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Nicola Nicolis,  artista

a cura di Anna Solati

 

 

 

 

 

Quella che segue è un’autobiografia dell’artista intercalata da suoi scritti e poesie e dalle dichiarazioni rilasciate in una serata colloquiale.

°°°°°°°°

 

Nicola Nicolis è nato a San Martino Buon Albergo alle ore 8.20 a.m. del 18 aprile 1949.

 

 

Da: Nostra Signora della solitudine (1998)

 

2

 

Solitario e inguaribilmente pigro

mi impegnerò — sicuro. Ma bandiere

no — per piacere — e neanche le divise.

Per me non fanno (e forse per nessuno).

 

 

Da: ATROPOS (1989)

 

5° filo

 

L'uomo non ha grandi frequentazioni

con la speranza, né col pentimento.

 

Immoto, come le rupi dei monti

che ha amato in giovinezza, sente il fiato

degli eventi alitargli in viso, avverte

il lento lavorio che lo scarnifica

e sulla pelle imprime strane rune

che leggere non sa.

 

Si chiede spesso, gioco di pazienza

in verità insensato, quale storia

e per chi vi si narri, e intanto osserva

la goccia che lo scava senza tregua.

 

Perché quando essa avrà raggiunto il centro

non vi sarà più ormai luce né tempo

per le domande oziose. E certo a nulla

varrebbero speranza e pentimento.

 

Da: ATROPOS (1989) 

 

6° filo

 

L'uomo dalle sue stelle ha avuto in dono

una voglia implacata di evasione.

 

Ogni suo gesto simula un altrove,

un silenzio non chiesto, una parola

mai pronunciata.

 

E' ricco di postille, di rimandi

a futuri impossibili, di sguardi

che al di là dello specchio si perdono

tra le fragili foglie del rimpianto.

 

Nel quieto disperare dei tramonti

cerca la porta che non sa trovare

(è comoda, la cella, ma è là fuori,

lui lo sa, la risposta che lo attende).

 

E tende inutilmente a fredde stelle

la sua voglia implacata di evasione.

 

 

Da: Storia di un anno (1988)

 

Versi d’aprile

 

Se la rincorsa contro il tempo è vana

e se è inutile e sterile speranza

sconfiggere il dolore e il nero oblìo,

che cosa resta, che ci possa dare

almeno qualche attimo di requie,

un sollievo, per quanto provvisorio?

 

Forse soltanto il silenzioso abbraccio

fra creatura e creatura,

reciproco accettarsi tra finiti

che ben lo sanno, e ancora accettazione,

tra uguali, degli scarti ombrosi, spie

del male che ci affligge.

 

Non resta altro, se non le risate

da assaporare tutte stilla a stilla,

dono ironico, beffardo risarcire

un danno ineluttabile.

 

E aspettare così l'appuntamento.

 

 

    Quando aveva quattro anni, la famiglia decise di trasferirsi a Verona e lui dovette, obtorto collo, seguirla; da allora sta lì e non si è praticamente più mosso.

 

Il nonno di Nicola aveva una piccola industria nel centro del paese ed era fratello del dott. Romolo Nicolis farmacista, pittore, musicista, poeta.

 

Dopo il trasferimento a Verona il bambino andava abbastanza spesso a trovare lo “zio” nella vecchia farmacia di via XX settembre e ricorda il cortile sul retro dove si trovava un magnifico glicine. Morto lo zio, i legami con il paese sono finiti.

 

Da: Dilettante di immagini e di suoni (1995-1996)

VIII

 

Sei di famiglia antica. Ciò comporta

difetti e pregi astrusi.

Comporta che ti appigli ad argomenti

spesso poco usuali,

comporta che dalla chiostra dei denti

sguscino fuori frasi desuete,

che neanche tu alle volte sappia bene

quale sia il tempo tuo.

 

    Ha compiuto studi classici, giungendo a un pelo dal laurearsi in filosofia.

     Non ha fatto il militare in quanto abbastanza orbo da convincere la patria a fare a meno di lui.

 

Ha frequentato l’allora severissimo e famoso Liceo Classico S. Maffei e, per scelta del padre, la sezione più dura.

