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Foroni Eddo, artista

a cura di Anna Solati

 

 

    Eddo Foroni dopo aver abitato e lavorato a Verona per la prima parte della vita, per sfuggire al traffico congestionato della città è venuto ad abitare a San Martino 20 anni fa … purtroppo  questo traffico lo ha di nuovo raggiunto.

    Non è possibile definirlo con un solo termine perché è persona che ha avuto una serie di esperienze di vita diversissime: atleta, soldato, operaio della TODT, pittore, poeta, scultore, autore dei grandi presepi che ogni anno sono allestiti nel Tempio Votivo dei frati conventuali di Verona, fa parte del direttivo dell’Università della terza età…..

 

L’atleta.

    Nato nel 1924, terminati gli studi commerciali nel 1940, si impiega in una Assicurazione. Trovare lavoro per i giovani in quegli anni era facile in quanto gli uomini erano in gran parte sotto le armi: o di leva o richiamati.

 

   La vita però in Italia continua normalmente e così, come fanno da 20 anni, i giovani si ritrovano negli stadi a fare “il sabato fascista”: corsi paramilitari, piccole gare, saggi di ginnastica e ….”percorsi di guerra” per temprare la gioventù!

    Eddo partecipa a questi sabati, si è praticamente costretti, per indottrinamento e per esercizi paramilitari.

 

Spiega:” A quei tempi l’atletica non era popolare, la gente faceva ciclismo, pugilato, lotta libera, scherma, tutte attività “da uomini veri”.

 

Tra i gruppi rionali fascisti però. si organizzano delle gare di corsa e, nell’ottobre del 1940, ad  una di queste viene fatto partecipare anche lui, che pur essendo mingherlino e non allenato, arriva secondo dopo il campione di Verona che fa parte della prestigiosa società Bentegodi.

 

   L’allenatore della Bentegodi, il Prof. Bovi, fondatore dell’atletica leggera veronese, resta impressionato da questo ragazzino, ne chiede il nome e, nella primavera successiva lo convoca e comincia ad allenarlo.

    Per Eddo sarà un crescendo di successi: nel 42 è campione regionale, nel giugno del 43 dopo una serie di gare di qualificazioni pesantissime, a Vigevano diventa campione italiano dei 1000 metri piani con il tempo di 2,36 sec. Si tratta di un record prestigioso calcolato che allora le piste avevano il fondo di … carbonella, si correva con le scarpe da ginnastica, e che scarpe!

 

 

Eddo Foroni n.5 - giugno 1943 Campione Italiano 1.000 mt. 

 

   La passione per l’atletica non lo ha mai abbandonato e da 63 anni ne è parte attiva nel suo entusiasmo di agonismo. Difatti gareggia ai Campionati Mondiali ed Europei, ben inteso nelle categorie “masters”suddivisi in fasce di età di cinque anni in cinque anni (Campionati indoor 1982 - campione Italiano 400 mt.).

 

1982 campionato italiano masters indoor.

 

 

   Ha collezionato quasi tutti gli anni uno o due titoli italiani di velocità (100, 200, 400 metri). L’anno venturo sarà in Danimarca agli Europei e nel 2005 ai Mondiali a Barcellona.

Dice che: “Bisogna morir giovani, il più….tardi possibile…”  

 

Il soldato.

Nel Luglio del 43 viene chiamato di leva. Si tratta dell’ultimo scaglione di soldati dell’Italia come nazione unita.

 

Dopo di allora le chiamate di leva verranno fatte solo dalla Repubblica di Salò perché in Italia, un governo centrale non ci sarà più fino al giugno del 46.

 

Ha fortuna perché facendo parte dei carristi viene assegnato alla caserma di Montorio. Qui si trovano 5.000 ragazzi provenienti da tutto il Paese, specialmente dal Sud. Questo si deve al fatto che alla specialità vengono assegnati i giovani di statura non particolarmente imponente: quelli alti, in genere, li mandano nei Reggimenti alpini.

 

Una domenica di Luglio, ha appena iniziato la leva, sente dalla radio l’annuncio che il Duce si è dimesso dalle sue cariche perché messo in minoranza dal Gran Consiglio ed è stato arrestato.

Racconta:

 

Nessuna meraviglia, ascoltando di nascosto Radio Londra si capiva che la nostra situazione era pressoché disperata, doveva succedere qualcosa che ci avrebbe portato alla pace, finalmente.

