|
||
Maraboli Sergio, Poeta-Pittore.
Premessa.
Per molti giovani sanmartinesi che hanno frequentato le scuole Medie dal ’74 al ’94 il cognome Maraboli ricorda una elegante e gentile signora loro insegnante di Italiano, Storia, Geografia: “E’ stata quella che nella mia carriera scolastica ha avuto il maggior peso”, “Mi credevo un asino e mi ha fatto capire che, tutto sommato, valevo qualcosa”, “Volevo andare a lavorare, terminate le medie, in tre anni mi ha fatto cambiare idea”….. Ho sentito tanti altri discorsi di questo tipo nel corso degli anni.
(*) Ma la
professoressa in realtà aveva un altro cognome perché Maraboli era il cognome
di suo marito, una persona che non
poteva che essere eccezionale come lei, anche se in un campo diverso dal suo, ma
affine. E’ lui il nostro protagonista.
Sergio
Maraboli, poeta- pittore. Medico.
Sergio
Maraboli è nato in Lombardia, ha vissuto la seconda infanzia a San
Bonifacio, cittadina che ama ancora con vivissimo affetto. Si è
trasferito poi a Verona.
da: Le nevi d'un tempo.
San
Bonifacio
Se
nei mattini tuoi primaverili
odo
levarsi un canto nelle strade
e
riecheggiare a lungo nei cortili
tra
le tue vecchie case, dove cade
obliquo
il sole, se dai tuoi filari
di
gelsi ed olmi sale l’umidore
della
guazza notturna e dai pomari
arriva
il vento con l’acuto odore
di
timo e di mentuccia, d’erbe buone,
si
ridesta in me il bimbo che io fui,
che
correva le prode dell’Alpone
a
raccoglier “bruscandoli”. Di Lui
tutto
è rimasto qui: con il roseto,
la
vecchia casa delle Quattro Strade,
il
portico, la pergola, il segreto
rifugio
tra le canne, le contrade
dove
un tonfo di bocce sull’assito
delle
osterie è suono familiare.
Da
ciò che s’è perduto nasce il mito,
la
vita è solo un lungo ricordare.
A
Verona ha frequentato il Liceo Classico “Scipione Maffei” dove, a quel
tempo, c’erano insegnanti che tutta Italia conosceva e ci invidiava.
“Non
ero uno sgobbone, ma me la cavavo comunque egregiamente. Già allora la mia
passione per tutte le materie letterarie era fortissima. Il mio insegnante di
Greco e Latino era il Prof. Fauri che definirei, per quei tempi, un avvenirista
sia per il tipo di lezioni che teneva, sia perché veniva in classe…… senza
registro ma nessuno si poneva mai il problema di contestarne i voti perché era
preciso e correttissimo.
Pur
avendo uno spiccato interesse per le materie letterarie, già a 14 anni avevo
deciso di diventare medico. Mi aveva persuaso un articolo comparso su una
rivista per le famiglie, molto diffusa a quei tempi. A parte i termini
scientifici che, allora, erano presi tutti a prestito dal greco e dal latino,
ero e sono convinto che, per chi la fa con coscienza, si tratti della
professione più Umana che esiste.
Mi
iscrissi a Milano ma impiegai un po’ di tempo a laurearmi perché mi
interessavano…..le ragazze. Vorrei spiegarmi meglio: oltre all’innamoramento
che è irrazionale io cercavo, nella persona amata, essenzialmente l’Anima.
(Una volta che esposi ai miei amici questo mio modo di sentire mi sentii dare
del…pazzo. Il fatto è che “l’universo”
femminile ha sempre esercitato su di me un grande fascino). E qui voglio
citare un verso di Guido Gozzano:
“ Donna: mistero senza fine bello!”
Tale
atteggiamento nei confronti dell’ ”altra metà del cielo” mi ha portato
ad avere una vita sentimentale piuttosto intensa ed alquanto problematica. ( Quartine da: Il balcone sul roseto. Ecco, la sera… da: Il tenue fuoco. A B. lontana da: Il nostro ieri )
Quartine 1 Le
spalle erano calde nella corsa lungo
le mura al limite dei broli accesi
d'uva tenera, i capelli colmi
di vento al lume della luna.