 

E’ abbastanza contento di aver avuto una formazione classica. Tra gli insegnanti ha avuto la fortuna di incontrare un vero genio dell’educazione artistica: quel prof. Cuppini che tanti maffeiani ricordano con ammirazione per le brillanti interpretazioni delle opere d’arte e per come fosse riuscito ad attribuire con certezza capolavori il cui autore fino a quel momento era rimasto sconosciuto.

Senza uccidersi per lo studio, ma facendo leva sulla viva intelligenza, ottenne un’ottima maturità.

Non essendo portato per le facoltà scientifiche, scelse nel campo umanistico la facoltà con meno esami: Filosofia.. Scelta di “pigrizia”, non di interesse, in quanto un laureato in filosofia poteva fare solo l’insegnante e lui non si è mai sentito portato ad insegnare niente a nessuno.

 

Da: Storia di un anno (1988)

 

Banchi di memoria - Track 2

 

Che se in realtà poi tu ritorni indietro

con la mente ai tuoi giorni ed ai tuoi anni

adolescenti, scopri con un misto

di raccapriccio e di divertimento

che non li hai mai vissuti.

 

Il tu che andava a scuola, che leggeva

i tuoi poeti, che le tue canzoni

cantava, marionetta senza fili

muoveva brancolante come in sogno

tra stati di coscienza incerti, dove

notte e giorno e il silenzio e la parola

figure di un pazzesco minuetto

vorticosi mutavano di posto.

 

        E' un reduce (non pentito, ma solo molto dispiaciuto) del '68 e di quel che ne è seguito.

 

Padova nel ’68: Nicola incontra il Movimento studentesco.

Da sempre nelle Università ,da parte dei vecchi studenti, c’era l’abitudine di vessare le matricole in modo più o meno selvaggio. Per almeno un quadrimestre andare a lezione diventava motivo di tensione e quasi di paura.

 

Nicola “con la braghe curte almeno nel cervello”, si trova con un gruppo di compagni davanti al Liviano (edificio dove si svolgevano le lezioni di filosofia).

 

Dietro di loro una torma di vecchi goliardi rumoreggia pronto a buttarsi contro di loro. Ma si aprono le porte del Liviano, esce un buon numero di ragazzi determinati che mettono in fuga gli assalitori. “ Gho pensà : ma questi i è angeli.

         Da quel momento il movimento studentesco mi ha conquistato il cuore.”

 

“Nel ’68 il mondo pareva dovesse cambiare dalla mattina alla sera, e sono molto dispiaciuto che non sia andata a finire così. Dopo, col senno di poi vedi gli sbagli, gli errori: cioè tanta ingenuità almeno da parte dei più giovani.

 

Sono comunque stato fortunato di essere passato in mezzo ad avvenimenti che dopo ho capito quanto fossero importanti. Purtroppo eravamo tanti, ci sentivamo tanti, ma non pensavamo di contare quanti erano gli altri.”

 

Da: Storia di un anno (1988) 

 

 

Varie ed eventuali - Commemorazione

 

Se lo sai, dillo tu che cosa avanza

del tanto sudore.

 

Cominciavamo allora a bere vino

e le sere di fumo e di parole

oscillavano lievi a ogni speranza.

 

Ci parlava ogni muro, ogni silenzio

cantava mondi nuovi, e le ore e i giorni

erano come libri da sfogliare

con gioia ansiosa, come da bambini

quando si vuol conoscere la fine

della storia.

 

E libertà e giustizia

ci erano compagne amiche amanti

tra le parole urlate, nel rifiuto

di santità oramai già putrefatte.

 

Vorticosa la ruota girava

annullando distanze, urgendo sempre

un amore rabbioso, un desiderio

di penetrar le cose alla radice.

 

 

Da: Storia di un anno  (1988)

 

 

E d’altro ancora – X

 

E sai che ormai per te non torneranno

più l'entusiasmo e la fede e la voce

per gridare alto verità e certezze

e bandiere nel vento e canti e risa.

 

Ti è padrona una ragionevolezza

cauta, che legge e interpreta ogni fatto

tra gli umani cercando vie e passaggi

i meno dolorosi, soluzioni

che lascino spiragli anche alla gioia.

