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LAPOLLA, I. Talenti musicali naturali. a cura di Anna Solati
Il
personaggio di cui mi occupo in questa storia è…… una famiglia. Non
sempre una persona di talento trasferisce le sue abilità ai figli, nel caso di
Bruno padre invece ciò è avvenuto per quasi tutti i suoi numerosi discendenti.
Racconta
la figlia Filomena:
"Mio
padre Bruno e mia madre Maria Teresa erano nati a San Nicola da Crissa in
provincia di Catanzaro. Il paese era piccolo: circa 1.500 abitanti nei primi
anni dei 1900, però per una strana combinazione, l'amore per la musica era
grandissimo in tutti.
La foto mostra
la banda di San Nicola, mio padre è
il secondo da sinistra in alto con il trombone. Vedete quanto sono numerosi i
componenti? Sono tutti suonatori spontanei.
la banda di San Nicola
Il
padre di mio padre, che era anche lui un musicista autodidatta, faceva il
calzolaio, mestiere poi tramandato in famiglia a papà e al mio caro fratello
Domenico.
Papà
aveva quello che si chiama "orecchio assoluto": gli bastava ascoltare
un pezzo ed era in grado di riprodurlo in tutte le parti strumentali.
Personalmente suonava strumenti a fiato: bombardino, flicorno tenore e trombone
a tiro.
La
mattina appena sveglio si "schiariva la gola” suonando a memoria il pezzo
che in quel momento lo ispirava.
La
sera ci riuniva attorno a sé, suonava un pezzo e ci insegnava a solfeggiare
senza aver mai imparato da nessuno come si faceva. Era un solfeggio che voleva
cantato.
I miei si sposarono che la mamma aveva 17 anni e papà 21. Nella foto vedete mia nonna materna che poi ci raggiunse a San Martino ed è sepolta nel nostro Cimitero, la mia bellissima mamma, papà, e da sinistra a destra in primo piano un nuovo piccolo Domenico, Antonio e Bruno.
I
primi anni di matrimonio furono tragici per i miei genitori perché dopo la
nascita di Bruno ed Antonio morirono nel giro di quindici giorni una sorellina:
Filomena come me, ed un fratellino Domenico.
Papà,
come ho detto, faceva il calzolaio e dopo essere stato di leva era stato
aggregato al suo reggimento di fanteria dove suonava nella banda e faceva
scarponi e giberne per i commilitoni.
Dopo
la guerra d'Africa il reggimento prese stanza a Spoleto e lui si fece seguire in
quella splendida cittadina da tutti noi. La nostra casa era sul corso principale
in una bella e antica palazzina. Ci abitavamo ancora quando fu bombardata.
Allora
eravamo in cinque poi nacquero altri tre fratelli di cui uno: Benito, morì a
nove mesi tra le braccia della mamma. lo ricordo con strazio quel momento.
L'ambiente
musicale di Spoleto era piccolo: tutti quelli che suonavano si conoscevano, e
papà, questo straordinario autodidatta, non passava ignorato. Il maestro Arturo
Toscanini lo volle conoscere e da quel momento gli riservò una stima e amicizia
incredibili.
Ricordo
di essere andata con la mamma alla rappresentazione di un'opera di cui non mi
sovviene il nome, ma direttore era Arturo Toscanini, tenore Beniamino Gigli, papà
faceva parte dell'orchestra.
Negli
anni successivi ogni volta che Toscanini veniva nel Veneto ne informava papà e
lo invitava a raggiungerlo nella città in cui si trovava.
Una
volta, abitavamo nella "Casa del vento", ci venne a trovare, io
stendevo la biancheria e cantavo, disse a papà: "Questa ragazza ha una
bella voce, falla studiare". Ma non si poteva, altri erano i miei compiti.
Mi
sono spesso chiesta che cosa Toscanini, uomo severo e aristocratico, trovasse in
un modesto calzolaio. Forse riconosceva in papà una dote così unica che hanno
rari direttori d'orchestra, un dono che non si incontra facilmente.
Nel
1944, con l'incalzare della guerra, il reggimento fu mandato a Verona e la
nostra famiglia segui papà in quella città.