Invece silenzio. Avevamo però la sensazione che c’era chi si muoveva: i tedeschi i cui mezzi blindati avevano cominciato a venire dal Brennero in un numero elevatissimo preventivando un tradimento.

Noi soldati cominciavamo a pensarli come nemici che prestissimo avremmo dovuto combattere, sentivamo che ci stavano invadendo.

Nel pomeriggio dell’8 settembre infatti la radio annunciò l’armistizio.

In caserma nessuna reazione da parte degli ufficiali. Come ogni sera siamo andati a letto vestiti: già allora i bombardamenti a Verona erano massicci. Quando, anche due volte per notte, suonava l’allarme, ci si alzava velocissimi, fucili alla mano e ci si dirigeva verso i rifugi del Pestrino o di Porto San Pancrazio.

La mattina prestissimo però viene dato ordine di marciare tutti 5.000, proiettile in canna verso Verona per liberarla dai tedeschi. A metà di viale Venezia però contrordine: ritirarsi in caserma per difenderci e combattere fino all’ultimo uomo.

Ritorno in caserma, le mura sono munitissime di soldati pronti a sparare, arriva davanti a ciascuna porta della caserma un mezzo blindato tedesco con alcuni soldati e l’intimazione di arrenderci. E infatti…. Ordine dal nostro comandante di deporre le armi in un mucchio, così siamo rimasti disarmati.

Tutti piangevamo di rabbia contro gli ufficiali vigliacchi che in poche ore ci avevano così ferocemente presi in giro. Essi non si sono comportati come il Colonnello Spiazzi dell’8° artiglieria che ha combattuto senza paura.

 

I 5.000 sorvegliati da pochi tedeschi e dai pochissimi tanks sono prigionieri.

 

All’interno della caserma la rabbia si scatena nel saccheggio, nessun ufficiale è più in grado di imporre la disciplina: i soldati non sono che ragazzi di 19 anni disperati e delusi.

I tedeschi non perdono la calma e mostrando fasce della croce rossa invitano i prigionieri ad uscire: andranno a lavorare negli ospedali militari. Nella realtà con questo sistema cominciano a sfoltire il posto dagli uomini e ad inviare prigionieri in Germania.

 

Ed Eddo?

 

Il padre di Eddo ed altri genitori di ragazzi veronesi si recano ogni sera nei campi davanti alla porta principale e con segni fanno capire che non ci sono speranze di libertà se non scappando. Ma in che modo?

 

Gli abitanti di Borgo Venezia hanno scoperto che da un tombino con un veloce scavo si può raggiungere il canale collettore dello scarico principale dell’acqua che proveniva dai lavandini, questo canale nel suo percorso incontrava un tombino….

 

Uno dopo l’altro alcuni coraggiosi, tra cui Eddo, entrano in questo buio canale, con l’acqua fino alle spalle ed un percorso di mezz’ora tornano alla superficie.

Eddo trova suo padre con i vestiti da borghese e una bicicletta, velocemente si rifugia a Sorgà dove la sua famiglia era sfollata.

 

Lavoratore della TODT.

 

Racconta:

“Mi nascosi nella casa di famiglia ma la situazione era precaria, rischiavo la vita.

Per rinforzare il suo esercito il generale Graziani della Repubblica fascista di Salò, aveva chiamato alla leva i giovani della mia classe e quelli della classe 1925 e, siccome si era in guerra, non presentandoci venivamo ritenuti disertori con tutte le conseguenze che si possono immaginare comprese eventuali rappresaglie verso i nostri cari.

 

Non erano i soldati tedeschi che mi mettevano paura ma i militi repubblichini del luogo essi conoscevano bene la situazione delle varie famiglie e, da un momento all’altro, potevano venire a cercarmi.

 

Avevo sentito che a Mantova i tedeschi cercavano lavoratori italiani e ci andai. Rimasi alcuni giorni in una caserma aspettando una qualche destinazione, poi vedendo che la gente mi spariva intorno senza ragioni chiare, sospettai un tranello e velocemente me ne tornai alle incertezze di Sorgà.

 

Intanto il bando Graziani si era fatto ancora più minaccioso, io ero disperato e decisi di andare tra i partigiani. Mi recai a Verona per accomiatarmi da mio padre e fui ancora fortunato, anche a Verona cercavano lavoratori per il recupero dei residuati metallici dei bombardamenti da mandare in Germania per essere riciclati ad uso bellico.