 

Ma quei varchi che vedi a un coabitare

che gli spigoli smussi, la gran parte

dei tuoi vicini considera folli

e faticati sogni insegue ed irti.

 

Così, se non vuoi perdere te stesso

rifiutandoti, devi rifiutare

di essere intrappolato in riti e lotte

di cui non condividi il fine.

 

E accettare la tua diversità

non come segno arcano di elezione

ma solo come bastione a difesa

di un equilibrio a caro prezzo attinto.

 

 

        Nel '73, superando inopinatamente un regolare concorso, è stato assunto da una banca, da cui tuttora riceve di che vivere.

E' un lettore onnivoro.

        Da quando ha scoperto il personal computer, ha disimparato a scrivere a mano; in compenso ha imparato un sacco di solitari.

        Gli piace far canzoni e bere vino, ama la buona cucina, porta barba e capelli lunghi perché non sopporta i barbieri ed è troppo pigro per radersi ogni mattina.

 

E’ convinto ammiratore di Omar Khayyàm:

 

Da: Versi da Venezia (1982)

 

Varia - Sera veronese

 

Con il vino che canta nei bicchieri  

e le ore che rotolano allegre

senza tanti pensieri

passa la notte e l'alba è già vicina.

 

La pentola in cucina

sta bollendo per cuocer gli spaghetti

e una chitarra sgrana quattro accordi

mentre con voce da svegliare i sordi

qualcuno ulula strofe sulle negre

chiome e i seni perfetti

di chi sa quale bella.

 

È tramontata ormai l'ultima stella

e da tempo lavora il panettiere

davanti all'arso forno.

 

Trangugiando spaghetti e pecorino

c'è chi ancora vuol bere

a causa – dice - del peperoncino

che in troppa copia si buttò nell'olio.

 

Dalle finestre il sole irrompe, è giorno:

uno ad uno gli amici se ne vanno

l'ultima mendicando sigaretta.

 

Con la bocca che sa un po' di petrolio

mi addormento senza levarmi panno.

 

Una sera perfetta.

 

        

    E' convinto che le religioni organizzate siano la peggior disgrazia capitata in sorte all'umanità.

 

“Una religione organizzata comporta l’insofferenza per il diverso che diventa nemico da distruggere. Per questo nascono le “guerre sante” di cui è piena la storia passata  e il presente. Nella realtà chi ha il potere ha soltanto motivi economici, il fatto religioso serve solo perché le masse si autogiustifichino.”

 

Da: Storia di un anno (1988)

 

E d’altro ancora – XII

 

E sostengono d'essere sicuri

del cielo, e di che cosa ci stia dietro.

Bevono sabbia al posto d'acqua, certi

che nel miraggio è l'unica realtà.

 

Tetragoni a ogni briciola di dubbio,

spargono inarrestabili melassa

di vuoti verbi, fatue formulette

con alla base la parola amore.

 

Magico nome, cornucopia eterna

da cui cavare insieme il tutto e il niente,

benda per ogni piaga, foglia d'edera

a coprire vergogne innominate!

 

Per te costoro uccidono, in tuo onore

sfregiano bruciano girano la ruota,

coperti dal tuo manto, l'un con l'altro

si compiacciono d'essere perfetti.

Eppure a loro, come a tutti, è sorte

la polvere, il silenzio, il vuoto, il niente.

 

    Non possiede televisione né telefonino. Parla correntemente l'italiano e il dialetto veronese.

    

Scrive poesie e disegna fin dalla seconda media, quando fu rimandato in disegno e una malaccorta insegnante di italiano pensò bene di fargli comporre i primi versi.

 

      Le poesie gli nascono dentro di solito con un verso che spesso è anche quello iniziale. Poi lentamente si formano e, alla fine, non hanno quasi mai bisogno di correzioni.

Di frequente usa la metrica in modo raffinato per cui leggendole si avverte un  ritmo che trascina con dolcezza, come una musica di cui sembra quasi di avvertire il tempo. A volte delicatamente suggerisce versi conosciuti come approccio per avvicinarci alla sua ispirazione.