2
Un
altro giorno è Caduto. Ti ricordo nella
sera spietata lungo il fiume: tu
parlavi con voce ormai remota, io ti baciavo nel palmo delle mani.
Ecco la sera
Ecco,
la sera col suo buio oscura
il
tuo sguardo, si perde la tua voce
oltre
i ponti attraverso la pianura
con
l'Adige che scende alla sua foce.
Ecco,
il nulla mi afferra, nel silenzio
che
lasci alle tue spalle già dilaga
il
tuo inutile nome, amaro assenzio che mi soffoca, polvere, ombra vaga.
A.
B. Lontana Forse ti porterà teneri fiori
questa
mia voce solitaria, come
nasce
la primavera nei giardini
e
con piedi leggeri lascia a noi
echi
soavi di magnolie e aromi
che
ignoravamo. Forse nel silenzio
di
queste strade della tua Vicenza
salirà
il sogno vero che riscatti
la
morte viva dentro il cuore, il gelo
di
un inverno infinito. Il tuo sorriso
sarà
nel sole, nella nuova foglia
che
trema lieve al volo della rondine.
Mi
sono specializzato a Pavia in malattie del sangue, dell’apparato digerente e
del ricambio. Sono
poi andato a lavorare all’Ospedale di Lonigo, come assistente del primario
medico, questa splendida persona, pur avendo attualmente 80 anni, lavora ancora
in maniera egregia come volontario in una struttura che si occupa delle
malattie della senilità. Ho percorso tutte le tappe che allora erano
inevitabili per un giovane medico, alla fine ero diventato Aiuto del primario. A
questo punto comincia la mia scelta di vita.
Il
primario, che aveva per me molta stima, mi esorta ad avere pazienza, ad
accettare la situazione del momento perché essa si evolverà. Mi suggerisce,
non potendo sbilanciarsi, che presto i laboratori , verso i quali si indirizzava
il mio interesse, si sarebbero staccati dai vari reparti per diventare autonomi.
In poche parole sarebbe nato un primariato per questa branca della medicina.
Non
ho avuto pazienza, avevo già incontrato la mia “Anima” (E’
tardi, Inverno
a Recoaro - da: Fiori di malva), volevo stare al più presto
possibile con lei.
E’
Tardi
Ascolta
il mite verso della tortora
che
annuncia un'altra aurora: è tardi
per
questo autunno di vendemmie,
per
il volo dell'allodola, è tardi
per
il croco e il ginepro. Sui tuoi monti
l'urogallo
ritorna nelle selve,
l'inverno
soffia il gelido fiato
sulle
ultime viole. Nel tuo camino
domani
il fuoco tornerà a guizzare
anche
per me, il faggio ceduo
arderà
a lungo - finché, il mio cuore
non
si riscaldi alla sua fiamma.
Inverno
a Recoaro
ieri
è nevicato sulla valle.
Dai
declivi deserti
più
non giungono grida di ragazzi
e
l'Agno avaro d'acqua
riposa
nel suo greto.
Tra
gli addobbi consunti del salotto
muovi
le dita ad un confuso accordo
sulla
tastiera, oltre i vetri appannati
guardi
il bianco veliero della luna
che
approda sullo Spitz. Come lontano
ti
appare quel passato di fanciulla,
quasi
non tuo, vissuto da altra vita!
Poi
a nuovi pensieri resti assorta
nel
silenzio, ti scrolli all'improvviso
e
allontani ogni ombra, ti concedi
al
travaglio di vivere ogni istante. Non più turbata, ti ritrovi donna.
Ho
lasciato l’Ospedale e sono andato a fare il funzionario INAM a San Bonifacio.
Sono
stati due anni terribili, mi sentivo proprio un fallito. Questa scelta, però,
mi ha permesso di sposarmi. Due mesi dopo il matrimonio si sono mostrate
le prime avvisaglie della perdita dell’udito, la cui evoluzione, neppure i più
grandi specialisti presenti nel campo sono stati capaci di prevedere.
Chi
diceva che avrei perso completamente l’udito, chi era più possibilista. Io ho
accettato la prima sentenza, alla luce di quanto è accaduto in seguito essa si
è rivelata errata, ma per me è stata una “scusa” per le mie scelte
professionali.
Infatti…..