A
Verona papà entrò subito a far parte della banda Municipale, poi lo seguì
anche Bruno che allora aveva 17
anni e anche lui non aveva diplomi, ma solo le lezioni ricevute in famiglia.
Abitammo
prima in via Pallone, ma anche qui la casa fu bombardata. Allora ci rifugiammo a
San Martino Buon Albergo in una casa in Via Disciplina che ci aveva offerto il
sig. Santi, che sarebbe diventato presidente della banda del paese.
Purtroppo
a San Martino c’era una stazione, molto vicina in linea d'aria allo
scalo merci di Porta Vescovo ed inoltre c’era la manifattura Pozzani che gli
alleati credevano fabbrica di spolette per bombe,
per cui subì diversi bombardamenti in cui ci furono molti morti.
Ricordo
che quando suonava l'allarme Bruno prendeva in braccio la mamma che aspettava
Fausto (il primo di noi nato qui, dopo ne nacquero altri quattro), noi fratelli
ci prendevamo per mano, papà ci seguiva con un'enorme zuppiera di pastasciutta
e correvamo a ripararci nelle buche scavate nei campi. Anche la nostra nuova
casa fu bombardata.
Anche
quando nacque Fausto all'Ospedale di Zevio, l'ospedale fu ferocemente colpito e
la mamma, col neonato venne mandata subito a casa.
Trovammo
allora alloggio in una baracca di legno che era stata ricoperta di cemento e che
veniva chiamata "Casa del vento". Quando ci andammo era disabitata da
anni con i pavimenti di assi , senza luce e senza acqua, ma vicino avevamo i
fossi!!
Si
andava a prendere l'acqua per la casa con il secchio, si lavavano vestiti e
biancheria al fosso. Una volta, avevo 7 anni ed era d'inverno, dovevo lavare le cose del piccolo Fausto, dopo aver tolto il ghiaccio dall'acqua e messa l'asse in posizione essa scivolò ed io con lei. Per fortuna una donna di passaggio mi tirò fuori e mi salvò. Ne ricavai una gravissima polmonite.
Durante
tutti questi bombardamenti dei mobili e delle suppellettili dei miei genitori
non rimase praticamente quasi niente. Ma i miei genitori non si arresero mai.
Quando
ripenso a quel periodo mi viene da dire che noi eravamo quasi poveri, terroni,
una famiglia numerosa, tutte cose che adesso vengono viste come
"colpe".
A
quei tempi, nell'estremo bisogno di tutta la Comunità, non esisteva lo stupido
razzismo ma la fratellanza tra tutti. In quel momento l'Italia che non era più
uno Stato era un’unica Nazione.
Alla
“Casa del vento”, papà faceva il suo lavoro di calzolaio e spesso veniva
pagato come richiedeva la povera economia di guerra: in natura. San
Martino era campagna e si poteva sempre trovare qualcosa da mangiare e da
scambiare per un lavoro svolto.
Rimanemmo
alla "Casa del vento" fino a metà degli anni 50 quando andammo ad
abitare a Sant’Antonio e papà aprì laboratorio di calzoleria in piazza sopra
all' attuale negozio di un ottico.
Una
finestra dava sulla Chiesa e l'altra sull'edicola del paese e i vecchi portici,
una ripidissima scaletta portava da lui. Tutti i miei fratelli per un tempo più
o meno lungo vi hanno lavorato ma ha continuato solo Domenico.
Era
un bravissimo artigiano che forniva di scarpe anche i duchi Aquarone. Metteva le
scarpe o i sandali anche da sera, che aveva confezionato per loro, in una bella
scatola rossa me la consegnava e io lo accompagnavo su in Villa per le prove o
la consegna. In seguito aprì un piccolo negozio di fronte alla Musella.
Ha fondato la Banda Musicale del nostro paese e vi ha suonato per parecchio tempo cedendo poi la direzione a Bruno lui è il terzo a sinistra e suona il bombardino.
Ha
partecipato a tutte le stagioni areniane fino alla morte ed ha anche ricevuto la
medaglia per 50 anni di musica.