   

Da: Versi da Venezia (1982)

Sonetti - VI

 

Andremo ancora, Federico, andremo

su in montagna tra i boschi a passeggiare;

ci alzeremo al mattino e sentiremo

vento tra i rami ed uccelli cantare.

        Ancora buffe storie inventeremo:

gufi e civette che sanno parlare,

un pipistrello cieco e mezzo scemo,

un gatto che non sa mai dove andare.

        Scriveremo anche un sacco di canzoni

che così belle nessuno le ha scritte.

E poi in piazza, sotto gli ombrelloni,

        tu mangerai le patatine fritte,

io mi berrò la birra a bicchieroni

tra parole e risate fitte fitte.

 

 

Da: Il mio problema è diventare grande (1999-2000) 

 

 

Istruzioni per la lettura ad alta voce

 

Se mai un giorno dovessero esser dette

ad alta voce,

le mie poesie hanno da esser lette

pacatamente,

senza enfasi alcuna e senza l'urlo

che dai precordi salga a impersonare

chi sa quale profondo sentimento.

 

Sono versi un po' pigri, raccontarli

con familiare ritrosia bisogna,

fingendo un chiacchiericcio conviviale

che ha il solo scopo di tirare in lungo

la serata e il bicchiere.

 

Se alle volte un pochino di dolore

fa capolino, regola sicura

è far finta di niente. Tanto, passa.

 

Rispettate però la prosodia

(se vado a capo ci sarà un motivo),

non vi fate attirare nel tranello

dei fin troppi frequenti enjambements.

 

Io, nei miei versi, voglio che si senta

lo spazio bianco che rimane a destra:

è quello il vuoto in cui devo tuffarmi

ogni volta, a cercare la mia perla.

 

 

    Ha iniziato a comporre canzoni e ad esibirsi in pubblico alla fine degli anni ‘60. Ha anche fatto parte dei gruppi Canzoniere Veronese e Sarabanda.

 

Racconta che si è avvicinato alla musica per un suo difetto: da piccolo era stonato.

 

Bravo ragazzo, faceva parte dei boys scouts che usano il canto tra le maggiori forme di socializzazione. Nicola era piuttosto stonato, non potendo seguire i compagni nei repertori altrui, cominciò a scrivere sue canzoni per chitarra: tre accordi, le parole e la sua canzone era fatta e quella gli “veniva bene”.

 In realtà con l’esercizio, nessuno è stonato. Nel corso degli anni poi è andato a lezione di strumenti presso gli amici e tuttora sta facendo un corso di musica elettronica al conservatorio “perché la musica mi piace e mi diverte”.

 

“Il Nuovo Canzoniere veronese è cominciato negli anni ‘73/74 quando mi sono unito a loro erano già in 4. Aveva lo scopo di cantare canzoni politiche. All’epoca però canzone politica voleva dire anche canzone popolare. Il gruppo aveva una struttura a “fisarmonica”, “in un momento erimo in diese, in un altro in quatro a seconda de ci ghe n’avea voia”. Capitava anche di cantare canzoni nostre. “Semo andè avanti par tri quatro ani po l’è morto di morte naturale”. Il Canzoniere aveva avuto anche, al limite, un buon successo perché “alora ale feste dell’Unità no se fasea solo liscio”.

 

Sarabanda è nato come gruppo rock negli anni 80. Si è sciolto perché alcuni componenti volevano fare qualcosa di più professionale mentre ad altri importava divertirsi. Inoltre nei gruppi ci sono sempre tensioni interne che a volte sono difficili da controllare, come insegna la storia dei vari complessi “anche mondiali”.

 

Ha composto canzoni e musiche per spettacoli teatrali e di danza.

    Nel 1995, con Claudio Moro, il Tu Whit, Tu Whoo Trio ed il contrabbassista Gianni Sabbioni ha inciso un cd intitolato I filosofi pigri, ormai introvabile.

Se qualcuno peraltro ritenesse tale cd indispensabile alla propria crescita spirituale, Nicola ne ha ancora qualche copia in cantina e sarà lieto di privarsene.

