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Franchin Enzo. Naturalista.

a cura di Anna Solati

 

Parlare con Enzo Franchin è un’esperienza particolarmente gradevole perché la sua conversazione  brillante e arguta è sempre ben documentata e puntuale. Viene logico quindi, immaginarlo perfettamente a suo agio nel lavoro, ingrato per molti, che ha svolto per buona parte della vita: il propagandista scientifico di un’importante ditta farmaceutica italiana. Questo è però solo l’aspetto superficiale dell’uomo in quanto, come lui precisa, “Ho avuto e ho molti interessi di tipo diverso: ho collezionato francobolli, minerali, stampe di artisti italiani del ‘900, ho fatto il giudice conciliatore, mi sono impegnato in politica… 

 

Per spiegare tutto ciò ci racconta qualcosa della sua vita.

 

“Sono nato il 26 luglio del 1936 ad Agugliaro, un paesetto della bassa vicentina, anzi non è esatto perché mia madre, che aveva contratto il tifo durante la gravidanza, ma aveva voluto portarla a termine a tutti i costi, era andata in montagna per cercare di guarire. Quindi, in realtà, è lì che sono venuto al mondo. Noi figli eravamo quattro: la primogenita era mia sorella, io ero terzogenito.

Mio padre era stato nominato Podestà in quanto faceva parte dei notabili agricoli del paese, ma del fascismo non si interessava affatto, non ne aveva capito niente, gli importava che Agugliaro andasse avanti bene e che tutti stessero il meglio possibile. Era proprietario, assieme al fratello, di un centinaio di campi che amministrava dalla casa padronale del 1450: una classica corte veneta. C’erano una torre colombara, sotto la quale abitavano i bovari salariati, le stalle con 50-60 bestie, delle casette basse dove abitavano gli “obbligati”: lavoratori con contratto annuale che si occupavano dei campi.

 

 

Casa padronale   del 1450                          torre colombara

  Foto E. Franchin

 

 

Era burbero, ma buono: durante la guerra, dato che, come proprietari di campagne stavamo bene, non si è mai tirato indietro se si trattava di allungare, a chi ne aveva bisogno, o del pane, o qualche mezzo quintale di polenta o di legna.Vicino a noi c’era un’altra corte e si erano formate delle bande di una trentina di ragazzini dei quali ero uno dei capi. Marachelle ne ho fatte e ispirate talmente tante che, anche quando ormai ero in collegio, venivo ancora indicato come l’autore delle birbantate che succedevano. 

 

Data la mia vivacità, la scuola mi stava stretta e così, in seconda elementare, il figlio del Podestà fu rimandato a settembre in italiano e poi bocciato: “Perché è bene che si rinforzi”, stessa storia anche in quarta. Però, in questo caso, colpa non ne avevo tanta, dato che di lezioni ne facemmo molto poche perché la scuola era stata requisita dai tedeschi e noi eravamo ospitati in una chiesetta del ‘600 piuttosto malmessa. Ricordo che in quell’inverno ci fu un freddo polare e “l’aula” non aveva il riscaldamento. Noi ci portavamo da casa un barattolo con dentro la carbonella che accendevamo e così si poteva sopravvivere. Un giorno un furbo, non io per una volta, mise nel suo recipiente un proiettile che aveva trovato, in giro ce n’erano tanti … fortunatamente non si fece quasi niente.

A proposito di questa chiesa, molti anni dopo il sindaco in carica la voleva demolire, e io pur facendo parte della maggioranza, assieme ad altri mi opposi con la massima energia. Adesso recintata e restaurata è l’edificio più significativo del paese.

Dopo il 25 aprile cominciarono le vendette dei partigiani, e potrei raccontare di loro scorrettezze che terminarono con un processo al tribunale di Lonigo, oppure delle violenze fatte alle donne accusate di collaborazionismo con il nemico. Molte erano “innocenti” come colei che era stata maestra di intere generazioni del luogo. Dirò solo quello che capitò al Podestà mio padre: era stata  decisa una spedizione per picchiare a sangue tutti i fascisti della zona, come effettivamente avvenne, ma il comandante del gruppo si impose con forza su tutti ordinando che Tarcisio Franchin non si doveva toccare.