Era
persona piacevolissima con i conoscenti, in paese tutti gli volevano bene, ma in
casa si comportava come un severissimo maestro di musica. Lui, per mantenerci,
lavorava fino allo sfinimento, noi eravamo in molti:12, per cui non c'era tempo
per discussioni e comprensione dei problemi del singolo. Chi “stonava”
riceveva una severa bacchettata dal "maestro".
Io
ero il suo "primo violino". La mattina ricevevo le consegne che
dovevano essere eseguite puntualmente altrimenti...
Avrei
desiderato proseguire la scuola dopo le elementari, le capacità non mi
mancavano e adoravo il pianoforte e cantare, ma ero la più grande e il mio
compito era di supplire alla mamma che non aveva troppa salute.
Domenico
e Benvenuto avevano la passione per giocare al calcio ma allora in una famiglia
con i piedi piantati per terra ciò era visto come una perdita di tempo, un
capriccio.
Papà
avrebbe voluto che tutti i figli maschi studiassero, avessero un diploma di
scuola superiore, ma questa soddisfazione gliela hanno data solo Fiorello che è
diventato geometra, Giuliano che seguendo un corso di studi regolari in
Conservatorio si è diplomato in corno e Francesco che come lavoratore studente
si è diplomato in trombone a tiro. Gli altri hanno abbandonato dopo la terza
media. Questo lo faceva molto arrabbiare perché a lui questa possibilità non
era stata concessa.
Non
era un padre padrone nel senso brutto della parola, ma un uomo che si era
tracciato un suo percorso per il bene dei figli e non accettava deviazioni.
Qualcuno
di noi ne ha anche sofferto ma sappiamo che le sue intenzioni erano le migliori.
Papà
morì in un banale incidente nel 1969, travolto da un camion, senza avere la
soddisfazione dì veder diplomato al Conservatorio a soli 19 anni l'ultimo dei
miei fratelli: Giuliano.
Di
noi: Antonio, Fausto, senza farne
una professione hanno sempre suonato egregiamente.
Bruno,
Francesco, Fiorello, Giuliano hanno fatto della musica la loro professione.
FRANCESCO. Ha cominciato a lavorare come infermiere nel reparto di Emodialisi dell’Ospedale di Borgo Trento, ma la passione per la musica lo ha spinto a diventare allievo di sassofono tenore con il maestro Mario Pezzotta. Poi, cercando di combinare l'orario di lavoro con le lezioni del Conservatorio ha frequentato regolarmente le lezioni diplomandosi in trombone a tiro. Ha fatto parte dell’Orchestra dell’Arena ed è stato vicedirettore artistico dell’Ente Lirico fino al momento della pensione.
FIORELLO. E’ entrato nell’Orchestra dell’Arena dove attualmente suona le percussioni.
GIULIANO.
E’
l’unico dei miei fratelli musicisti che ha seguito un regolare corso in
Conservatorio.
E’
stato allievo del Prof. Giacomo Grigolato che era primo corno in Arena e in tale
strumento anche lui si è diplomato a 19 anni.
Ha
suonato con il prestigioso complesso di musica da camera: “I solisti veneti”
del maestro Claudio Scimone.
Ha
suonato nell’Orchestra dell’Arena.
Attualmente
insegna Musica d’insieme al Conservatorio della nostra città.
Credo
di volere lo stesso bene a tutti i miei fratelli, però per quelli che non ci
sono più,
sento un trasporto più forte perché tra noi si è interrotto un discorso che
non si potrà più riprendere e quindi
parlo con maggior tenerezza dei miei cari Bruno, Antonio e Domenico.
BRUNO.
Era
il primogenito, nato nel nostro paese di origine. Fino a quando non subentrai
io, aiutava la mamma in tutto quello di cui aveva bisogno. Si potrebbe dire, in
termini moderni, che è stato il nostro baby sitter. Aveva verso la mamma una
cura ed una protezione quasi da fratello maggiore.
Già
a Spoleto si esercitava ogni mattina negli esercizi sfibranti del suo strumento
preferito il sax tenore: gli strumenti a fiato esigono una disciplina rigorosa,
bisogna abituarsi ad atteggiare le labbra in modo tale che il suono esca pulito
e corretto. Quando arrivammo a Verona, aveva 17 anni, seguì papà nella Banda della città e poi in quella di San Martino di cui divenne Direttore. Quasi tutti i miei fratelli ne hanno fatto parte per tempi più o meno lunghi.