 

Commiato dell’Artista:

 

Da: Versi e versioni (2002)

 

Canzone di benvenuto

 

benvenuto nel tempo

della guerra infinita

dove quello che conta

non è certo la vita

benvenuto nel mondo

di ingiustizia infinita

dove se non hai soldi

non hai neanche la vita

benvenuto fra noi

e se non sai chi sei

chiudi gli occhi e vedrai

tutto andrà meglio

 

benvenuto nel tempo

della terra finita

non c’è dove fuggire

per rifarti una vita

benvenuto nel mondo

dell’attesa finita

non verrà un redentore

a salvarti la vita

benvenuto fra noi

e se non sai chi sei

chiudi gli occhi e vedrai

tutto andrà meglio

 

benvenuto nel tempo

della storia sfinita

dove nessun eroe

darà un senso alla vita

benvenuto nel mondo

della luce sfinita

dove una stella spenta

guiderà la tua vita

benvenuto fra noi

e se non sai chi sei

chiudi gli occhi e vedrai

tutto andrà meglio

 

 

NOTA di Nicola.

 

 L’arte è fare un’opera che quando arriva ad un gruppo di persone, ” ma le podària anca èssar do o tre”, fa dire: l’autore è riuscito a dire qualche cosa che mi meraviglia, mi arricchisce e in qualche modo mi completa.

Il nocciolo della questione è che l’arte è una cosa straordinaria perché non vuol mai dire la stessa cosa per persone diverse. Il grande artista es. Dante, al di là dei paraocchi che poteva avere come uomo dei suoi tempi riesce a dirmi di più di un chiunque contemporaneo che mi è più vicino per esperienze.

In Dante c’è qualcosa che in qualche modo supera il suo tempo.”

 

L’Arte a Verona. Il mondo artistico di Verona non può esistere. Una teoria ormai confermata dai fatti è che se uno vuole fare l’artista deve andare via di qui. La città è apparentemente aperta ma in realtà è chiusa più di un riccio e non dà nessuno spazio. Tutti quelli della mia generazione : Manara, Stoppa, Bubola… per farsi conoscere hanno dovuto emigrare. Da noi non c’è la morte intellettuale, ci sono molte persone che suonano dipingono scrivono, e anche bene. Però qui come artista puoi solo sopravvivere, non devi illuderti di camparci. Salazzari ad esempio, restando a Verona, non ha fatto neppure lui quello che avrebbe potuto fare. Ha tentato di andarsene un paio di volte, rimanendo è stato come ingabbiato. “

 

Da: Versi e versioni (2002)

 

Valeas per saecula semper

 

Amo e odio questa città straniera

e pure mia.

 

Le sue splendide pietre e i suoi mattoni,

lo stupefatto grido dei gabbiani,

il gracidìo di tanti ciarlatani,

i silenzi e le occulte collusioni.

 

Amo e odio questa città straniera

e pure mia.

 

   

Versi

 

Da: E d'altro ancora (1988) 

 

VII

 

 

Non sfuggire la domanda ossessiva

su chi o cosa ci spinge pellegrini

in questa valle di dolore e morte.

 

Ma non cercare comode risposte:

contemplala, sapendo che c'è il vuoto

dietro di lei, che non avrai conforto

da nessuna parola, che è il suo scopo

e la sua verità stagliarsi netta

contro il nostro orizzonte, eterna e indenne

da speranze o paure.

 

 

XIV

 

 

Quando leggi la storia, ed i momenti

eroici o di tragedia che negli anni

scandiscono le vite ed il sapore,

immagini te stesso navigare

tra le onde di quei giorni, e avere in mano

almeno per un poco uno dei fili

di cui la trama del tempo è tessuta.

 

Ma poi riguardi i tuoi giorni, i tuoi anni

ed anche in loro leggi quei momenti

e tu che in mezzo ti muovevi e quanto

spensierato. E ti si fa più chiara

la casualità tremenda, il gioco cieco

che tra sé e sé si giustifica e vive

e che soltanto dopo puoi sapere.

 

Così che la tua parte nell'andare,

piccola o grande, la sai solo dopo

quando ormai non ha scopo la coscienza

se non per un inutile rimpianto

e per l'eunuca lotteria dei se.

