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Micheloni Vittorio, superstite di Cefalonia.

a cura di Anna Solati

 

Anni fa, quando in piazza dietro al negozio del macellaio si trovava un panificio, capitava di vederlo verso le sei di mattina che usciva dal forno dove lavorava con il suo sacchetto di pane sotto braccio: non si poteva immaginare una persona più tranquilla e serena di lui!!!

 

Invece…

 

        Vittorio è nato nel 1918 a S. Martino in una famiglia che comprendeva due sorelle e quattro fratelli. Oltre a lui fu prigioniero di guerra anche il fratello Mario (classe 1914) che tra militare e prigionia rimase sotto le armi 10 anni: fatto prigioniero in Italia era stato internato in Germania.

 

   Un altro fratello di Vittorio è stato il famoso Egidio (Gino Micheloni) portiere del Milan e della Juventus.

 

       Vittorio era di leva nel 1939 come artigliere, faceva parte dell’VIII artiglieria  Verona in uno dei quattro gruppi: quello someggiato, cioè quello che per il trasporto dei pezzi adoperava i muli.

 

Vittorio era di leva nel 1939 come artigliere. Foto V.Micheloni.

 

 

      Quando l’Italia è entrata  in guerra nel giugno del 1940 in “aiuto” dei tedeschi, è stato spedito sul fronte occidentale cioè ai confini tra Piemonte e Francia sul colle della Maddalena. Era un conflitto che la Germania stava vincendo a mani basse: nel nord del paese le forze del generale Rommel stavano per entrare a Parigi. Il nostro esercito era male armato sia rispetto agli avversari che rispetto ai nostri alleati: “Par fortuna i è arivà i tedeschi a darne 'na man, se no saressimo ancora là.”

      Invece dopo una ventina di giorni la guerra, su quel fronte, era già finita e il suo distaccamento è stato mandato ad Alba.

 

     Qui l’VIII Verona viene suddiviso nel 33° reggimento di artiglieria, sempre dotato di muli, che farà parte della Divisione Acqui e VIII Verona, che usa come trasporto i cavalli, e che andrà a fare parte della Divisione Pasubio.

 

 

Foto Vittorio Micheloni.

 

     Gli artiglieri della Acqui avevano la stessa divisa degli alpini “anca el capel e le stesse armi: il 75/13".

    

   Da Alba la divisione viene caricata su tradotte,  portata a Brindisi, imbarcata per Valona per fare la guerra sul fronte greco.

 

     Valona fa una pessima impressione a Vittorio “Sentéa sempre parlar del porto de Valona e no g'era gnente. I albanesi i passava le giornade senté a fumar su la porta de casa mentre le donne le lavorava come mussi”.

    

   Comincia la guerra di trincea. I greci avanzano verso l’Albania e si sistemano nelle postazioni migliori. Per quanto l’artiglieria faccia continuamente fuoco, la nostra fanteria non riesce ad rompere il fronte. La postazione di Vittorio si trova vicino a Tepeleni nella valle Shuscità.

 

      Sono stati 7 mesi terribili: avevano freddo e mangiavano poco. “Anca lì se non vegnéa i tedeschi da de là (dal sud della Grecia), saressimo ancora in Grecia. Vorla métar i vestiti che i gavea i tedeschi, i loro stivaleti? I è entrà in guera preparé . Noialtri no se aveva gnanca le calse, solo le pesse da piè".

 

     E’ in questa occasione che il Nostro vede per la prima volta questi alleati.

 

     Quando la Grecia è sconfitta  le divisioni Pasubio e  Julia vengono spedite in Russia, la Acqui resta di presidio nelle isole greche prima a Zante, poi a Corfù dove resta un anno e mezzo, infine a Cefalonia.

 

      A Corfù la divisione “ha fatto una bella vita “: si mangia senza privazioni, i posti sono stupendi, i greci gentili.

      Vengono formate anche squadre di calcio, organizzati tornei. Vittorio che gioca bene, qualità di famiglia, è stimato dai commilitoni e ha piccoli ammiratori greci che si fotografano con lui. Ritroverà questi ragazzini 25 anni dopo, durante una visita, fatta con i sopravissuti della Divisione, per mezzo della foto che gli era stata regalata.

 

Squadra di calcio. Foto Micheloni.

 

 

 

25 anni dopo. Foto Micheloni.

 

      La divisione, in seguito, si trasferisce a Cefalonia (carta geografica) dove c’è anche un presidio tedesco, meno numeroso di quello italiano. Qui “è scoppiato l’otto settembre.” ( * )

 

 

 

       I tedeschi pongono un ultimatum : consegnare le armi ed arrendersi o “mettersi con loro”. Che cosa fare? Per alcuni giorni sia gli ufficiali che i soldati discutono e intanto la guarnigione nemica si rafforza con sbarchi di truppe.  Ci sono state discussioni tra ufficiali e tra i soldati “Ma noi della truppa cosa potevamo sapere? Non eravamo in grado di decidere”.

Volantino arrivato ai soldati assediati.