Si ricordava perfettamente il comportamento generoso e onesto dell’uomo, esente da qualsiasi fanatismo.

 

In quinta elementare, per mettermi in riga con la scuola, visto che probabilmente anche con lui aveva funzionato, mio padre mi mandò a proseguire gli studi al Collegio Manfredini di Este. Era il secondo Istituto scolastico fondato da Don Bosco ed aveva sede nella Villa Ca’ Pesaro. Malgrado l’edificio prestigioso, anzi proprio per questo, le comodità erano scarse. Stimolato dall’ambiente competitivo, a parte qualche difficoltà in latino in quarta ginnasio, mi feci onore negli studi ottenendo nei quattro anni successivi o il primo o il secondo posto per il profitto.

Purtroppo il carattere era quello che era e non rinunciavo ad essere vivace e a far burle. Così in quarta ginnasio fui avvertito che o filavo dritto, o mi avrebbero invitato a cambiar scuola. Forse avrò letto Gian Burrasca o non so che, certo è che organizzai tre classi che manifestarono nel cortile della scuola al grido: “Non vogliamo più minestrone con le mele!”

 

Fui rimandato in latino, promosso a settembre, ma l’anno successivo mi iscrissi all’Istituto Giovan Battista Ferrari di Este che era appena stato istituito. La licenza liceale la sostenemmo al Liceo Tito Livio di Padova.

Intanto, come tanti ragazzi di quell’età, avevo incominciato a collezionare alcuni pezzi di minerali e di fossili.

La scelta della facoltà universitaria fu fatta sull’onda di un avvenimento che aveva entusiasmato tutti noi giovani studenti: la scoperta, nel 1953/54, da parte dell’Eni di Enrico Mattei, del giacimento di petrolio a Cortemaggiore nel ferrarese.

 

Nel 1957, l’anno in cui mi iscrissi a Padova a Scienze Geologiche, eravamo 158 matricole.

Lo scopo della facoltà consisteva nel prepararci su tutto ciò che c’era da sapere dei primi 15 chilometri della crosta terrestre: non solo rocce, minerali, fossili, ma terremoti, vulcani … Ora essa ha cambiato nome, si chiama: Scienze della terra, ma forse è cambiata soltanto la serietà della preparazione, e non in meglio.

Gli studi mi appassionarono. Molti esami prevedevano delle severe prove pratiche di riconoscimento. Avevamo a disposizione dei laboratori per studiare l’aspetto dei vari campioni: fossili, minerali, rocce…, ma quelli che ci erano mostrati al momento opportuno erano scelti con “malignità” per trarci in inganno.

 

Fu allora che scoprii che, di solito, chi sceglie per inclinazione una facoltà scientifica, ha una capacità di osservazione anche dei minimi dettagli che altri non hanno. E’ questa dote che permette di cogliere i particolari delle cose e riconoscere, ad esempio, un minerale quasi a colpo sicuro. Ben più difficile è invece il riconoscimento e la classificazione dei fossili data la vastità del numero delle creature in natura e la loro variabilità.

 

Quando ci laureammo nel ‘61-’62, l’occasione di lavorare nel campo che avevamo scelto purtroppo era svanita: tutti i posti erano già occupati da quelli che avevano finito prima di noi. Ci restavano poche opportunità: insegnare, fare il propagandista scientifico o andare all’estero. Avevo quasi deciso di andare in Canada, fatti i colloqui, preparate le carte, quando venni a sapere che la mia destinazione sarebbe stata la terra di Baffin, vicino al circolo polare artico: 9 mesi di inverno buio e glaciale, rinunciai… Sarei partito per il militare e poi avrei visto.

