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Gonella Anna, Pittrice.

 

Anna appartiene ad una vecchia e conosciuta famiglia del paese. Il padre Mario era l’unico meccanico di San Martino ed era concessionario della Fiat. Aveva lavorato in Africa durante la guerra e in Germania nei cantieri di Kiel.

Conosceva perfettamente il suo lavoro, anche da anziano, quando portavano in officina una macchina a Gregorio per la riparazione, ascoltando il motore poteva dire in anticipo quello che il figlio avrebbe scoperto dopo aver alzato il cofano.

 

La passione per le macchine gli valse la stellina d’oro come veterano della guida. Anche Anna ama le automobili : ”A nove anni guidavo per il paese e tutti mi guardavano a bocca aperta”. 

Il papà però amava straordinariamente anche la musica e la pittura: ha dipinto anche dei semplici quadri.

 

Anna ha sempre amato disegnare e ricorda con trasporto il primo disegno fatto all’asilo -un carrettino con un cavallino-: fu amore a prima vista.

Crescendo continuava a disegnare seguita affettuosamente dal padre che le comprava i colori ed il materiale: “La sera al tavolo di cucina continuavo a disegnare, non mi stancavo mai.

 

Purtroppo in famiglia bisognava darsi da fare, lavoro non ce n’era molto perché, a parte i camion, allora le macchine erano pochissime. Per questo, fatte le scuole elementari: andai a fare 'sotoponti'  dai fratelli Belli.”

 

Questi due fratelli, figure di spicco nella San Martino di quei tempi, erano sarti, barbieri, attori. Di loro ne scrive anche Agenore Bertagna in San Martino 80. Erano anche persone degnissime e piene di umanità che Anna ricorda con vivo affetto.

 

Poi i padroni della cereria, sapendo che disegnava bene, le chiedono di andare a decorare le candele votive.

 “Il padrone che faceva quel lavoro era ormai stanco, non potevamo rifiutare, papà doveva loro dei piaceri, così ho cambiato mestiere. Facevo anche più di mille candele al giorno per cui ho un po’ lasciato la pittura. Mi impegnavo però con passione nella vita della Parrocchia ero una animatrice mai stanca: quanto sport, quanto cantare nel coro, quante attività! Ogni anno a Natale le suore dell’asilo organizzavano due spettacoli teatrali ed io ero la scenografa, la costumista, l’attrice…..Bei tempi.”

 

La vita di Anna procede abbastanza serena e appagata, ha fatto ormai una scelta di vita: lavoro, per mantenersi, e pittura, per realizzarsi.

 

All’improvviso però tutto cambia. Scoppia la tragedia: muore giovanissima la cognata e lascia, oltre al marito, quattro bambini di cui una che ha meno di sei anni.

I nonni sono ormai anziani non possono fare molto, Anna deve lasciare il lavoro per prendersi la grossa responsabilità di tutti.

Non sarà  facile, per uno spirito libero come il suo, lottare giorno per giorno con necessità ed esigenze contingenti che non aveva mai pensato dovere affrontare, ma investe in questo impegno tutto il suo cuore e  la sua volontà.

Poi …. muoiono i nonni, i ragazzi crescono e scelgono le loro strade, altre sofferenze e lutti le straziano il cuore.

 

L’arte. La strada per diventare pittrice passa attraverso la musica.

Anna ha 13/14 anni adora suonare il pianoforte al punto che la mattina si alza alle cinque e va presso le suore di via Radisi a suonare come può. Fa conoscenza di un nostro concittadino: il dott. Romolo Nicolis.

 

Si tratta di una artista poliedrico che spicca nella cultura non solo locale ma anche nazionale. E’ musicista e pittore autodidatta: ha composto notevoli pezzi di musica classica,  ha affrescato la nostra Chiesa e prodotto innumerevoli e pregevoli quadri.

 Di una tale personalità, purtroppo, non si trovano riconoscimenti ufficiali nella storia cittadina tranne che nel solito “San Martino 80” e in due articoli del giornale parrocchiale “Qui San Martino”.

 

Il papà di Anna è capo di una associazione di suonatori di campane, il dott. Nicolis, organista di gran classe a volte si associa ai trasferimenti dei “campanari”: manifestazioni, cene etc..

In una di queste occasioni gli viene chiesto se Anna può prendere lezioni di pianoforte dalla figlia Lucia che è validissima concertista: accordo fatto. Anna comincia le sue lezioni, il dott. Romolo a volte vi presenzia, si finisce con il parlare di pittura e la ragazza svela la sua altra grande passione.

 “Mi disse: vedi questo cucchiaio, cerca di copiarlo e vediamo come ti riesce”. Un po’ alla volta le lezioni di pianoforte si trasformarono in lezioni di pittura.

 

Altro suo maestro è stato Pino Castagna, anche lui nostro concittadino, ora scultore a livello mondiale.

 “Si andava a dipingere all’aperto e lui mi insegnava a guardare la natura con il cuore. Il resto è stata una mia continua ricerca. Ho avuto per amici molti pittori e anche critici importanti che mi hanno apprezzata, ho vinto tanti concorsi, ma il mondo dell’arte è “particolare”, guidato da meccanismi forse troppo comprensibili. Il successo è una cosa “strana”.