 

Da: Il mio problema è diventare grande (2000) 

 

 

19

 

Qualunque mare tu abbia attraversato,

qualunque sia la strada per tornare

a casa, qual che sia l'apprendistato

da cui non hai più niente da imparare,

 

la verità è una sola da capire:

sei tu il re pescatore, il dio ferito

che, non sapendo più come guarire,

cerca la lancia con cui fu colpito.

 

E la piaga che hai sotto il costato

se ne sta lenta lì ad incancrenire,

fiore rosso che puzza di marcito,

gioco giocato senza mai giocare.

 

Non vedrai più lo ieri che è svanito

e del domani è inutile parlare:

ogni giorno è un istante abbacinato

che è già finito prima di finire.

 

 

Da: Intellettuali disorganici (2001) 

 

22

 

Certo il pallido principe ha ragione,

nel suo contorto modo,

ed anche la farfalla che mi sogna

una ragione sua ce l’ha.

 

Ma anch’io una mia ragione

in non so quali meandri perduta

dovrei avercela.

 

E se questa mia inutile ragione

contasse qualche cosa

non scenderebbe Ofelia annegata

lungo il fiume,

né quel battito d’ali su New York

diventerebbe tifone su Hong Kong.

 

 

Da: Versi e versioni (2002) 

 

 

Don Giovanni

 

 

Ma perché mai deve essere punito,

il dissoluto?

 

Perché i legami

con industriosa fatica ha spezzato,

scrostando via da sé tutto l’untume

che ipocriti nei secoli han secreto.

 

C’è rischio – converrete – del contagio.

 

Ecco perché deve essere punito

il dissoluto.

 

   

Filastrocca per andar via

 

se avremo ancora scarpe

cammineremo ancora

se avremo ancora fiato

ancora canteremo

se avremo sogni in tasca

li sogneremo ancora

se la fiasca avrà vino

ancora si berrà

 

se avremo ancora amici

li incontreremo ancora

se avremo ancora pane

ancora mangeremo

se avremo ancora amanti

le baceremo ancora

se in tanti noi saremo

la festa si farà

 

 

Canzoni

 

Altre occasioni 

 

Lasciamo che le ore si consumino

In questi sguardi e gesti lenti e buoni,

Seguendo tracce di istanti felici,

Abbandonando le nostre illusioni.

Languido giocherella col tappeto

Il gatto che ci guarda pensieroso;

Soffusa la penombra porta doni

Al tuo sorriso un poco misterioso.

     Avremo forse ancora altre occasioni,

     Nuove amiche stagioni,

     Nel tempo che ci si stende davanti.

     Andremo forse ancora senza scopo

     Lungo i viali del gioco

     Inseguendo fantasmi di tramonti.

     Speranza forse, forse vano errore,

     Alibi di un ennesimo pudore.

 

Lucidamente parchi di parole,

Inventiamo quel poco di calore

Solo in grado di dare a questi giorni

Almeno una parvenza di sapore.

Limitiamoci a questo e non cerchiamo

Inutili ancoraggi duraturi.

Solitudini per un poco unite,

Amiamoci e non costruiamo muri.

     Avremo forse ancora altre occasioni,

     Nuove amiche stagioni,

     Nel tempo che ci si stende davanti.

     Andremo forse ancora senza scopo

     Lungo i viali del gioco

     Inseguendo fantasmi di tramonti.

     Speranza forse, forse vano errore,

     Alibi di un ennesimo pudore.

 

 

Notte 

 

 

Odio la notte quando solitario

cerco nel sonno pace e non la trovo

e il patimento antico si fa nuovo,

quando il sogno è dolore

che distrugge ogni suono e ogni colore

e muta la speranza nel contrario.

Odio la notte quando per le strade

passa triste signora la paura

e su se stessa la città si indura,

quando, chiuse le porte

per tener fuori l'odore di morte,

ottusa angoscia l'animo pervade.

 

Amo la notte quando canta in gola

il vino buono e brilla nei bicchieri,

e i gesti ridiventano sinceri,

quando, quasi felici,

una canzone stringe vecchi amici

nell'abbraccio che scalda e che consola.