 

Chiamato alle armi negli artiglieri di montagna, partii nel luglio del ’63 per il corso per allievi ufficiali da fare alla scuola unica di Lecce. Il viaggio in tradotta si svolse in condizioni piuttosto disastrose. In quella città del profondo sud restai fino al settembre dello stesso anno. Poi, per fortuna, fui inviato alla Scuola di specializzazione di artiglieria a Foligno dove rimasi fino a metà dicembre. Corso difficile, con esami settimanali che non era il caso di fallire per non giocarsi la “carriera”. Io, che di fronte agli ostacoli offro il meglio di me, mi ci trovai molto bene e, alla fine del corso, mi qualificai nei primi 10. Dopo 20 giorni passati finalmente a casa in attesa di nomina, mi spedirono a Belluno, al VI reggimento di artiglieria da montagna, assieme a quattro amici. Avrei voluto andare di stanza a Bassano ma la mattina in cui venivano stabilite le destinazioni, arrivai in ritardo e dovetti accettare quello che c’era.

Quindi sotto l’esercito sono stato molto poco in montagna perché mi destinarono al reparto comando del reggimento dove mi diedero l’incarico di dirigere tutti i corsi di specializzazione: topografia, tiro, tiro con aerologia, trasmissioni, autocentro e regolamento. Quindi io, da militare, ho fatto scuola.

Erano gli anni degli attentati in Alto Adige, c’era molto fermento, tanto che, poco prima che andassi in congedo, il 6 settembre, fu ucciso Alois Amplaz, un estremista alto-atesino.

A causa della situazione tesa feci tre distaccamenti in Ordine Pubblico. Il primo a Santo Stefano di Cadore, 15 giorni. Il secondo, di un mese, alla polveriera di Cima Banti che è sita tra Cortina d’Ampezzo e Dobbiaco, in un posto tra i boschi che se non sai che c’è, non lo vedi.  L’ultimo a Bressanone, tra Agosto e il 22 settembre, quando mi congedarono.

 

Arrivato a casa, si ripropose il problema di cosa fare, e io che prima di laurearmi avevo già avuto un incarico annuale, ripresi ad insegnare e lo feci fino al ’66. Era un lavoro che mi piaceva, lo facevo con passione, ottenevo molte soddisfazioni dalla preparazione dei miei alunni ma… Mi stava stretto che la scuola fosse fatta quasi esclusivamente da donne: non è che sia misogino, anzi, ma spesso mi trovavo davanti a reazioni poco razionali da parte delle colleghe e questo mi metteva a disagio. Inoltre si cominciava a sentire odore di “contestazione” e anche questo non mi andava bene perché sentivo che stava andando a rotoli quello che era il mio concetto di uno studio serio e impegnato.

 

Da ultimo, e non era poco, lo stipendio era piuttosto misero: me ne andai che prendevo 78.000 lire al mese e fui assunto da una ditta farmaceutica con 180.000, più del doppio. Negli anni successivi, l’incremento fu ancora più notevole. Così continuai a fare il propagandista scientifico, rifiutandomi però di diventare capo zona. Mi avrebbe gratificato finanziariamente, ma  impedito di stare con la mia famiglia e di fare quello che mi piaceva di più: impegnarmi nel territorio dove ero venuto ad abitare ( San Martino Buon Albergo) e occuparmi seriamente dei miei hobby: raccolta di minerali e di fossili, collezione di francobolli e di stampe di autori moderni.

 

Cominciai a interessarmi di politica in terza Liceo. Fino ad allora ero il ragazzo che faceva gli scherzi più divertenti e le solite mattate dell’età: a volte per ridere andavo a scuola con il fez di mio padre … naturalmente quelle non erano le mie idee. Poi mi scattò dentro qualcosa. Forse dipese dal fatto che, a quei tempi, quando veniva dalle nostre parti a far comizi, ospitavamo in casa nostra l‘allora importante leader della DC vicentina onorevole Mariano Rumor, che mi aveva preso in simpatia e non si tirava indietro dal discutere con me e farmi capire tante cose. Mi chiese di farmi vivo a Roma da lui, una volta laureato.

 

Non andai, conscio che avrei finito per diventare un portaborse che non era mestiere per me che sono nato con uno spirito libero e indipendente.