 

Anche nei momenti più bui della mia vita non ho mai rinunciato a scavare. dentro di me, anzi la sofferenza era come una molla a trovare nuove strade: dipingere su carta da parati, usare l’acrilico, batuffoli di cotone, collages …… non mi arrendo mai.”

Quando Anna è arrivata alla fine della sua ricerca (a scavare) ed ha trovato la strada, la sua produzione è come un  torrente ed esegue le sue opere quasi con facilità. Non per questo, seppure esse si trovino in tante case di sanmartinesi ed altrove (non dimentichiamo che ha vinto moltissimi premi alle mostre a cui ha partecipato), le cancella dalla memoria ma ne parla ricordandone i particolari come se le avesse appena terminate.

 

Poi aggiunge con ironia “C’è un motivo per cui credo di essere grande: tutti i veri artisti sono morti poveri e sconosciuti”.

 

          Le sue opere suggeriscono sempre storie complesse di uno spirito che ha attraversato tutte le sofferenze possibili per un essere umano.

La sua pennellata è inconfondibile, aggredisce con forza ed aspramente il mezzo su cui lavora, come volesse penetrare ed incidere il supporto che ha davanti. Chi ha in casa un suo quadro riconoscerà sempre il suo tratto in mezzo a centinaia di altri.

 

Scriveva un critico cittadino in San Martino 80 associandola , in un modo, a mio avviso, molto forzato a Ugo Tonello:

 

 “Uguale si presenta nei loro quadri la sferzata espressionistica del colore tutto teso a immagazzinare sulla tela un figurativo ormai sfatto nell’informale del dolore. Il segno è raramente dolce, mai astratto … Gonella scivola diritta nel passaggio dal “naturale” della natura all’oscuro della percezione sentimentale indistinta. Al di là della diversità dei soggetti, inalterata rimane in questi due pittori la struggente vocazione del dramma della vita: la speranza riappare alla fine come attesa di grazia partecipe!…”.

 

Del suo lavoro e della sua tecnica Anna è schiva di parole, non ama descrivere quello che ha voluto esprimere nelle sue opere: ”Chi vuole guardi i miei quadri, li senta e li interpreti senza che io faccia loro da mediatore”.

 

E ancora: “Come ho già detto per me dipingere è una necessità profonda sia dal punto di vista estetico che di liberazione di quello che ho dentro. Quando, come in questo momento, che spero sia solo contingente, non posso avere un luogo tutto mio per lavorare mi manca quasi l’aria  per respirare. Dentro di me nasce una sofferenza che non so descrivere. Mi sento come gli uccelli o i pesci avvolti nella rete che non si dibattono neppure più, elementi che spesso si ritrovano nei miei quadri.

 

Durante il percorso di una vita, come un umile artigiano, ho sperimentato tutti i possibili supporti: tela, carta, compensato, carta da parati … applicando ad essi basi di mia creazione, tutto al servizio della ricerca che avevo intrapreso in quel momento e fino a quando il risultato non era quello che profondamente volevo raggiungere. Anche il materiale con cui ho dipinto e dipingo dipende dalla necessità che ispira quella  fase del mio lavoro: olio (che ho abbandonato da un po’ di tempo), aniline, acrilico, collage …. altro che preferisco tenere per me perché, in un certo senso, fa parte delle poche cose veramente mie che ormai mi sono restate. Mi sento molto vicina a Van Gogh anche per la gamma dei colori”.

 

    Le sue opere non possono essere accostate e paragonate a nessun altra, sono originali e, come quelle di ogni grande maestro della pittura, nascono dal “profondo pensiero interiore dell’artista” che attraverso la tecnica pittorica  rende poi vivo e visibile a tutti, trasmettendo -con la vibrazione dei colori e delle figure che sono  immagini uniche e particolari- emozioni altrimenti non esprimibili.

 

    Un maestro, Anna, in continua evoluzione, che con il tempo ha saputo perfezionare l’arte di estrarre sempre più l’essenza dei suoi pensieri per trasformarla in immagine pittorica.

     

 Marzo 2004 - A. Solati     

La pittura di Anna Gonella

 

                   

Piccolo sentiero del bosco - acrilico su carta

 

 

Grappolo d'uva - acrilico su carta

 

 

Maternità - acrilico su carta

 

 

 

Paesaggio - acrilico su carta

 

 

 

Liberazione - olio su pannello di legno

 

 

 

Attesa - tecnica mista su carta

 

 

 

Attesa 1 - tecnica mista su carta

 

 

 

San Michele Arcangelo - acrilico su cartoncino

 

 

 

La guerra - acrilico su cartoncino

 

 

 

Gli appési fuori dall'acqua - acrilico su legno

 

 

Intrappolati nella rete - acrilico su cartoncino

 

 

 

Fase apocalittica - tecnica mista acrilico su legno

 

 

 

La vittoria - tecnica mista su lamierino

 

 

 

L'albero della tentazione - tecnica mista su carta

 

 

 

Implorazione - tecnica mista acrilico su legno

 

 

 

Cavalli - acrilico su cartoncino

 

 

 

Le cinque pere che mia mamma non ha mai avuto

 Tecnica mista su cartoncino

 

 

 

 

di Eddy Verzini

 

Le "Bòsche", la "Mòri", "Fiorin", el “Bar da Giani":  erano molti i confortevoli punti di riferimento "in piassa" per un ragazzino che esplorava il paese e la sua società nei primi anni '80.   La "Ana Gonèla" non era fra questi.   Anna non era per nulla portatrice di conforto, di agio e tantomeno rappresentava un riferimento.

