I.R. Fortunatamente, dopo ventidue mesi di alterne vicende, è ritornato in seno alla sua famiglia.

Detto diario (strettamente personale per il suo contenuto) è stato scritto quando il tempo lo  permetteva, non solo, ma senza rispettare  né grammatica, né sintassi, in modo veloce, comune, insipido e spesso monotono.

 

Il ragazzo soldato,  vestito di grigio verde ha servito la Patria con senso del dovere, lo ha fatto perché con questi sentimenti è stato educato.

E’ rimasto anche deluso; ciò nondimeno ne è fiero.”

Trascrivendo i suoi quaderni gli do ragione e torto insieme. Infatti ne esce uno spaccato onesto, senza eccessi, di una vita di fatiche e sofferenze dove non si ha orario di lavoro e si va anche se le condizioni atmosferiche sono proibitive: il carico deve essere consegnato, con sprazzi di tragedia che a questo ragazzo passano sotto gli occhi senza che gli siano date spiegazioni. Quello che gli è dato di sapere non viene dai suoi ufficiali, in cui crede ciecamente, ma ad esempio, da un capitano a cui dà un passaggio e che torna a casa dal fronte. Questa vita, rispetto a chi sta sul Don ha anche i suoi tanti momenti piacevoli perché loro, i soldati, non sanno niente, vivono la vita dell’accantonamento in cui si trovano: hanno 20 anni e amano conoscere le ragazze, si sentono dei rubacuori, cercare qualcosa di meglio da mangiare, magari cucinarsi una pastasciutta per ricordare casa.

 

La tragedia della ritirata del Don arriva improvvisa, ma non è quasi capita. Viene ordinato, senza darne le motivazioni, di alleggerire le giacenze dei magazzini per lasciare ai russi il meno possibile, in un ripiegamento caotico e disastroso anche delle retrovie: dal 25 Dicembre al 12 Febbraio, a tappe, da Voroscilograd (ora Lugans)  a Dniepropetrovsk. Eppure, nella sua ingenuità l’1 Marzo crede ancora che il fronte si sia stabilizzato!!!!!

“La mia vicenda in guerra non è stata niente di speciale”, mi dice, “in fondo ho avuto molta fortuna”.

Sentiamo allora cosa ci racconta questo fortunato.

“Sono nato il primo gennaio del 1921. Mio padre era un modesto operaio dell’oleificio Sacchetti, allora si lavorava ancora su chiamata,  quindi a volte lo lasciavano a casa e mia mamma doveva fare i salti mortali per arrivare alla fine del mese. In quei tempi di analfabetismo, lui con il suo diploma di terza elementare, era già un “intellettuale”. Amava appassionatamente la storia e ricopiava, con una bellissima calligrafia, le frasi celebri o gli episodi eroici che lo avevano impressionato. Eravamo due fratelli, io ero il maggiore.

 

Papà, non so in quale modo, riuscì a farci studiare. Io arrivai fino al penultimo anno di perito elettrico poi andai a lavorare a Padova alla scuola Aristide Gabelli come insegnante tecnico pratico e con il mio stipendio diedi il mio contributo a far studiare mio fratello. Terminai gli studi dopo la guerra.

 

Mi aveva affibbiato il soprannome di Duca, con cui tutti in paese mi conoscevano, sia perché mi piaceva andare in giro, se non ben vestito, non ne avevamo la possibilità, ordinato e pulito, sia per il mio rifiuto interiore della volgarità e il bisogno di migliorarmi sempre. Così, fatto piuttosto raro a quei tempi, nel 1940 avevo preso la patente.

Nel 1940, avevo 19 anni, era arrivato il momento di andar a fare il militare, ero stato assegnato al corpo dei carristi con destinazione l’Africa. A me l’idea della sabbia, del caldo soffocante e di stare rinchiuso in un carro armato faceva orrore per cui firmai per essere inviato nella zona di operazioni di guerra come autista del 51° autogruppo pesante, 187 autoreparto che allora aveva sede a Villafranca.