Amo la notte quando si accompagna

a un corpo caldo, a una fresca risata,

a gesti antichi, a gioia ritrovata,

alla limpida ebbrezza

che addolcisce nell'ultima carezza

come il cielo al tramonto su in montagna.

 

 

 Allegoria 

 

 

Il figlio della vecchia Imperatrice

ha un Drago tatuato sopra il cuore,

simbolo antico del potente Impero

e per lui fonte di grande dolore.

Per cercare di farlo scomparire

un gran pezzo di pelle si è levato,

ma inutilmente: appena che è guarito,

il simbolo del Drago è ritornato.

          Ha fatto un viaggio fino al grande Nord,

          alla dimora del potente mago,

          ma neanche gli incantesimi più forti

          hanno potuto cancellare il Drago.

 

Ha conosciuto tutte le osterie

e si è ubriacato per dimenticare,

ma perfino da ubriaco fatto

l'ombra del Drago lo stava a guardare.

Tutto il mondo ha girato in lungo e in largo,

cambiando spesso costumi e linguaggio,

ma più forte che mai rimane viva

la coscienza di sé e del suo lignaggio.

          L'Impero non c'è più oramai da un pezzo,

          finiti ormai la gloria e lo splendore,

          e lui non riesce a scrollarsi di dosso

          quel Drago che gli pesa sopra il cuore.

 

 

Canzone del giovane poeta 

 

 

Il futuro si presenta difficile

in questa notte delle vacche grigie:

ombre infernali escono dal fango

delle paludi stigie.

Barbari senza volto e spade acute

aprono al sangue nuove orrende strade

tra le membra attrappite di una stanca

civiltà che decade.

          Ma il giovane poeta impiccato

          dondola senza rumore

          lontano dai coltelli della storia.

          Insegue altre farfalle, un altro prato,

          certo della vittoria,

          tanto è una volta sola che si muore.

 

Lunghi pallidi fiori di speranza

tralucono per fragili momenti

per poi volare, cenere nel vento,

sopra bracieri spenti.

Silenzi antichi corrono nel cielo

a nascondere verità evidenti,

annichilendo chi vi sta aggrappato

con le unghie e coi denti.

          Ma il giovane poeta impiccato

          dondola senza rumore

          lontano dai coltelli della storia.

          Insegue altre farfalle, un altro prato,

          certo della vittoria,

          tanto è una volta sola che si muore.

 

 

 De Angelis (non est disputandum)

 

 

non parlerò di angeli   non saprei cosa dire

di danze sugli spilli   di arpe cetre e lire

            non parlerò di angeli   non so niente di ali

            di eserciti celesti   di nemici infernali

 

posso dirvi di donne   di uomini e bambini

posso dirvi di asini   di gufi e di pinguini

            posso dirvi di sere   di risa vino e canti

            di amori disperati   di flebili lamenti

 

posso dirvi di schiene   schiantate dal lavoro

e posso dirvi della   fame orrenda dell’oro

            posso dirvi di eroi   di poeti e banditi

            di viltà e di coraggio   di ideali traditi

 

vi posso raccontare   di me e della mia vita

di gioie e delusioni   che ho stretto fra le dita

            vi posso raccontare   dei libri che ho sfogliato

            e dirvi di quel poco   che a fatica ho imparato

 

ma non vi parlerò    di angeli e di santi

del vecchio dio barbuto    di madonne piangenti

            ci son più meraviglie    qui in mezzo a noi mortali

            di quante si suppongano    nei cori celestiali

 

 

 

Disegni

 

Crocefissione 1970

 

Eolo 2002

 

Tramonto al fiume 2002

 

Il volo della fenice 2003

 

Mare d'inverno 2003

 

 

 

Bibliografia

La vita è bivio

La vita è Bivio, versi 2017-2018, pag.221, Bonaccorso.

 

 

Amori, 2017, pag.129, Bonaccorso.

 

Anni d'apprendistato, 2014, pag. 232, Bonaccorso.

 

 

 

Il gatto Marameo, 2013, pag. 40, Scripta.

 

 

Versi, pag. 115, 1988,1989, Bonaccorso.