Nel ’64 ci furono le elezioni  comunali nel mio paese,  non avevo avuto né il tempo né la voglia di fare campagna elettorale eppure ebbi il più alto numero di preferenze. La stima dei miei compaesani mi fece molto piacere e mi invogliò a continuare ad occuparmi della “cosa pubblica”. Rifiutai però di fare il sindaco perché sentivo che la mia vita non si sarebbe svolta ad Agugliaro, lasciai l’onore ad un altro e mi accontentai di essere il suo vice. In seguito lasciai l’insegnamento, cominciai a girare per le province del Veneto, mi sposai e venni a stare prima a Verona e poi a San Martino.

Nel ’69 vennero dal paese ad offrirmi di nuovo di mettermi in lista per diventare sindaco. Mi opposi con decisione: non avrei svolto bene  il lavoro  abitando a 60 chilometri di distanza, c’era bisogno della presenza continua del primo cittadino, quando avrei indetto i consigli comunali o le riunioni di giunta? Il sabato? La domenica? E poi è difficile lavorare  in un comune piccolo, dove non puoi neanche fare una partita all’osteria che ti assalgono con  problemi personali.

Ma la passione da “animale politico” ormai  ce l’avevo dentro e così cominciai a frequentare personaggi del tipo di Carlo Fracanzani, che era stato mio compagno al Manfredini, Gianni Fontana, e altri, che erano tutti politici DC non legati alla corrente maggioritaria, quella Dorotea  che a Verona aveva tra i suoi esponenti di spicco Ennio Molon, sindaco di San Martino dal ’55 a ’65  e dal ‘70 al ’75.

A San Martino, eravamo ormai nel ’75, assieme ad altri amici, cominciammo a lavorare per creare una lista civica: il compito che ci si proponeva era di muoversi solo nell’interesse del paese, senza pregiudizi di sorta. In quelle elezioni, con rammarico dei maggiorenti del partito, un paio dei nostri entrò in consiglio comunale. Riuscimmo anche ad essere piuttosto determinanti per la scelta del nuovo sindaco (Antonio Madinelli) che allora veniva eletto con criteri diversi dagli odierni. Nelle elezioni del ’80  dei 16 consiglieri della maggioranza ne ottenemmo ben 6 e questo ci permise di essere ancora più incisivi per il bene del paese.

Ho fatto anche il Giudice conciliatore, una carica affine a quella del Giudice di pace. Fu un lavoro che mi piacque molto anche perché accontentava la parte di me che era stata sempre attirata dall’ambiente legale. Quell’anno in villeggiatura mi portai il codice civile e me lo studiai per bene.

 

Svolgevo il mio compito cercando di far venire le parti ad un accordo, non era difficile: bastava far presente i tempi lunghi della giustizia, le spese di avvocato da affrontare e spesso, dato che il materiale del contendere non poteva essere più di un milione di lire, più tardi diventati cinque, con un po’ di buon senso i contendenti si rappacificavano. Tenevo udienza al sabato mattina, non avevo una sede vera e propria. Il fatto che appartenessi alla Lista Civica non era ben visto dal Sindaco di allora che non faceva niente per favorire il mio lavoro. Solo per i decreti ingiuntivi e le sentenze mi veniva prestata un’impiegata del comune.

Considerato che non ricevevo stipendio e che per i sopraluoghi mi muovevo con i miei mezzi da questo impegno ho ricavato, a parte la soddisfazione morale, solo delle spese in più.

Un po’ alla volta, però finii per staccarmi dal gruppo dalla lista civica perché le discussioni, a volte interminabili, cominciarono a spostarsi dal pratico al politico e di un colore che non mi andava giù.

 

L’ultima avventura che si è conclusa da poco, e mi ha lasciato l’amaro in bocca, per ragioni che non hanno niente a che vedere con la multa che mi è stata inflitta, si è svolta sempre nel campo del sociale.

San Martino rientra nell’ambito di azione del Consorzio dello Zerpano: ente che ha come fine la pulizia, la manutenzione di canali, fossi, fiumi del nostro territorio.

Nei paesi qui intorno sono nati da tempo vari comitati antiZerpano perché il tributo viene ritenuto non dovuto. Il nostro era in contatto specialmente con quello di Montorio.