 

Verona, che era la sede della stazione di smistamento dei treni della linea del Brennero, è stata una città martire. I bombardamenti ferocissimi erano praticamente all’ordine del giorno perché gli alleati volevano bloccare i rifornimenti che venivano dal Nord. Ancora oggi, ogni tanto, i quartieri di Santa Lucia e Borgo Roma vengono svuotati per disinnescare qualche ordigno bellico che viene ritrovato.

 

Un’altra ragione dei bombardamenti erano i forti intorno alla città che erano depositi fornitissimi di munizioni.

Fui assunto da un organismo chiamato TODT il 4 Aprile del 1944 e vi rimasi fino al 24 Aprile del 1945 quel giorno l’amministrazione tedesca, prima di andarsene, ci liquidò tutti.

 

Il mio lavoro consisteva nel fare a pezzi con il cannello ossidrico i residuati metallici: rotaie, automobili etc. tali pezzi poi li caricavamo su vagoni merci che, come ho detto, andavano in Germania.

 

In quel periodo ho visto scene tragiche di tutti i tipi. Una mi ha colpito profondamente. In piazza Cittadella sfilavano tra due ali di militi repubblichini, italiani come loro, i renitenti alla leva: ragazzi di venti anni, che venivano mandati prigionieri in Germania. I genitori disperati si assiepavano tutt’intorno.

 

Ad un certo punto uno dei giovani prigionieri , vedendo la mamma ruppe le file per abbracciarla e fu ucciso da una raffica di mitra. La faccia di quell’assassino la ricordo ancora adesso, spero abbia avuto la giusta punizione. (Racconta ancora qualche altra esperienza, ma ce ne sarebbero tante altre…Eddo !!!).

 

Ormai si viveva abituati ai bombardamenti, quasi trascurando gli allarmi che suonavano di notte, come di giorno con formazioni di centinaia di bombardieri ad ondate.

 

Un giorno, durante il turno di colazione, mi recai a casa ma fui sorpreso da un allarme (quando la sirena suonava 10 volte significava allarme di grande pericolo). Mi accingevo a mangiare quando sentii che gli aerei erano gia sulle nostre teste. Scesi in cantina perché non avrei fatto in tempo a recarmi al Rifugio sotto i bastioni. Un grappolo di bombe cadde tutto intorno, tanto che era come ci fosse stato un terremoto. Cercai di tranquillizzare i presenti accingendomi a salire in superficie mentre, oltre al forte odore delle esplosioni c’era una polvere inverosimile di calcinacci. In strada ebbi la sorpresa di vedere quanto era accaduto: la mia casa era stata scoperchiata e non esisteva più la via alla mia sinistra. Tutto distrutto con molti morti: era il 4 Gennaio del 45, la tragedia fu tale in tutta Verona (colpiti tutti i quartieri ed il centro) che mutò perfino il tempo: da una bella giornata di sole cominciò la sera a….nevicare.

 

La guerra, si capiva, volgeva ormai al termine. Anche i tedeschi che ci comandavano avevano persa ogni speranza sulle “armi segrete” che dovevano capovolgere le sorti.

Ogni mattino, quando mi recavo al lavoro, essi mi chiedevano sa avessi ascoltato Radio Londra per conoscere dove fossero arrivati gli alleati. Erano ormai vicino a Bologna e si accingevano a sfondare il fronte per l’ultimo decisivo balzo verso il Veneto.

Rotto ormai il fronte verso Aprile si vedevano passare reparti tedeschi in piena rotta: disperati, scalzi con i piedi sanguinanti dalla marcia verso il Brennero. Rubavano e ghermivano quanto poteva dal loro la possibilità del trasporto.

Era stato loro detto che gli Alleati non facevano prigionieri ma ammazzavano…Invece davano sigarette, cioccolato e gomma da masticare…

Come ricordo della loro occupazione, però, prima di andarsene dalla città essi fecero saltare il Forte di Avesa e tutti i ponti sull’Adige.

 

Il Forte di Avesa.

 

Era un forte sopra il paese ed era imbottito di tritolo, immagazzinato anche nelle cave a grotta lì vicine. In quelle condizioni la sua esplosione avrebbe praticamente distrutto o danneggiato enormemente anche Verona.