Non
sopportando il lavoro di ufficio sono andato a fare il medico di fabbrica presso
una grande industria grafica cittadina, in seguito sono diventato capo di quel
servizio.
Dopo
un po’ di tempo il primario di un ospedale della Bassa Veronese mi ha mandato
a chiamare per offrirmi il laboratorio, l’offerta finanziariamente era molto
allettante, ma io non mi sentivo attirato esteticamente dal posto: non mi
piaceva andare a vivere tra….. le rane.
Avrei
avuto la possibilità di lavorare nello stesso campo anche presso un altro
ospedale, questa volta nel Vicentino. Ma io, pensando che avevo davanti
l’incognita della sordità, ho preferito rinunciare: non mi sembrava etico
assumermi una grossa responsabilità che forse non avrei potuto portare avanti
nel modo più completo.
Così
la mia vita professionale, con il metro attuale, non si può definire un
successo strepitoso”.
Io
mi/vi faccio una domanda: è più importante raggiungere “uno strepitoso
successo” tra la gente, o riuscire a essere costantemente in crescita e in
sintonia con sé stessi e con le persone che ami? La risposta del dott. Maraboli è evidente nelle sue opere.
La
sua arte.
Il
Poeta. “I poeti italiani che sento più vicini a me sono: il grandissimo Francesco Petrarca, Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli la cui poesia “L’ora di Barga” mi ha colpito profondamente quando ero ragazzo e anche oggi rispecchia del tutto il mio modo di sentire, Salvatore Quasimodo (A Salvatore Quasimodo - da: Il nostro ieri), Eugenio Montale, Umberto Saba, e Diego Valeri, che a mio modo di vedere, è un poeta sottovalutato e “apparentemente facile”.
A
Salvatore Quasimodo
Laggiù
lungo i tuoi fiumi sulle rive
l'airone
e la gru muovono il volo,
la
biscia d'acqua freme tra le canne
di
palude: ma ti costringe altrove
questa
vita di scherno, amara sorte.
Nelle
nebbiose pianure del Nord
si
consuma il tuo tempo, assiduamente
rimpiangi
la tua infanzia e l'aspra isola
della
tua razza, in te riscopri i miti
della
tua terra favolosa. Forse
nella
memoria celi la mestizia,
riodi
ancora l'eco dello Jonio
che
estenua il suo furore sulle spiagge.
E
quella voce antica e ormai lontana ti fa più dolce il peso dell'esilio.
Ho
sempre amato scrivere poesie ma potrei dire che la mia ispirazione è
“monocorde” ed ispirata alla nostalgia.
“ Le cose divengono veramente importanti
quando
le abbiamo perdute.
La
loro bellezza non sta nel possesso,
ma
nel rimpianto”.
Il libro: “Il sogno e il silenzio” comprende la ristampa della mia prima raccolta di versi pubblicata nel 1972, e la seconda che è del 1995. La sezione più recente è forse più matura, più meditata inoltre vi è introdotto il bisogno/ricerca di Dio (Dove sei? - da: Le nevi d'un tempo), per il resto il motivo conduttore è sempre lo stesso. (Il balcone sul roseto - da: Le Ultime voci. Commiato - da: Le nevi di un tempo. Forse l’amore - Appendice).”
Dove
Sei? Ho gridato il Tuo nome ai quattro punti cardinali da una riva deserta o nella notte quando la luna sale sulle nubi e il vento sibila nei paesi sperduti
Ti ho cercato e chiamato quando il sole arrossa le pietraie e sulla terra spaccata la lucertola occhieggia dalle crepe poi guizza tra i rovi e riscompare
quando le prime ombre portano il crepuscolo e il cielo è viola e il croco si richiude ho ripetuto il Tuo nome mille volte
l'ho urlato nel mio cuore e bestemmiato e invocato in silenzio e sussurrato come un bimbo spaurito: dove sei?
IL
balcone sul roseto a mia madre
Tornerà
dai paesi dell’oblio
un
volto corroso dal tempo,
una
voce soave
parlerà
di cose perdute.
Nel
cuore desolato
fioriranno
ancora per noi
la
pergola di glicine, il roseto
della
remota infanzia.