 

Insieme ad altri corpi dell’esercito, il nostro  faceva parte del CSIR  (Corpo di spedizione italiano in Russia). Si andava al fronte come alleati dei tedeschi che, dopo aver conquistato Polonia, Romania e Ucraina stavano avanzando verso Mosca e verso il Caucaso, era  “l’Operazione Barbarossa”.

 

Il 27 Agosto del 1941, XIX il convoglio del 187° autoreparto Pesante (C.S.I.R.) con tutti gli automezzi assicurati sui relativi pianali dei carri ferroviari, era pronto a partire per la zona di operazioni dallo scalo merci della stazione F.S. di Verona-Porta Nuova.

Verso le ore 12 venne a salutarmi la mia adorata mamma assieme al mio fratellino. Alle ore 12.25 il convoglio si mosse diretto alla zona di operazioni: tutti noi autieri avevamo preso posto nella cabina del mezzo e vi restammo fino all’arrivo.  Dopo 7 giorni, avendo attraversato Austria e Ungheria, giungemmo in Romania a Botosani e si scaricarono tutti gli autocarri. Da questa città con gli automezzi ci si è mosse verso il comando italiano che aveva sede a Balti in Moldavia.

 

Foto Archivio Bonetti Primillo.

Il protagonista alla guida del suo Bianchi Miles RE 96352.

 

Cominciò così la mia vita di soldato. Leggendo le mie annotazioni, anche sintetiche, mi vengono in mente, come in un film, ad una ad una quelle giornate.”

Appena arrivato il ragazzo viene subito “messo al lavoro” ecco uno stralcio di quelle prime esperienze:  “Il 2 Settembre di notte ci fermammo a Botosani per il carico della nafta ed al pomeriggio del 3 partii per Stefanesti dove arrivai sempre di notte.

La città di Botosani è una discreta città però molto popolata da ebrei contenuti  molto stretti.

Stefanesti città vicino al Prut è stata metà rasa al  suolo dall’incursione aerea. Qui sosta tutto il giorno perché la piena del fiume ha rotto il ponte.

4/9 Da Stefanesti ritorno a Botosani in attesa di ordini. Lì mi fermai la notte e il 5/9 (domenica) si fece rifornimento e partimmo per Iasi ….

Il 6/9 arrivai a Iasi dopo 125 Km. Ebbi occasione di vedere questa bella città della Romania, dove c’è pure l’università. Mi fermai nel parco della città per un paio d’ore e il pomeriggio alle 4 partii per  Belzi e si arrivò la mattina. Le strade sono pessime. Non sono strade ma piste.

La sera prima di arrivare a Belzi siamo stati bloccati nel fango per 3 ore. Fortunatamente la pioggia è cessata.

A Belzi c’è il comando di tappa italiano e lì ci danno l’ordine di proseguire per Chisinau  dove si arriva alla sera alle 6.

Ci si ferma 4 giorni fino tutta domenica per rottura del ponte sul Dnestr che il genio romeno costruì in 3 giorni con le barche di ferro.

La città di Chisinau è stata notevolmente distrutta dai russi messi in fuga . Si nota però che era una città stile russo e qui si vedono anche strade discrete …

Il lunedì alle 5.30 mi svegliai e ricevetti l’ordine che, con altre quattro macchine. dovevo andare a Tighina a scaricare la nafta. A Tighina arrivai a mattino alle 10.

 

Nelle prime ore del pomeriggio si riparte per Chisinau ma dopo dieci Km riceviamo l’ordine di fermarci ad aspettare la nostra colonna che ha ricevuto l’ordine di partire da Chisinau perché il genio romeno aveva ultimato il ponte sul Dnestr. Qui per questa colonna (dovuta sempre alla piena) furono bloccate 20 mila macchine oltre a una divisione corazzata tedesca che doveva rinforzare il contingente di Odessa.” 