Mi sono trovato protagonista di una causa che doveva essere “pilota”. Purtroppo, per una serie di motivi, la sentenza finale è stato contro di me, e nei riguardi del comitato ci sono state molte incomprensioni rispetto agli accordi fatti e agli impegni presi.

 

Ma ... Parliamo d’altro perché mi arrabbio come se fosse appena successo!

 

La collezione dei francobolli l’ho cominciata nel ‘70. E’ evidente che il campo della raccolta è troppo vasto e quindi una delle scelte da fare è specializzarsi in qualche tematica. Visto che il mondo della fantasia mi aveva sempre affascinato scelsi queste cinque tematiche: le favole, le fiabe, le leggende, la letteratura per i ragazzi, le pitture e i graffiti rupestri: che sono le fiabe dell’uomo primitivo. Catalogo alla mano partivo in caccia di un determinato pezzo in una delle fiere numismatiche che si svolgono durante l’anno: a Verona tuttora se ne tengono due.  Con pazienza e determinazione sono riuscito ad avere le collezioni complete fino all’82. Ogni tanto torno a riguardare i miei album e penso che potrebbe tornarmi la voglia di proseguire.

 

Un altro mio interesse, che è nato all’epoca del liceo, è per l’arte in tutti i suoi aspetti. Ricordo una mite e preparata insegnante che cercava di interessarci alla pittura e direi che, malgrado non sempre ci fosse la disciplina,  alla fine c’è riuscita bene. 

Anche in questo campo ho scelto una tematica: le avanguardie del ‘900 in campo grafico, perché i prezzi di oli, acrilici o acquarelli che mi piacerebbero non sono mai stati molto abbordabili. Ho iniziato ad acquistare qualche pezzo non appena mi sono ritrovato qualche soldo in tasca negli anni ’60, quando ho cominciato ad insegnare. Ognuno di essi si porta dietro il ricordo di un momento particolare che non è legato a quanto ho pagato, ma proprio alla ricerca che me l’ha fatto trovare davanti.

  

La mia passione più forte, è stata quella di collezionare minerali e fossili, che avevo cominciato da ragazzino, ma chi è che non l’ha fatto? Però quello che intendo io è un’altra cosa.

Chi ha la passione per questa raccolta tende a farsi una cultura specifica, ovviamente su una base strettamente scientifica, come dovrebbe essere per ogni hobby, e in lui  scatta la molla della tassonomia. 

Ogni minerale ha delle caratteristiche che sono solo sue, ad esempio il reticolo cristallino che ci mostra la configurazione spaziale degli atomi che hanno quella formula chimica e ne costituisce il mattone base, la durezza, la lucentezza, il colore (ma non sempre), il luogo in cui viene trovato ed eventuali altri minerali che lo accompagnano.

I fossili, invece, presentano variabili più numerose, per questo, il collezionista di fronte ad un pezzo che lo incuriosisce cede di schianto e lo acquista. Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un campione a forma di fagiolo che era l’ala che copriva un metamero del carapace di un gambero di una specie che poteva arrivare a  60/70 centimetri ed apparteneva all’era Paleozoica. Un Gambero nel Paleozoico? Anche se ormai vado dicendo che sono stanco della collezione, che l’interesse non c’è più, non ho resistito e ho acquistato il pezzo. 

 

Appena a casa non ho avuto pace fino a quando non l’ho classificato: era un Tuzoia. Ci ho anche scritto sopra una memoria pronta per essere letta ad una conferenza:

 

Tuzoia breve storia di un gambero antico.

 

 

Si chiama Tuzoia, forse retifera, e a prima vista sembra piuttosto insignificante: una placca color marroncino a forma di emifagiolo con qualche spina a margine, adagiata su una lastrina scistosa arenacea a grana fine; ma da un’analisi più attenta e approfondita, risulta un resto fossile prezioso, raro e di indubbio prestigio. In esso mi imbatto alla XXXI Mostra dei Minerali e Fossili di Verona 2002, esposto sul tavolo del dr. Piero Garonetti, uno dei pochi espositori che sa apprezzare, scegliere, classificare la merce offerta, specialmente della fauna invertebrata paleozoica del Nord America.

Immediato l’acquisto e così pure il desiderio del suo collocamento temporale, ambientale, tassonomico.