Il parroco del paese supplicò il comandante del forte di dargli il tempo di svuotarlo il più possibile: poi, bastava bagnare il tritolo per inattivarlo.

Avuto il consenso, al suono delle campane radunò tutti parrocchiani donne e bambini compresi. Tutti lavorarono un giorno e una notte intera fino allo sfinimento.

Il materiale che restò dentro fu fatto esplodere nella notte in cui, dopo aver saccheggiato i Casermaggi militari, i tedeschi abbandonarono la nostra città.

L’esplosione fu egualmente tanto violenta che mentre dormivo nella nostra casa a San Bernardino mi venne scaraventata addosso una persiana della finestra che mancò poco mi ammazzasse.”

 

Racconta:

 

I ponti della città.

Si dice che i ponti saltarono perché furono minati ma non è vero: l’operazione avrebbe richiesto troppo tempo e ci potevano essere margini di fallimento.

Invece… Liquidato dalla TODT me ne venivo in borghese con un paio di amici verso il ponte della Vittoria: i cavalli di bronzo opera dello scultore Salazzari, da tempo erano stati tolti e messi al sicuro. Ad un certo punto sentii una canna di mitra nella schiena: dietro di me c’era un tedesco che mi indicò un camion che lo seguiva ordinandomi di salirvi sopra e scaricare due bombe d’aereo che mi fece piazzare sopra gli archi del ponte…..Tutto qui. Poi mi lasciarono andare.

 

E’ strano che qualche partigiano che, la mattina seguente marciava con il fazzoletto al collo, non si sia premurato da qualche palazzo adiacente ai ponti di freddare l’unico tedesco che dava fuoco alla miccia!!!!

 

FINE DELLA GUERRA.

Spariti da Verona i tedeschi, le caserme vennero immediatamente saccheggiate.

Poi nelle città calò una grande tensione: gli americani si avvicinavano e non si conoscevano le loro intenzioni, in moltissimi si nascosero nei rifugi.

Io osservavo dai bastioni di San Bernardino a Porta Palio la città che era spettrale, vuota, il suo centro raso quasi completamente al suolo, i monconi dei ponti verso il cielo, macerie nell’Adige e in lontananza cominciavano ad arrivare lentamente, con diffidenza, quasi paura i primi carri armati dei “liberatori”.

 

Noi giovani facevamo cenno con le mani che potevano stare tranquilli, di tedeschi più nemmeno l’ombra, ma loro anche se protetti dalle corazze dei carri armati, avevano una circospezione tale che ci ha lasciti sorpresi ed hanno aspettato un bel po’ prima di entrare in città.

 

Era veramente finita ?

Si, la guerra era veramente finita. Eravamo entrati nelle ostilità da 5 anni contro potenze straripanti di armi sofisticatissime mentre noi avevamo solo i “fasti imperiali” e polenta e scopeton sulla mensa e il carrista Foroni Eddo aveva il suo fucile mod. 91 (vecchio di più di 50 anni !!!) solo tre pallottole a salve, e…tenerle da conto!!!!! Gli altri avevano i parabellum e i T 34…

Non poteva che finire così. Intanto c’era la caccia al fascista, vendette e fucilazioni sommarie, guerra fratricida. Sarebbe stato sufficiente scomparire per qualche settimana per aver salva la vita, invece più di qualcuno ha ostentato ancora una certa baldanza ed ha pagato. Ma questo è un altro discorso.

 

La guerra era finita. “

 

…… Fino ad ora.

 

Dopo la guerra Eddo lavora sei mesi per gli “Alleati”, poi riprende il suo vecchio lavoro di assicuratore.

Nel 1950 apre un negozio di calzature, borse e pelletterie in Piazza Isolo.

Per chi la vede adesso Piazza Isolo si presenta come un orribile prodotto dell’arredo urbano: un parcheggio sotterraneo, lastricato esterno in pietra, traffico convulso, vivibilità circa zero.

 

Negli anni 50 invece era capolinea dei pulmann di linea che provenivano da tutta la provincia e quindi un incontrarsi continuo di gente che finito il lavoro tornava a casa o che frequentava un mercato che aveva poco da invidiare a Piazza delle Erbe.

Era un luogo dove chi ama veramente Verona ci stava bene vivendo a contatto quotidiano con la nostra gente che cominciava a guarire dalle ferite della guerra: era il cuore pulsante di Veronetta.