Era l’avanzata verso il Don delle nostre truppe e di quelle tedesche.

“Passai il Dnestr  sul ponte lungo circa 500 m. e qui vidi migliaia di macchine bloccate.

La notte mi fermai prima del fiume perché era pericoloso passare la notte per la strada cattiva.

Oltrepassato il Dnestr entrai in territorio ucraino diretto a Balta qui si passano le cosiddette montagne russe con strade cattive e paesi desolati. Immensa pianura, grandi piantagioni frumento girasoli e altro. Si vede qualche casa ogni 8 o 10 chilometri e qualche paese ogni 100. Molta miseria. La strada qui è addirittura scivolosa e per fortuna non piove. Si passa Balta e si arriva  a Pervomajsch dove ci si ferma la notte e vien dato l’ordine di ritornare. Al mattino contrariamente ci vien dato l’ordine di proseguire  per l’intendenza  del corpo di spedizione italiano si spostava  da Krivoig-rog. A Pervomajsch vidi sulla strada di Odessa insieme con un ufficiale del genio una colonna interamente distrutta. La colonna contava circa 500 macchine qui presi per ricordo una pallottola dum-dum…

A Kirowo vidi un fatto impressionante: le colonne di ebrei che andavano alla fucilazione- donne- bambini- vecchi in tutto 14.000: tutti in piedi sul pianale degli autocarri erano sorvegliati da militari tedeschi col fucile spianato. L’esecuzione venne fatta fuori dalla città: così mi riferì un mio amico che aveva voluto vedere dove andava quello sventurato convoglio.

 

3 Ottobre. Da Ssassagan si ritorna a Perwomajsch dove mi viene dato l’ordine di andare a Wladimirowka (paese a 300 Km da Perwomajsch) a caricare 30 q di grano … Alle 14 feci ritorno a Perwomajsch dove scaricai il grano e rientrai alla base ad aspettare ordini.”

 

Nel giro di un mese Primillo ha macinato un bel po’ di chilometri di piste fangose praticamente sconosciute, ha visto un paesaggio inimmaginabile per un ragazzo di San Martino, una città e un lungo ponte distrutti dal nemico in fuga, un’armata che si muove verso il fronte e una colonna di ebrei che vanno alla fucilazione. E’ vero che Italia ci sono le leggi razziali, ma le deportazioni sono tenute sotto silenzio e quanto ha visto a Kirowo è per lui una nuova realtà che però è solo colpa dei tedeschi ….

 

Le zone percorse dal protagonista.

 

Ed ecco un’altra avventura di quel periodo:

“8/10 Alla sera alle 17  entro in città a Dniepropetrovsk dove incontro in un crocicchio il mio compaesano Bellini.

Non ho parole per descrivere la gioia dell’incontro…

10/10 … La città si può paragonare a una delle belle città italiane. In parecchi punti la città ha i segni della guerra. Il ponte sul Dnieper è rotto a metà. Magnifico ponte lungo 1000 m di ferro …

19/10 Sveglia prestissimo e ordine di caricare vestiario da trasportare alla divisione Celere: 8 automezzi del mio reparto ...

Il 20 mattina alle 4 si parte, si passa per primi il fiume dove vidi il sorgere del sole e alla sera dello stesso giorno attraversando strade orribili in mezzo ai campi si arrivò a Pissimaia - 130 km.   

21/10 La notte ha piovuto-strade piene di pantano-non si può andare avanti. Un ordine mi dice di fare ciò che si può fare e di andare avanti. In un giorno si fecero 500 m e il 22/11 potemmo fare con l’aiuto del “dovunque (1)” 4 Km. La notte continua a piovere e così siamo rimasti bloccati in mezzo a un’immensa pianura, ovunque si gira lo sguardo non si vedeva né  case né piante. Tutto il santo giorno sulla macchina quando si mette il piede a terra ci si sprofonda nel fango. Sono questi giorni infernali- fame-sete- e sporchi. Si aspetta il bel tempo per poter andare avanti.