 

Tempo

Tuzoia vive nel Cambriano medio, circa 550-530 milioni di anni or sono. E’ una cifra buttata lì, spesso senza farvi mente locale. Ma proviamo a paragonare le unità di misura con le quali siamo abituati a calcolare il tempo: il secondo, il minuto, l’ora, il giorno, il mese, l’anno ai circa 10000 anni della storia dell’uomo sapien sapiens cioè a noi; ai circa 25-35.000 anni di preistoria dell’uomo di Cro-magnon; ai 25-400.000 anni circa dell’uomo di Neanderthal e siamo già agli ominidi australopitechi, i primi a presentare la stazione eretta, ma ancora lontani  dal milione di anni; molto lontani da 10-100-200 milioni di anni; lontanissimi dai 300-400-550 milioni di anni: qui la nostra mente, già affaticata, vacilla e corre il serio pericolo di perdersi nella notte dei tempi.

 

Ebbene proprio in questa notte dei tempi, chiamata Cambriano, Tuzoia

Ambiente

viveva tranquillo nelle acque di un mare poco profondo o lasciandosi trasportare dalle correnti o immerso nel fango o nascosto sotto le pietre o anche in profondità che potevano raggiungere i 6.000 m. Alternava cioè abitudini di vita pelagiche a bentoniche, a somiglianza verosimilmente a quella delle specie attuali. La striscia di mare in cui visse si estendeva da Nord a Sud più o meno in corrispondenza dell’attuale cordigliera delle Montagne Rocciose, compreso quindi lo stato dell’Utah dove, nella Marjum Formation  nella contea di Millard è stato trovato il campione in esame…..

 

L’autore prosegue con la paleogeografia dell’America Settentrionale durante il Cambriano, illustrata con un lucido,  con la tassonomia di Tuzoia, illustrata con un lucido e con due lucidi che mostrano la ricostruzione di Tuzoia e altri animali simili all’aspetto con:

 

I Fillocaridi

Vissuti dal Cambriano fino al Giurese e con la famiglia delle Nabaliidae fino all’attuale, sono considerati i progenitori di tutti gli Eumalacostraci fossili o attuali. Sono caratterizzati da: 4 segmenti cefalici, 8 toracici, 7 addominali di cui l’ultimo detto telson, termina con 3-4 aculei. Tutti i segmenti, meno il telson portano delle appendici: delle 5 paia del cefalo il primo paio costituisce le antenne terminanti in due rami; quelle toraciche costituiscono le zampe dalla caratteristica forma lamellare; gli occhi poggiano su dei peduncoli mobili. Uno scudo semplice e avvolgente o diviso in due placche o valve, con o senza una linea di cardine lungo il margine dorsale, ricopre e protegge il cefalo torace. Anteriormente tra le due valve, una placca impari, mobile e lanceolata costituisce il rostro. I resti fossili sono molto rari anche se localmente alquanto abbondanti e sono costituiti per lo più, da scudi e telson. Tra i generi più noti ricordo: Himenocaris o Canadaspis rinvenuto da Walcott a Burgess nella Columbia britannica nel 1912 e che ha fatto impazzire gli studiosi prima che si accorgessero che si trattava dell’apparato boccale di un Fillocaride; Ceratiocaris  che poteva raggiungere i 75 cm di lunghezza e Tuzoia naturalmente in quanto ne sono proprietario.

 

Tuzoia retifera Wallcott 1912

Oltre alle caratteristiche sopra descritte, tipiche dei Fillocaridi, presenta due valve subellittiche reticolate che presentano lungo la linea centro-laterale una sporgenza ricoperta da un reticolo a maglie più piccole e lungo tutto il margine , tranne la parte anteriore, delle spine più o meno grandi. Il telson termina on tre robusti aculei. Resti fossili di Fillocaridi sono stati trovati in Canada (Columbia Britannica, Burgess), negli Stati Uniti ( Utah ), in Boemia, in Cina: Ciò conferma, così anche da recenti studi sulle analogie di alcuni gruppi di invertebrati, che nel Cambriano doveva esistere  una Geosinclinale che partendo dall’America Occidentale, attraverso la breccia dei Monti Verdi, la Tetide, l’attuale catena dell’Himalaia, doveva giungere fino al mare della Cina.