Poi verso la fine degli anni ottanta è cominciato il degrado che è sfociato nel rogo che ha distrutto il vecchio edificio polifunzionale.

Il negozio lo impegnava molto per cui ha abbandonato l’attività agonistica fino al 1973.

 

Nel 1974 fonda l’Unione marciatori Veronesi, essa riunisce tutti gli atleti che si dedicano alle marce non competitive, quelle che vediamo svolgersi ogni domenica nella nostra provincia. Eddo ha introdotto una iniziativa simpatica per queste “camminate”: la “gara chilometrica”. Ogni concorrente ha un tagliando che indica i chilometri da lui percorsi e che, gara dopo gara, incolla su una tessera per cui alla fine dell’anno può dire: “Quest’anno ho fatto 200, 300…. Km.”. E’ una soddisfazione personale, un invito a superarsi l’anno successivo.

In novembre c’è la premiazione dei “migliori".

 

Quest’anno si festeggia il trentesimo anno della fondazione dell’ Unione ed Eddo, che ha accettato per molti anni di esserne solo il Segretario, è stato invitato alla cerimonia che sarà particolarmente “brillante” e verrà premiato quale promotore.

 

I “Marciatori Veronesi” non gli bastano per cui nel 1977 fonda a Verona il primo “Movimento master”. Questa iniziativa mira invece a unire, con uno scopo agonistico, tutti coloro ( donne dai 35 anni in poi, uomini dai 40) che vogliono ancora gareggiare e misurarsi con i coetanei. Le gare vengono fatte per categorie di 5 anni in 5 anni ed hanno valore locale, regionale, nazionale , europeo e mondiale.

 

Dice Eddo: “Gli atleti “puliti” invecchiano però la voglia di misurarsi con gli altri è sempre fortissima.. Il “Movimento” dà una risposta alle loro esigenze ed essendo tutti noi persone arrivate nella loro professione, non abbiamo bisogno di sponsor, corriamo per passione!!! “.

Eddo è anche giudice sportivo. Ha frequentato un corso molto severo e, la domenica, lo si può trovare dove si svolge una manifestazione atletica intento a svolgere i suoi compiti. Fa anche parte della Commissione Atletica del Centro Sportivo Italiano e come tale organizza già da una ventina d'anni la "Verona-Bosco", il Trittico di Podismo sul Corso Porta Nuova in tre serate e la Cronoscalata delle Torricelle oltre ad una miriade di gare su pista, campestri e su strada per tutte le età.

Non mancò nemmeno di fare esperienze nell'esoterico in quanto sia la madre che una sorella hanno facoltà sensitive e per anni le seguì con passione mettendo in evidenza in un paio di libri i risultati conseguiti assai interessanti.

Ma…ad un certo momento della sua vita, lui che ha “corso senza mai tirarsi indietro” anche se ogni tanto si fermava a riflettere sulla sua interiorità spirituale, si sente tirare “per i capelli” da una Forza a cui non può opporsi e che lo obbliga a cambiare completamente vita.

E’ un percorso che affronta da solo e lo porta alla fine alla Chiesa dei frati conventuali del Tempio Votivo.

Eddo è profondamente credente e, come ho scritto, da anni è l’autore del Presepio del Tempio Votivo che viene visitato da migliaia di persone.

 

Presepi

 

  

Particolari del presepio 1999

 

 

Particolari del presepio 2000 e 2003

 

 

Particolari del presepio 2004

 

 

La sua arte.

Nel campo artistico ha cominciato a dipingere fin da ragazzo e la passione non lo ha più abbandonato.

Ha partecipato a diverse mostre vincendo anche dei premi. Delle sue opere è sempre stato generoso per cui in casa non ne ha quasi nessuna.

 

Il suo stile è veristico ed ama i colori decisi. “So che dovrei cambiare la mia tavolozza, passare a tinte più dolci e sfumate, ma non me la sento non rispondono al mio intimo”.

 

Negli ultimi dieci anni si è dato alla scultura eseguendo opere in gesso con degli accorgimenti che ha elaborato per conto suo.

 

Icone su gesso

 

Mia Madre

 

 

Cristo sofferente

 

 

Natività

 

 

Croce penitenziale. Verona Tempio Votivo.