23/10. Mi sveglio c’è vento e un po’ di sole questo ci rianima un po', ma le strade sono ancora colme di melma -molta malinconia nostalgia- voglia di piangere- vita ossessionante.

24/10. Fermi ancora nella melma.

25/10. Pian piano si percorrono 30 chilometri fino a Nova Nicolaiew .

26/10. Si arriva fino a Guliai-Pole - paese a 150 Km da Stalino, meta che dobbiamo raggiungere.

Si cammina attraverso campi e montagne russe.

27/10. Dopo 20 Km da Giulai mi succede una rottura alla macchina e non posso più proseguire il viaggio. Riesco a portarmi vicino a delle case: un pezzo di materiale duro ha bucato la coppa dell’olio. Scarico il materiale su un’altra macchina e rimango in attesa che mi vengano a trainare. Sono senza viveri e devo arrangiarmi. Entro nella casa vicino alla quale ho messo la macchina e resto, mi ospitano gentilmente. Approfitto per dargli degli indumenti da lavare, che me li lavano abbastanza bene. Regalai loro un pezzo di sapone, un po’ di caffè-surrogato e due scatolette di carne. Mi offrirono anche da dormire ma in quelle case c’era troppo caldo e poi un odore da stalla che bisognava essere abituati per resisterci.

28/10 XIX Marcia su Roma. Mi alzo e vado nella mia pensione (isba) dove mi danno del latte e caffè che avevo offerto io. Tutto insieme non sapeva né di latte né di caffè e inoltre era senza zucchero, ma tutto ho divorato con molto appetito tanta era la fame. Giorni molto tristi questi- senza notizie di casa- non  una sigaretta e per mangiare arrangiarsi. Sono ben 25 giorni che non ho posta e il mio pensiero è continuamente a casa.

 

Parecchie volte ho fumato un po’ di tabacco arrotolato in un pezzo di carta da giornale, come in questo momento che scrivo.

29/10. Fermo in attesa del traino.

30/10. Giornata di lavoro, smonto la coppa dell’olio e la porto all’officina del 2° Gruppo Artiglieria Divisione “Torino”, situato a 400 metri di distanza. La riparazione viene fatta nel modo più indecente: con il coperchio di una gavetta e ribattini di alluminio, tanto che non mi fidai a partire.

31/10. Fermo in attesa che la mia colonna tornasse da Stalino, continuo a guardare ma nessuno viene avanti, poiché la pista era stata abbandonata al traffico militare. In questi giorni mi capitò un fatto che non vorrei mai mi fosse capitato. Venni derubato di una valigia piena di indumenti invernali. Confesso che piansi come un ragazzetto per il dispiacere non solo del valore e del fatto in se stesso, ma pensando con quale preoccupazione la mia cara mamma mi fornì tutta questa roba. Vicino a me ci sta un altro soldato con la macchina guasta, che quando seppe del fatto accaduto mi fu di conforto e infine fu così gentile da regalarmi una maglia e una camicia militare ed io lo ringraziai con due pacchetti di  surrogato e un marco. Questo fatto non mi da tregua alla notte ci penso, sogno di giorno lo stesso. Per di più lo stesso giorno, rimasto senza viveri, andai per le case e mi feci dare del pane che mi bastò un paio di giorni. Una vita randagia. Il mio pensiero continuamente è ai miei cari ben lontani. Più di qualche momento mi cadono lacrime dagli occhi nel vedermi in tali circostanze. 

 

1/11. Mi decido, forzato dal soldato Crepaldi che si trovava vicino a me, a partire per andare verso il mio reparto a trovare un po’ di consolazione che da un mese non ho….