 

Nella mia percezione infantile lei era l'elemento di disturbo.

 

Amica, lo sapevo, non ne avevo alcun timore. Ma se tutto il resto mi aiutava a orientarmi nel piccolo multiverso sammartinese, avere vicino lei faceva impazzire l'ago della mia bussola. Perché non è sposata? Non ha figli? Che lavoro è il suo? Quello che sapevo per certo era che alcuni suoi quadri circolavano nel mio quotidiano.

 

Inquietanti e scomposte macchie colorate che ricordavano pesci, cavalli e uccelli erano incollati alle pareti di casa e nelle vetrine del colorificio di mia mamma.

 

Col tempo imparai ad associare la sua immagine burbera a quei tratti naìf e lo stridore che l'abbinamento mi causava alimentava la mia idea di lei: qualcosa non andava.

 

Quando ebbi occasione di frequentarla di più (io adulto, lei anziana) nella casa di riposo del paese, la conferma di quello che sentivo era seduta ad aspettarmi. Imbronciata e malinconica, davanti alla "sua stanza" trasformata in un laboratorio multisensoriale. Stava lì ore, a manifestare il suo disappunto, a reclamare l'ingiustizia dell’esproprio.

 

Stava lì e, lo so, godeva nel vedere visi di anziani che uscivano da quella stanza trasformati dall'esperienza del colore, degli elementi, del bello.

 

"Dove il sasso si fa poesia" ha voluto che fosse scritto sulla porta di quel magico stanzino.   Quando è "scappata" dalla casa di riposo, a sorpresa, lasciando tutto, anche il suo corpo trascurato sul letto, ho realizzato.

 

Anna era, eccome, un riferimento per me. Era come uno di quei segni nel bosco: un'ermetica pennellata su un tronco in montagna, che parla solo a chi di montagna si intende. Anna era un segnale che indicava sentieri poco battuti, di sofferenza creativa e di elementare - ma non banale - misticismo.  

 

Non mi sono chiesto da dove provenisse l'ondata di creatività che mi ha portato a scrivere, poche settimane dopo che si è "addormentata dentro uno dei suoi quadri": sapevo che una scheggia del suo strano mondo, esplodendo, mi si era conficcata nella testa... e ho scritto.

 

Dove el sasso se fa poesia.
 
Me ricordo de 'na pitrice…(adesso no' la gh'è più)
la gh'avea la maja macià de oro, le mane sporche de blu.
    L'era grassa, grisa, rabiosa come la malta bona;
    l'era 'n' anima in pena, ma anca 'na gran dona.
Sbufando la disea: "Me vien da piturar:
se son catìa l' è parchè no' so sa far…
    che imbastissa de far aqua, tèra e ciél?
    E ghe méta un pésse, un caval o 'n usèl?"
Mai straca de investirghe la testa e consumarse el cor
la noàva nel'acqua ragia, la volava nel color.
    Coi so' penèi, dal piato dove la pociava,
    la tirava su emossioni e intanto la pensava:
"Qua ghe fasso un volto, lo fasso che el sia tristo
e lì de meto n'altro che guarda fisso al Cristo;
   
'na pocia par i pessi, un sciapo de useléti
    e balonsini e fiori che goda i buteleti;
lo divido in tre livèi, così tuti i credarà
che el sia da interpretar e qualcun sentensierà:
    "La volea dir che l'era el simbolo de questo…
    o el senso de sto altro…se se esamina el contesto…"
ma un giorno la m'ha dito, guardandome tasendo,
che quel che la intendéa no'l'era 'si profondo,
    g'ho idea che, solamente, quel che la immortalava
    l'era quel che l'era dentro, quel che la provava.
Perché la Ana l'era un pesse, un albero, un cocai,
dentro l'era un Cristo, 'na corsa de cavài,
    l'era mace de color scombinade su tele e su carte,
    l'era tochi de vero scarté ma che dava vita a l'arte.
Quando la s'ha acorta de aver parlà 'bastansa,
che l'avéa dito a tuti la so anima, la so sostansa,
    sensa aviso e, par 'na olta, sensa brontolar…
    la s'è pareciada, l'ha fato finta de pregar,
la s'ha girà su un fianco e indormansà dentro 'na tela
e in basso, in un canton, la s'ha firmà: Ana Gonèla
 
(Edi el fiolde Verzini)