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Questo bisogno crea la collezione scientifica ed è quello che risponde a una definizione di hobby che ho letto da qualche parte: catalogare in modo razionale cose “inutili”.

Secondo i criteri descritti sopra, nel ’64 avevo già circa 30 pezzi. Nel ’66, cominciando ad avere più denaro, i pezzi divennero 50. Nel ’69 a Verona venni a contatto con l’Associazione geologica, mineralogica veronese e, sollecitato dagli scambi di esperienze con i soci, cominciai a incrementare la mia raccolta. Inoltre visto che i minerali e i fossili che erano in sede erano piuttosto in disordine li classificai tutti dotandoli anche di un adeguato piedestallo.

Nell’ambito del lavoro scientifico sono diventato collaboratore esterno del Museo di Scienze Naturali e ho tenuto più di una relazione su richiesta di  gruppi di appassionati.

Un esperienza ricca di interesse, anche umano, è stata quella che è avvenuta in occasione dell’annuale escursione scientifica importante organizzata dall’Associazione. Con altri soci siamo andati in Brasile, nel Nord Est nel distretto di Crato, dove ci sono giacimenti ricchissimi di fossili: pesci, insetti, crostacei. Abbiamo portato con noi, per farne omaggio al direttore del locale museo, dei pezzi che da quelle parti non si trovano, e lui ha ricambiato generosamente, si sono instaurati rapporti simpatici con tutta la sua equipe. Anche il rettore dell’università dello stato ci ha ricevuto con cortesia. Siamo ripartiti con tutti i permessi ufficiali per esportare i campioni donati, però all’aeroporto di Verona c’è stata qualche difficoltà a passare. Ho classificato il materiale ed ho fatto una lunga relazione, ma attualmente tutto è un po’ trascurato.

 

L’impegno nell’Associazione mi ha portato a ricoprire incarichi di vicepresidente e di segretario.

Nel corso degli anni ho frequentato le più grosse fiere dei Minerali e dei Fossili del mondo. Per me, la migliore manifestazione in Italia è quella di Bologna. Si svolge in Marzo e vengono esposti solo minerali, fossili e pietre tagliate. E’ la prima dell’annata e vi arrivano i grossisti che nei mesi morti di dicembre, gennaio e febbraio girano il mondo per procurarsi dai cercatori i pezzi nuovi. Tutti gli appassionati accorrono perché è la prima occasione dell’anno di riuscire ad aggiudicarsi un campione di specie nuova, fatto che sappiamo essere il massimo per un collezionista.

Mi piace ricordare che quella di Verona che è organizzata ormai da XXXIV anni dall’Associazione, nel mese di maggio, è tra le più importanti. Purtroppo per coprire le grosse spese che ci sono, viene accettata anche la bigiotteria. Uno dei miei incarichi come segretario era quello di vendere i tavoli della nostra manifestazione nelle altre fiere, es. Torino:  lavoro piuttosto delicato e non sempre facile.

 

All’estero particolarmente suggestiva e ricca è la fiera di Saint Marie aux mines, cittadina francese tra Colmar e Strasburgo, ex grosso distretto minerario ricco di Zinco, Piombo, Argento e dei loro Solfuri: Blenda, Galena e Argentite. Essa risale al 1800 e si svolge nelle vie del piccolo borgo. Ci sono poi Parigi, Cracovia e Danzica.

Più fornita e la seconda nel mondo per importanza, è la mostra di Monaco di Baviera. A Monaco confluiscono anche i grandi cercatori e venditori di opali australiani. Storia appassionante quella degli opali: nelle profondità del deserto australiano ci sono grandi giacimenti. 

 

Chiunque può scavare il suo tunnel e quello che trova gli appartiene. Così si sono formate delle città sotterranee in cui si trovano anche fossili, specialmente bivalvi opalizzati. La più grossa Fiera resta sempre però quella di Tuxon.

 

Gennaio 2006 - a cura di Anna Solati.