Marcio solo con la preoccupazione di non rimanere per strada dato il guasto della macchina che perdeva olio, sperando di arrivare in un posto dove ci sono militari e da mangiare. A Gaiser arrivo alla sera alle 16 dove mi ricovero dentro dei capannoni dove si trovano dei bersaglieri bloccati, perché senza carburante. Chiedo loro da mangiare e mi danno una bistecca che sgramo come un cane, poi ne mangio un’altra dopo il rancio e infine il caffè. Questo era il mio appetito …

3/11.Dopo aver fatto rifornimento parto da Gaiser solo diretto verso Nova Nicolaiewa e lì passo con l’aiuto di cavalli e uomini un bruttissimo ponte diretto a Pissimaia. Dopo aver fatto abbondante rifornimento di olio (per motori) sia nella coppa dell’olio rudimentalmente aggiustata con coperchio di gavetta, sia nel secchio di tela impermeabile, nell’intraprendere il viaggio di ritorno al mio autoparco di stanza a Dniepropetrovski, ad un certo momento, in mezzo alla campagna, si presenta davanti ai miei occhi un casolare o fattoria lontano su un grande prato verde con un bivio di 2 piste (strade U.R.S.S.) che mi fecero meditare.

Dopo aver deciso di prendere la pista che conduceva ad una piccola duna, (da dove avrei potuto osservare l’orizzonte) e che in mezzo a questo grande prato c’era da superare un fossato e meditai parecchio, ma, un po’ per entusiasmo e non valutando bene il rischio, decisi per questa pista.

Infatti presi un giro largo sul prato per avere un po’ di velocità per superare il fossato, ma purtroppo rimasi bloccato con il muso dell’autocarro nel mezzo del fossato stesso.

Per il momento non mi persi d’animo e corsi velocemente verso la fattoria a chiedere soccorso.

Furono gentilissimi, vennero con animali da tiro, attrezzi vari, funi grosse e parecchi uomini della fattoria stessa, ma ogni sforzo fu vano e dovemmo rinunciare dopo un paio d’ore circa.

Mentre tutti gli uomini della fattoria rientravano, animali ed attrezzi compresi apparve ai miei occhi in cielo la stella cometa!

Sulla pista che avevo rinunciato a percorrere un’autocolonna di militari al completo che transitava per andare verso Donec (Stalino): era il comando della 3° Divisione Celere.

Corsi verso l’autocolonna agitando le braccia come un disperato e gridando a più non posso, e vidi con meraviglia che, dopo avermi avvistato l’autocolonna, al completo si fermò.

Mi precipitai verso l’autobus che ospitava il comando della Divisione e, il colonnello dopo aver ascoltato quanto occorsomi, poiché era stato comandato al servizio del 3° Bersaglieri della divisione stessa, si consultò con i suoi ufficiali, e diede immediatamente ordine al trombettiere di dare l’allarmi (Pelle d’oca e gioia immensa).

Oltre un centinaio di soldati scesero dall’autocolonna che si era fermata. Vennero verso il fossato liberando il mio autocarro da quella sfortunata posizione procuratami dalla mia negligenza.

Ritornai contento sulla pista, quella giusta, da dove l’autocolonna era transitata ... Mi avvio solo e, verso sera, arrivo a Pissimaia dove mi unisco ad un’altra macchina diretta a Sinelnikovo …

4/11. Alle 8 si riparte con strade brutte, si cammina sempre attraverso i campi dopo 10 km mi trovo ad attraversare un ponte e sono rimasto nel fango ben 4 ore lavorando come un facchino. La melma fino alle ginocchia . Alle 3 con l’aiuto di una 30 di soldati che si trovavano anche loro sul ponte ho potuto cavarmela e arrivare alla sera a Sinelnicovo ...

Strada facendo ogni volta ogni volta che incontro una stazione militare italiana di carburanti e lubrificanti (C.L.) approfitto di approvvigionarmi per i chilometri ancora da fare.

Dormo la notte insieme con altri militari anche loro soli e dispersi con la macchina che attendevano soccorso per rientrare al loro reparto. In un locale ci sistemiamo alla meglio e si mangiamo patate: questo primo e ultimo pasto del giorno.