Volantino arrivato ai soldati assediati.

 

       Vittorio ricorda alcuni personaggi di quel momento tragico. Il generale Gandin cha rendendosi conto della situazione, pensava di arrendersi ma alle condizioni più onorevoli. Il suo tenente Ambrosini a cui la città natale, Sondrio, ha dedicato una piazza. “Era un uomo che voleva bene ai suoi soldati come un padre. Lui era per non arrendersi e combattere.” Entrambi furono fucilati.

Una delle fosse comuni

Gh’era anca un certo capitan A., un fanatico, el volea combàttar a tuti i costi: l’è sta la so bateria a cominsiar a sparar fasendo scominsiar tuto.

          Lu, dopo, l’à firmà par i tedeschi, l’è tornà in Italia; ala fine l’è deventà general de corpo d’armata. Per le celebrazioni dela division el vegnea a Verona e mi me sentea de spuarghe adosso”.

 

          Vittorio e tre compagni scappano e si nascondono “soto ‘na piera che i ciamava acquedotto.” L’ha rivista quando è tornato a Cefalonia.

 

Vittorio a Cefalonia

 

 

       Restano lì per cinque giorni senza mangiare e bere sentendo gli spari delle esecuzioni.

 

“Quando i n’à  trovadi semo vegnui fora con le mane alzade: se vedéeno morti e invese le ostilità le era finie e anca le fucilazioni”.

 

     I superstiti della divisione hanno fatto due scelte. Un gruppo ha deciso di diventare lavoratore ausiliario dei tedeschi e non aderire al governo Badoglio. Costoro sono stati fortunati perché quando gli inglesi hanno conquistato l’isola si sono uniti a loro e sono tornati in Italia dopo un anno. Gli altri diventano prigionieri di guerra.

 

      Vittorio è stato portato in Albania e da lì con una tradotta fino a Minsk in Ucraina. Il viaggio è durato 15/20 giorni, in condizioni bestiali: veniva persino negata l’acqua che riuscivano a bere solo raccogliendo, con la gavetta, quella piovana.  

      A Minsk “son sta fortunà” hanno estratto a sorte 25 persone e le hanno portate  a Grodno in Polonia a lavorare in una fabbrica e, non essendo in un campo di concentramento, stavano  un po’ meglio . “I ma domandà se savea far el mecanico, mi go dito: so far solo el panetier”.

 

Per fortuna questo fatto non ha avuto importanza: ogni operaio era affiancato da un tedesco e così il lavoro procedeva bene.

“La domenica un ufficiale tedesco ci portava a fare un giro fuori dalla fabbrica , le donne polacche ci allungavano qualche pachetto de roba da mangiar, "el tedesco faseva finta de gnente". Per me i polacchi sono gran brave persone e hanno sofferto molto”. 

 

   Alla fine sono arrivati i russi che “ ci hanno trattati bene, eravamo liberi di andare a lavorare dove volevamo, io ho fatto il panettiere.Ogni giorno tornavo al campo per sapere se c’era una tradotta che mi poteva portare a casa.”

 

   Nei due anni di prigionia non ha mai potuto scrivere a casa : i suoi non sapevano niente di lui (lo credevano morto), né lui di loro.

 

    “Sono arrivato a casa il 12 ottobre del ’45 con il trenino, alle 7 di sera, c’era ‘na nebia!!  Mi sono venuti incontro al ponte del Cristo i miei fratelli più piccoli, non li riconoscevo neanche . Prima de entrar in casa, mia mama, che l’era una dona molto pulita, l’a messo in corte 'na brenta la l’a riempia con dele pignate de acqua calda e go fato el bagno perché ero pien de pioci dapertuto. Anca se gh’era fredo no go ciapà gnente.”

 

 Maggio 2003 - A cura di A. Solati.

 

 

Nota: 

* Il 3  settembre del 1943 l’inviato del Re Vittorio Emanuele firma, a Cassibile, l’armistizio con gli alleati. La notizia viene data per radio  a tutta la nazione, solo nel pomeriggio dell’8 settembre. La comunicazione non dà precise disposizioni e, nelle varie caserme dell’esercito, non si riesce a capire se si devono combattere i tedeschi o arrendersi. Le comunicazioni con gli alti gradi dell’armata sono confuse o interrotte.

 

    I tedeschi, invece, presumendo un prossimo ritiro dalla guerra dell’Italia hanno rinforzato le loro divisioni vicino ai presidi  italiani per non farsi cogliere impreparati. I nostri soldati che si trovano in Italia, se non vengono fatti prigionieri, cercano di tornare a casa;   ma chi si trova lontano come quelli della  Divisione Acqui di stanza in un’isola quasi davanti a Corfù  sceglie di difendersi.

    Di 11.000 soldati  2000 caddero in combattimento o fucilati sul posto, 4000 vennero passati per le armi nella notte tra il 22 e il 23 settembre, 3000 stivati su tre battelli diretti ad Atene, per poi proseguire per i campi di concentramento in Germania, affogarono nell’affondamento dei trasporti causati dalle mine.