Da sinistra Antonio (clarinetto), un amico, Bruno, Francesco (sax).
Papà
che in casa era il “Direttore” non fece niente per essere lui il Maestro ma,
come si vede in una fotografia precedente, era un suonatore agli ordini del suo
figlio-allievo.
La
Banda di San Martino era patrocinata dal Comune che forniva ai componenti gli
strumenti e le divise, l’insegnante di solfeggio e lettura spartiti era Bruno
la cui preparazione era stata quella che gli aveva fornito papà nelle nostre
serate a casa. Oltre che dei suoi “orchestrali” Bruno è stato insegnante di
solfeggio di molti sanmartinesi.
Bruno
aveva cominciato ad insegnare anche nelle Scuole Medie e, per continuare a
farlo, visto che era un autodidatta, sostenne a Roma l’esame per avere il
diploma dell’ANBIMA che gli permetteva anche di continuare a dirigere una
banda. Lo superò brillantemente.
Negli
ultimi anni, trasferitosi a Cogollo, fu promotore della fondazione di tale
banda. Purtroppo una grave malattia gli impedì di continuare la collaborazione
che per un certo tempo fu continuata dalla figlia.
DOMENICO.
Chi
non lo ricorda nel suo laboratorio sulle rive del Fibbio in Camillion?
Allegro,
sereno, disponibile: una persona con cui era piacevole intrattenersi. Si
potrebbe dire che si aspettava con piacere il momento in cui bisognava portare
le scarpe a risuolare. Adesso, visto il materiale di cui esse sono fatte e il
consumismo che dilaga, appena qualcosa non va si butta tutto in discarica,
allora era diverso.
Ebbene,
Domenico è stato “il ribelle” di casa.
Era
ancora un ragazzino e scappava al “campetto” per giocare, naturalmente a
scapito dei compiti di scuola!!!
Diventato
più grande ed entrato a lavorare “nell’impresa di famiglia” ma appena
poteva spariva ed andava ad allenarsi o a giocare una partita. Papà lo scovava
sempre e non era molto tenero con lui.
Domenico
giocava bene ma, a quei tempi, era incomprensibile che un ragazzo che doveva
lavorare perdesse tempo per un’attività………… campata per aria.
E’
vero c’era stato Gino Micheloni, c’erano Pozzan, Bissoli, Tessari…..ma
erano casi fortunati, noi dovevamo stare sul concreto.
La
lotta tra papà e Domenico fu pesante e durò molto tempo. Come ho già detto
lui e Benvenuto amavano il calcio, ma
Benvenuto era stonato, negato per la musica, anche papà aveva dovuto
rassegnarsi.
Domenico invece aveva una voce bellissima, ben impostata che sfoggiava nelle occasioni conviviali, anche lui aveva un talento musicale per cui in seguito ha anche suonato il gong in molte opere in Arena facendo conoscenza con vari personaggi dello spettacolo.
Domenico Lapolla. Foto Lapolla
Papà non capiva
perché non si dedicasse a suonare qualche strumento. Niente da fare, il calcio
era la sua vera passione per cui era disposto a tutte le guerre….. ma
un giorno incontrò la ragazza della sua vita e per lei mise nel cassetto il suo
sogno e fece il calzolaio.
Dopo
la morte di papà si sentì libero da ogni impegno nei suoi riguardi.
Purtroppo
era tardi per fare il giocatore, allora scelse di mettere a disposizione dei
ragazzi più piccoli la sua comprensione, la sua pazienza e l’esperienza che,
da fuori campo, aveva appreso.
E’ stato il primo allenatore dei pulcini della gloriosa SPEME per lungo tempo.
Ha
allenato bravi, bravini, normali, brocchi, anche mio figlio che, allora, era un pulcino spaurito.
Questi
ricordi mi sono stati raccontati dalla mia amica Filomena Lapolla Roncari.
Febbraio
2004 - Intervista
di Anna Solati
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