5/11. Tutto contento mi avvio per Dniepropetrovsk, solo, ma dopo 15 km incontro un capitano che mi avverte che è meglio che torni indietro e passi per Pavlograd perché la strada è impossibile e non circola più nessuno. Ritorno indietro con dispiacere, perché avrei voluto andare avanti; e ritorno con i camerati dispersi. Nel pomeriggio viene un tenente medico per vedere se fra di noi c’era qualcuno con la macchina che poteva andare a Pavlograd unito alla colonna della 25 sezione di sanità. Io non cercavo di meglio e mi aggregai con l’ordine di partire al mattino presto.

6/11. Sfortuna vuole che incomincia a piovere e dopo due chilometri dobbiamo ritornare perché non si può andare avanti per il fango, vento e acqua tutto il giorno. Dalla voglia di arrivare al mio comando per leggere una posta di casa mia sarei andato avanti anche se il mal tempo fosse peggiorato ...

In questi giorni sono pensieroso e triste sempre per il fatto di non poter ricevere della posta e non poter neanche scrivere. E’ un mese e un giorno che manco dal mio reparto, la macchina guasta, una settimana senza viveri, senza posta, che per me è pane, senza fumare, periodo molto burrascoso. Vive sempre la fiamma della speranza che finisca tutto presto, che si ritorni in Patria ...

13/11. Sveglia alle 4, la notte ha gelato tanto che le macchine non sono in moto prima delle 9 del mattino. Ci sono 17° sotto zero e sembra che le orecchie si spacchino. Non ho mai sentito nemmeno in Italia un freddo simile. Si parte alle10 e alla sera alle 5 si arriva a Pavlograd. Lungo il percorso ho patito un freddo da cani. Mi hanno trainato perché la macchina non ce la faceva più. La sera ci mettono a dormire in una stanza molto fredda tanto che alla notte mi sono dovuto alzare a scaldarmi un pochino perché non si poteva più dormire.

14/11. Vengo trainato da Pavlograd  fino a Dniepropetrovsk. Alla sera ci si ferma a Novomskowa.

15/11. Arrivo a Dniepropropetrovsk dove trovo i miei camerati anche loro con la macchina guasta”.

Abbandonato in mezzo all’Ucraina senza viveri con il camion (la macchina) malandata dopo un mese di vagabondaggi riesce a raggiungere il suo reparto dove lo accoglierà anche una solenne lavata di capo da parte del suo comandante.  

 

Così, avanti e indietro per l’Ucraina, macinando chilometri su chilometri, si svolge la vita dell’autiere Bonetti. Le colonne si muovono per piste polverose che quando piove diventano pantani e, se gela, lastre di ghiaccio. Gli inverni ‘41/’42 e ‘42/’43 sono gelidi, a volte il suo servizio si svolge in condizioni al limite della sopravvivenza (–35°): bisogna lasciare “le macchine” con il motore acceso tutta la notte con turni di guardia di 15 minuti perché questo e’ il limite di resistenza all’aperto. Le incursioni aeree russe avvengono costantemente ogni sera e così i mitragliamenti durante i viaggi. Tutto sommato però non subisce privazioni particolari ed ha occasione di conoscere da vicino il popolo ucraino anche le ragazze  “barisnie” tra le quali si trovano anche delle informatrici dei russi. Se ne accorgono a loro spese gli ingenui soldatini che raccontano la meta della colonna per il giorno successivo e all’improvviso si vedono mitragliati dalla caccia russa! A vent’anni si è ingenui: lontano da casa un sorriso amichevole ti compra.

Hanno avuto ufficialmente la notizia della caduta di Tobruk, ma notizie dal Don praticamente nessuna.

Foto archivio Bonetti.