 

 

Sculture su gesso

 

Portali di San Zeno. Verona

 

 

Le stagioni (dal pròtiro di San Zeno)

 

 

Olio spatolato e gesso

 

Ore tre del venerdì Santo

 

Gesso dorato

 

Concerto di angeli

 

 

Le statue del Presepio del Tempio Votivo sono opera sua e così la sceneggiatura, ha eseguito anche quelle del Presepio di San Martino.

Da cinque ani frequenta L’U.T.E. in cui attualmente è nel direttivo. Qui si è scoperto anche poeta.

 

“Ho cominciato per scherzo creando bozzetti in dialetto per le varie occasioni liete, poi ho continuato per passione: ne ho scritte centinaia, di preferenza in italiano ed in rima, ma ce ne sono molte in dialetto che spesso sono degli apologhi. In genere le chiamo “ragli d’asino”.”

 

Poesie

 

Gocce di sudore

 

Gocce di sudore

su madide fronti.

Son perle, son vesti

cucite con stracci

di sofferenza…

 

Un vagito sommesso

attenua il dolore

impresso sul viso

imperlato

del color dell’arcobaleno

 

da eterne albe rosate

e infuocati tramonti

segnati dal travaglio.

E’ la parabola dell’uomo

che si perpetua nel tempo…

 

 

La mia anima

 

All’alba dei tempi, rotolava,

proiettata nello spazio eterno,

come turbine nel nulla del vuoto.

   I soli riflettevano i loro raggi vermigli

Nella pura entità dell’ANIMA MIA

E i pallidi chiarori delle lune

Eternamente impallidivano

all’immateriale sua purezza cristallina…..

 

   Nell’oscuro caos del cosmo, essa,

nelle notti eterne vagava, tingendosi

di tutte le aurore di astri

dall’orgoglioso fulgore….

    Il tempo non aveva tempo,

la misura era  quella dell’eternità

ove tutto sembra immoto

ma è vita universale.

 

    Finché nell’infinito creato

Una burrasca paurosa preparava

I suoi sinistri lampi…

   E cominciò la caduta  !!

  L’anima, sgomenta, precipitò…

   Era proscritta all’eterno vagare

Negli spazi ove nubi buie

Di soli e stelle lasciavano campo

Ad albe bionde e vermiglie…

 

   L’Anima, creatura del soffio Divino

S’incarnò in un embrione

Foriero d’inizio di vita.

   Era in una prigione, anche

Se il primo vagito non asciugò

La lacrima che l’Anima pianse…

  La costrizione le fece comprendere

La caducità dell’essere incoerente e misero.

 

   Pianse l’Anima, pianse

Ma accettò l’amara oppressione.

  Era fulgida, radiante, pura,

creata dal Divino per cantare

la Sua Gloria creatrice.

  Ora l’uomo nella sua inconsulta superbia

E nel suo egoismo l’avrebbe resa orfana

Della sua fronte luminosa, del suo slancio,

del suo splendore, i cui raggi incendiavano,

scintillanti, il sorriso divino.

  

Sarebbe diventata preda delle amare ambizioni.

Preda dell’essere mostruoso, Signore del male…

    E, pianse l’Anima, impotente

Al destino cosciente della sua creatura,

della quale era il fulcro vivificante.

   E si chiedeva: quanto durerà

Quest’essere inghiottita dall’umana entità.?

Quanta l’orrenda prigionia ?

   L’esilio precluderà a chiari lampi

Nei cieli eterni, o non a oceani di zolfo

E fiamme, ove lacrime amare rimpiangeranno

I primieri effluvi negli spazi celesti ?

 

   Dio, l’Anima mia è parte di Te,

fiaccola Divina che nelle doglie del nascere

viene incatenata ad un orrendo viluppo…

   Liberala, quando la tomba del corpo

È culla dell’eternità per un impulso

Formidabile e sublime, verso di Te che sei Lei.

 

 

Veci me zughi

 

Cari i me veci zughi dei tempi andà,

che m’à insegnà de contentarse

de quel poco che ognuno al g’à,

e che de quasi tuto se pol privarse

e poder li stesso…. passarse via,…

che i schei no’ i fa la contentessa,

ma che l’è el star insieme, la via,

par volerse ben, dandose, magari, ‘na ..caressa…

 

Veci me zughi poareti, del s’cianco,

del moscolo e dele picie dai sento colori,

o dela giostra a cadene, li, in fianco

ala gran Ciesa, in patronato, indoe anca lori,

i fioi dei siori, i zugava,

insieme al poro can a piè descalsi,

con le ganassete sudade che se arrossava..

ala stesa maniera, e sensa pudori falsi !!