L’aroma
appassito delle giunchiglie
a
poco a poco lo riscopriremo
e
sarà spada che ferisce
memoria
che scava,
sarà
l’amico morto
che
smarrimmo per sempre ad un crocicchio.
Commiato
Quando
sui miei occhi calerà
il
buio di una sera senza fine
e
dietro di me si chiuderanno
i
neri cancelli della morte
la
luce serena del tuo sguardo
scenda
ancora sul mio volto
e
nel mio cuore per un attimo
fiorirà
la dolcezza che nasceva per me ogni notte dal tuo casto seno.
Forse
l'amore
Ecco
l’autunno, stagione amica,
i
giorni sono più brevi,
le
sere velate dalla bruma.
E
tu, cuore, preparati all’inverno:
le
lunghe notti insonni quando l’alba
pare
non giunga mai,
il
buio accovacciato contro i vetri,
il
silenzio della neve.
Ma
allontana ogni pena,
forse
l’amore ti riscalderà.
Scrive
Piero Scapini nella prefazione de: “Il balcone sul roseto”:
“La
raccolta poetica si compone di cinque capitoli che segnano una specie di
itinerario spirituale che, se ha delle costanti sempre riemergenti, indica
tuttavia una maturazione umana ed una evoluzione tematica…….
“Nell’ombra
che ti scioglie” predomina
la poesia della lontananza…..della struggente dolcezza delle cose
e delle immagini svanite, dissolte nel tempo…
Ne
“Il tenue fuoco” la lontananza si fa vuoto e tristezza per un amore
goduto ed in breve perduto di cui rimangono solo tracce di luce, di colori, di
profumi…
In
“Un nostro ieri” si rivela un bisogno mai spento di riattaccarsi alla
vita………..E’ un timido rispuntare di teneri germogli e di boccioli su rovi
bruciati dal freddo inverno, nella dolce primavera…
In
“ Fiori di malva” la vita con le sue certezze riprende il
sopravvento…
Ne
“Le ultime voci” i temi consueti del ricordo e del dolore si ampliano
e si colorano di risvolti storico-sociali…
L’io esce dal bozzolo, si schiude al mondo.”
Il
SOGNO E IL SILENZIO è DIVISO IN DUE PARTI.
“Il
balcone sul roseto” raccoglie le poesie scritte nel periodo 1949-1969. Apparve
nelle Edizioni Regione Letteraria nel 1972. Alcune poesie furono pubblicate sui
periodici “Epoca”, “Grazia”, “Vita veronese”, “Corriere di Recoaro”.
“Le
nevi d’un tempo” appare in volume per la prima volta. Raccoglie poesie degli
anni 1971-1982, alcune delle quali furono pubblicate sulla rivista “La
Mainarda “ di Cologna Veneta.
In
appendice sono state aggiunte due poesie del 1993.
Il
Pittore.
"Qualcuno
che ha letto le mie poesie e visti i
miei quadri ha detto che “io dipingo le mie poesie”.
“Ho
cominciato a dipingere quando avevo 20 anni però non avevo nessuna base.
Mi
sono impegnato per apprendere la tecnica solo quando sono andato in pensione. Mi
hanno fatto scuola due amici pittori: il maestro Dragonetto e, in seguito, il
maestro Morabito da cui sono andato a scuola per pochi mesi. Poi egli mi ha
detto che di tecnica non avevo più
bisogno, l’avrei eventualmente affinata nel tempo, ormai dovevo solo lasciarmi
andare all’ispirazione. I miei soggetti preferiti non possono essere che Venezia con i suoi colori estenuati e qualche paesaggio autunnale. Mi sono dedicato anche ad altri soggetti, ho cambiato la mia tavolozza ma …. ( Si allegano i quadri con le caratteristiche tecniche).