14/7/1943 Quattro sanmartinesi a Stalino. Il protagonista è il secondo a destra

 

Siamo al:

“21/9 (1942) Partenza ore 3 per Rossos. Trasporto ufficio intendenza- km 260 a 30 km dal Don. Partenza  6 macchine con milizia stradale.

22/9 Al mattino ore 7 si parte e si arriva ore 12 a Rossos. Troviamo truppa alpina Div. Julia. Paese discreto. Lungo il percorso carri armati russi distrutti di grosso tonnellaggio.”

Si tratta probabilmente delle ultime sventurate colonne della divisione Julia che, da Nova Gorlovka, 600 chilometri più indietro, stanno raggiungendo il fronte a piedi, con un viaggio che dura 6 giorni. Il convoglio motorizzato che arriva abbastanza velocemente, solleva un polverone guadagnandosi le “benedizioni” venete di quei bravi ragazzoni. Tutti si fermano, Primillo riconosce tra di loro alcuni compaesani: abbracci, strette di mani.

Rifacendo la strada dopo alcuni giorni, con un tempo piovoso , in una curva scorge una baracca  da loro allestita che serve da  “ristoro volante” per chi passa. Anche lontani migliaia di chilometri da casa, in un paese così diverso da quello dove sono abituati a operare, gli Alpini non si smentiscono!!!  Quanti ne saranno tornati?

 

Primillo rientra alla sua base di Voroscilograd. Improvvisamente il suo reparto riceve l’ordine svuotare i magazzini della città di quanto può servire e lasciare sul posto non solo le macchine guaste ma anche buona parte di quelle efficienti ( “Anche la mia “ commenta amareggiato) e arretrare verso Ricovo:

“20/12 Al mattino presto parte la colonna per Ricovo. Si sentono brutte voci riguardo al fronte. I russi, sfondato il fronte con i carri armati, hanno messo in fuga gli italiani. Infatti molti arrivano nella città svestiti, senza armi, disorientati. Per tutto il giorno continua  l’arrivo. Da Kantemirovka tutti sono fuggiti … Più tardi verso le 19 arriva l’ordine di ospitare 150 soldati di quelli che sono fuggiti. Lì sentiamo racconti più o meno uguali.

21/12 Al mattino ore 4.30 ritorna da Millerovo la colonna di munizioni avendo avuto l’ordine di ritornare. Durante tutto il mattino continuano ad arrivare autocolonne provenienti da Millerovo cariche di soldati, bagagli e materiale. Per la città è tragicommedia: soldati di qua, di là, non sanno dove vanno presi dalla fifa. Insomma tutto sommato bisogna vedere con gli occhi per credere. È una disfatta. Sono le ore 15 e si dice che Millerovo, già sgombrato, sia in mano ai russi. Termino ore 15.30. Giorni indimenticabili.”

A Ricovo,  non avendo nessuna informazione precisa sugli avvenimenti del fronte, la vita si svolge senza combinare niente di utile, annoiandosi. Poi:

“23/1 Anche a noi arriva l’ordine di ripiegare su Stalino (Donec). Difatti si procede al caricamento del magazzino. Si lavora fino a sera. Alla sera arrivano altre macchine del nostro reparto, a Voroscilograd è rimasto solo il nostro comando.

24/1 Domenica. Sveglia ore 3. Si lavora da cani per la messa in moto delle macchine. Alle 6 la colonna è pronta e si parte. Prima di partire si fa rifornimento di pane al bazar. Durante il viaggio colonne interminabili di automezzi e uomini: scene avvilenti , pietose.

Dal 25 dicembre 1942 ad oggi 12-2-1943 tutto il reparto è in missione di ripiegamento: Voroscilograd, Ricovo, Stalino e ora, mentre scrivo Dniepropetrovsk km 450…

19/2 Al mattino un po’ di bufera di neve che cessa verso le 10.  … Le macchine sono pronte in caso di movimento. In una adunata il nostro capitano ci disse che le operazioni vanno male ed è facile ripiegare ancora perciò tenersi sempre pronti …”

Solo a due mesi dalla disfatta del Don essa viene ammessa, seppure con qualche riserva!!!!.