 

Se zugava con gnente, col cerchion

de ‘na vecia bicicleta, o con un taconà,

e, poco sgonfo balon,

na corda che se ingropava, soto un porton,

o in strada, indoe le butelete le saltava.

O tra i sfrisi de gesso dela pèta.

Bela gioventù che con poco la zugava

nel tempo che l’alegria l’era…s’cièta !

 

El me mondo l’era ale Case Nove

indoe buteleti ghe n’era tanti,

e el nostro moto l’era “se l’è bèlo o se piove”

sempre a zugar a còto o a bòna, tuti quanti !

Quanti ani è passà, e ricordar

amissi che con mi à tanto zugado

sarà nela me malinconia ritornar

a caressar face care che con mi, zugando à…sudado…

 

Verona a Bonora

 

Me piase caminar de matina bonora

par le strade de la me Verona,

quando more in ciel l’ultima stela,

e, là in fondo, el primo ragio se…incorona..

 

Camino sensa andar in nissun posto

guardandome intorno soltanto,

gustando quel che vedo passo dopo passo,

sbirciando sensa gnente perdar de l’incanto !!

 

L’è un caminar a pian pianin

sercando de robar a l’Adese el rumor…

che ne le recie l’è par mi, caressa….

ai me ricordi, rimpianti, sospiri,… de allor……

 

Chieta l’è la cità, la se destira

dal primo svejarse dopo el sono,

i vicoleti i par strade larghe

e le piasse, deserti sensa frastono.

 

I’è monumenti le Toresele

ancora dala ultima nebiolina basade.

el Castel, de fèro el par, là in alto,

coi so cipressi e le vissine casete, piturade…

 

Vecia Verona, bela, de prima matina

le to belesse le sbròca fora,

le to Ciese, le to antichità, l’Adese,

gnente a sta ora te scolora…

 

Belo l’è caminar, chieti, sensa confusion,

guardando, torno a dir, le to belesse,

muciarle insieme a tante malinconie,

de tanti ani passadi, de gioie e de tristesse.

 

Vegnarò anca diman matina cara Verona

ancora de bonora a farte compagnia,

quando và in lèto l’ultima stela,

parchè voi che te sii solo e tuta mia..!!

 

 

Polenta e scopeton

Voi contarve, cari butei, ‘na storia

che m’à contà Toni pisseto,

quando ghera tanta fame e poca…gloria

par l’ impero, e qualche olta se’n’dava in lèto

 

a pansa uda, e quando l’andava ben

se magnava polenta e scopetòn

anca a la sagra o ala Festa de San Zen,

a difarensa del magnar del sior…paron !!

 

Gioanin pipeta l’era un laorante

de la contessa Maria Onta

che l’avarìa volùo almanco par un… istante

magnar cicia.. ma el restaa sempre in …ponta !!

 

A Nadal, el g’à dito ala contessa :

vorìa cambiar ‘na olta da polenta e scopetòn”,….

ma ela l’era longa de gambe e curta de…cavessa…

e da la rècia no la ghe sente a sta…cansòn..

 

Ala dimanda de ‘na polastrèla,

( quela sòpa dala gamba sanca…)

me dispiase, ma ghe l’ò promesa a me sorella,

la ghe dise,  e me piansaria el cor se la ghe manca !

 

El Gioanin pipeta, ch’el gavèa mojer e fioi,

ste parole el l’à ciapade mal

e el pensaa de dover magnar bigoli e fasòi

anca se l’era festa granda…..Nadal !!

 

Ma, guarda caso, proprio quela nòte

i ladri i’à robà nel corgo e nel polinar

lassando poche polastre e porte rote,

e, scrivendo sul muro prima de serar el saco e andar…:

 

ingrasseve ben, care galinele

che de voialtre stàn che ven

magnaremo testa, col, galoni,  cul e pèle..

e la contessa a mastegar…velen “…

 

L’è stà così che Gioanin pipeta

con la fameja, dona e buteleti,

l’à poduo cambiar, da scopetòn, a ‘na fèta

de polenta brustolà, galoni e peti de galeti…

 

El Signor, che intanto el nassèa,

de sicuro, de tuto cor,e divertio el ridea

de quel che giustamente ghè capità ala contessa,

longa de gamba ma curta de cavessa..!!