Foschia in Laguna 1990 - olio su tela 40x50 cm
I colori del sogno 1994 - olio su tela 30x40 cm
Incanto mattutino 1998 - olio su tela 40x60 cm
Laguna incantata 1998 - olio su pannello telato 40x50 cm
Mattino d'inverno 1997 - olio su tela 50x70 cm
Nuvole 1995 - olio su pannello telato 25x35 cm
Alle soglie del bosco 1991 - olio tela 50x60 cm
Così
lo presenta Jean Pierre Jouvet:
“Lombardo
di nascita, veronese di elezione, medico di professione (oggi, dunque, sulla
strada percorsa da Carlo Levi, Alberto Burri, e altri famosi medici
pittori),….cominciò a dilettarsi con il pennello nei tempi ormai lontani
degli studi universitari, ma soltanto nel 1988 decise di dedicarsi con impegno
sistematico all’arte, intesa questa, nella sua concezione, come linguaggio
figurativo da contrapporre alle inique dialettiche della violenza, del terrore,
del malcostume e a qualsiasi altra forma comunicativa deteriore e
mortificante”.
Così
lo descrive Piero Piazzola in una recensione su “Verona Fedele”:
“E’
un artista che ti incanta subito; ti conquista, ti cattura, inaspettato come i
suoi paesaggi, e ti libera solo laggiù a Venezia, nel cuore di Venezia o nei
dintorni di Venezia, nel bel mezzo di quei canali dove sembra non esistere più
vita, più acque che si muovono; a ridosso di un ponticello, da cui intendi
appena il mormorio dell’umanità nella quotidianità, dove è più solenne il
rumore del niente, ma più forte la sensazione che mare, acque, barche, uomini,
chiese, palazzi, case sono vitalissimi, esuberanti, vivi.”
Di
lui hanno scritto anche Ferdinando Tiveron e Carlo Caporal, studioso della
Lessinia e pittore.
Ha
esposto in mostre personali, collettive e partecipato a concorsi nazionali
ottenendo lusinghiere soddisfazioni e molti premi.
Maria
Teresa e Sergio Maraboli vivono a San Giacomo di Lavagno.
Nota:
(
* )
Come in ogni ambiente di lavoro, anche nella scuola c’erano tre correnti: i
“conservatori”, “gli indifferenti” (“Basta che non si tocchino le mie
richieste personali”), i cosiddetti “progressisti”.
La
Signora Maria Teresa Maraboli era apprezzata, ma non capita dalle prima due
categorie; era stimata come grande lavoratrice, ma in fondo ritenuta una
sopravissuta dei tempi passati, dalla
terza. Il suo modo di porgersi verso gli alunni e i colleghi, nel Collegio dei
Docenti, veniva accettato, ma preso
come retrogrado dai “conservatori”, i
“progressisti” poi….
Purtroppo,
confesso onestamente, di aver fatto parte per un certo tempo dell’ultimo
gruppo. Ma, lei, nessuno era riuscito a inquadrarla davvero, e mi spiego.
Tutto
quello che faceva era parte di un metodo di educazione permanente.
Si
vestiva con gusto, in modo armonioso, senza sprecarsi in acquisti di boutique:
spesso era lei che si confezionava quanto indossava.
Era
un messaggio per gli alunni: nessuno, in nessun momento doveva mostrarsi sciatto
e disordinato: era un riguardo dovuto a sé stessi e agli altri.
Quando
arrivava in classe, sempre puntuale, un alunno, che la stava aspettando,
le toglieva il cappotto e lo appendeva ad un attaccapanni, che si trovava vicino
alla porta, e solo dove insegnava lei.
Quando
all’ultima ora la classe usciva, un alunno era incaricato di aprire la porta,
far passare lei per prima, poi le compagne,
poi gli altri.
La
voce era gentile, ben modulata: non la alzava mai, non era nel suo stile urlare
come a volte si sentiva fare da altri passando nei corridoi, con osservazioni
pacate riportava gli agitati a più miti consigli e a “vergognarsi”, anche i
risultati scadenti venivano commentati come speranza per un divenire positivo.
Quanto
sopra era per indurre ad imparare la vera educazione che lei riteneva
indispensabile per trasformare dei ragazzini “ruspanti” in persone che
avrebbero potuto presentarsi “bene” nella vita. I compiti, scritti a metà foglio, venivano corretti in modo “propositivo” : cioè la parte del foglio bianca riportava le sue proposte. In questo campo era inattaccabile, nessuno se la sentiva di seguirla in questa strada faticosa e puntuale…..anzi era un richiamo continuo, per qualcuno piuttosto fastidioso, a quello che si sarebbe dovuto fare e/o non si aveva voglia e/o non si era capaci di fare. Febbraio 2004 - di Anna Solati |