 

Primillo lascerà Dniepropetrovsk il 13 Aprile e, passando attraverso la Polonia la Cecoslovacchia e l’Austria, arriverà in Italia al Campo contumaciale di Osoppo il 20 dello stesso mese.

Qui finisce l’ottavo e ultimo quaderno.

Nel Campo Contumaciale (2) di Osoppo  resterà una quindicina di giorni.

“Dopo la contumacia, ebbi, come tutti, 30+1 giorni di permesso. E, rientrando a casa, mi commosse il fatto che le mie mani e quelle di mia madre, nello stesso istante, uno da una parte e uno dall’altra, aprirono insieme la porta dell’abbraccio”.

 

Ritornato al suo reparto a Verona e destinato all’ex conceria Rosa come istruttore di guida alle reclute, riuscirà a non farsi prendere prigioniero l’8 settembre. La vita la rischierà, l’ultima volta, proprio a pochi metri da casa sua il 26 Aprile 1945.

 

Sentiamolo:

“Era il 26 Aprile i tedeschi passavano per il paese scappando con qualsiasi mezzo, in particolare con biciclette. Io stavo tornando verso casa, allora abitavo vicino al Drago, quando ho visto un tedesco appiedato che stava portando via davanti al luogo dove allora stava la Farmacia Nicolis, la bicicletta ad una povera vecchia. Io sono una persona riflessiva, ma in quel momento non so cosa mi ha preso.  sono scattato come una belva e gli ho rotto in faccia la “scala parlante (3)” che avevo con me. In quel momento passava un gruppo di SS in bicicletta che si fermarono immediatamente dato che il soldato sanguinante chiedeva aiuto ed era sceso dal suo mezzo. 

 

Furono per il paese urla e un fuggi fuggi generale. Io presi a fuggire verso casa che era vicina all’entrata del Drago (4). Un poliziotto tedesco che abitava presso la villa Marini, poi Mostacci, e lavorava come amministrativo presso il suo comando nella Musella, uscendo di casa per scappare, avendo assistito al tutto, venne verso di me  ed estrasse la pistola e, mentre correvo, mi scaricò da breve distanza sei colpi, di tre dei quali vidi il fumo davanti agli occhi. Continuando la corsa dissi tra me e me “Sono salvo” e, giunto a casa, scavalcai il muro  di confine della tenuta, grazie ad una scala che c’era nel cortile dove abitavo, e mi misi al sicuro. Sarebbe stato il colmo che dopo essere scampato da tante traversie mi fosse successo il peggio nel mio paese!”

Viene congedato dall’esercito il 15/09/1946.

 

Dopo la guerra Primillo ha trascorso la sua vita normalmente: lavoro, matrimonio, figli, il tran tran quotidiano di un tranquillo sanmartinese … con una piccola stranezza: è stato il primo istruttore di guida di un concittadino campione di automobili sportive che ha disputato valorosamente le Mille Miglia e molte gare in Italia e all’estero ottenendo buoni risultati: chi aveva “domato” le piste dell’Ucraina ne aveva di segreti da insegnare!

   

Maggio 2005 - A cura di Anna Solati

   

Note:

(1)  Dovunque: Autocarro a sei ruote motrici  che serviva da soccorso agli automezzi in difficoltà. Era dotato di tutti gli strumenti atti a recuperare i veicoli.

(2) Campi contumaciali: Luoghi di “isolamento” dei soldati che venivano sottoposti a visite mediche di ogni tipo per assicurare il ritorno a casa senza malattie infettive.

(3) Scala parlante: Una mascherina di vetro che riportava la scrittura delle stazioni radio italiane e straniere.

(4) Drago: Entrata secondaria della Tenuta Musella. In realtà sembra la principale perché si trova sulla SS.11.