 

 La vanità

 

C’ elo quel’ omo che al specio

nol se guarda con qualche vanità ?

Anca n’otantene nol se vede vecio,

ma ancora un dongiovanni da….carità…

 

El g’à rughe sul col,

ociaie che casca fin sule ganasse,

recie longhe come un ninsol,

e, se no, pelà, cavei oramai ale….asse…

 

El se vede come ai vint’ani

quando l’era un bel butel,

ma purtropo è passà i ani…

e, caro mio, no te sì più quel !!

 

L’è ‘na bruta malatia,

torno a dir, quela dela vanità,

che la te fa vedar la… spia..

de quel che te eri, e che oramai è passà.

 

El specio l’è tuto n’ingano

par quel che no aceta, come invesse l’è

no stà a guardarte massa, l’è n’afano

no acetar quel ch’el riflette, e come l’è.!

 

Bela fortuna l’è, essar diventà vecio,

ringrasiando el Signor che t’à mantegnù

san de…salute, e fà che el specio

nol te ricorda el tempo che no gh’è più..!!

 

 

Pensieri

 

Cammino, cammino lentamente,

braccia dietro la schiena con mani a presa,

un po’ incurvato, con passo che risente

che non è più giovanil l’andare, ma l’attesa

di fra poco dover rallentar la passeggiata,

per l’età, che se pur non ancor tarda,

quasi al capolinea è approdata,

e che, ad ogni uom tosto…riguarda !!

 

Sento il frusciar del ghiaino al passo,

e, ad ogni fruscio il ricordo accompagno

di tanti anni indietro che pesan come un…masso,

e di più recenti, dei quali pur mi lagno

non esser impressi nella mente

come quei di un tempo da lungo andati,

che son più vividi di color del più recente

ricordo, che a l’intelletto son marcati !

 

Rivedo nel mio camminar solingo,

e volti, e cose, da me desiate,

rimembranze care che ancor tingo

di bei color negli occhi, come d’ allor impregnate.

I cari fanciulli rivedo dei tempi di scuola

dei giovanili giochi, delle gaie scampagnate,

volti che se pur visti una volta sola

m’hanno fatto gioir in primaveril giornate.

 

Tristi o lieti sono armai alla mia età

tanti, troppi ricordi in così lunga vita,

di guerre, di paure, di privazioni, di povertà

che a rimembrar nella mia esistenza avita

m’incuton quasi, quasi, timor !!

perché, forse di un romanzo di un certo spessore

sarebbe lo scriver di fatti d’adesso e d’allor,

di quel c’ho vissuto in tutte le mie ore…

 

Dove siete o visi a me tanto cari ?

Avevate la mia stessa età e vi siete persi

nell’arcuata parabola della vita, ignari

forse ch’io non v’ò ancor scordati, e, in versi

vorrei ricordar del tempo la giovin nostra età,

or,  se ancor non siete dipartiti,

di certo sarà ben diversa la vostra realtà,

vecchi, avvizziti, cadenti, incanutiti…

 

mentr’io vi rivedo ancor giovin e belli

nella mia mente, e ancor così vi accarezzo

ben sapendo che or non siete più quelli

che un tempo avevate l’età del vezzo…

Vedo ancor qualche volta nel luogo pio

dove tutti andrem, una sepolta mia compagna

che un giorno bella era, quasi come un Dio,

ora, là seppur morta da poco, l’effige che l’accompagna

 

non è di adesso, grinzosa, incanutita e dimessa,

ma di allor, bella e attraente,

che fu femminile quindi la vanità d’essa,

anche quando la vecchiaia alla gioventù non mente !

Il ghiaino fruscia ancor sotto i miei calzari

e talor conto i passi che ancor da contar rimangon,

ed i miei pensier son sempre più amari,

mentre a rimembrar i miei occhi tristi, piangon..

 

Anche in questo caso Eddo si è espresso con la sua modestia che mi fa dire che l’uomo è sempre stato teso a minimizzare le sue azioni e le sue opere che invece ci rendono orgogliosi di averlo per amico e concittadino.

 

Intervista ottobre 2003, a cura di Anna Solati