Rigo Carlo, medico.
E’ nato a Valeggio sul Mincio
ultimo figlio maschio di cinque
fratelli.
La famiglia possedeva in zona dei terreni e nella
piazza principale
un piccolo negozio di generi alimentari con annesso un forno per il pane.
La madre, rimasta vedova quando i figli stavano ancora studiando, ha fatto quanto era possibile per la loro riuscita . “Aveva venduto certi suoi campi sul Monte Ogheri per far studiare i figli.”
Alunno dell’Istituto Don Bosco,
ha frequentato la prima parte
del Liceo Classico a Verona e lo ha completato a Torino. Infatti, a quei tempi, a Verona
le ultime classi
del Liceo Don Bosco non c’erano.
Si è laureato in medicina presso
l’Università di Padova . Il
suo sogno era di specializzarsi in Chirurgia ma la situazione famigliare gli imponeva di lavorare
subito.
Durante la seconda guerra mondiale
ha prestato servizio come
ufficiale medico nel corpo dei paracadutisti, prima in Sardegna e poi con le Forze armate
italiane a fianco
degli alleati americani anche nella presa di Montecassino.
In quei tempi fare un’iniezione intramuscolare
veniva vissuta
dalla sua truppa come una cosa pericolosissima e lui per tranquillizzare gli animi dava
l’esempio!! Poi tutti lo seguivano tranquillamente.
Dopo la guerra ha cominciato a
lavorare come medico sostituto
nei paesi del Lago di Garda , a metà degli anni quaranta è diventato medico condotto a Mezzane
di sotto. Era
solito dire “ Arte più misera, arte più rotta non c’è, del medico che va
in condotta”.
Quali erano i compiti di questa figura che ormai si
è dimenticata?
1) Curare i “poveri” del Comune.
2) Fare tutti i tipi di assistenza comprese le lunghe cure di iniezioni endovenose che si usavano allora, i piccoli interventi chirurgici: toglieva anche schegge negli occhi, il far nascere i bambini del luogo.
La professione veniva svolta a tutto campo
perché, a quei tempi, andare all’ Ospedale era un fatto
poco accettato dalla gente.
3)Nel suo caso, era anche medico del preventorio
pediatrico,
un istituto in cui si trovavano bambini i cui genitori
si erano ammalati di tubercolosi.
Ai primi del 1950 è arrivato a San Martino B.A.
La sua giornata di lavoro era
organizzata nel seguente modo:
La mattina, poco dopo le 8, cominciava le visite a
domicilio che
terminava verso le 13.
Era un uomo assolutamente
morigerato per cui dai suoi clienti
non accettava niente, se non, eventualmente, l’unico caffè che prendeva
la mattina.
Nel primo pomeriggio ancora visita
a domicilio, e poi cominciava l’ambulatorio che e non
se non
quando anche l’ultimo paziente non era stato visitato. Se di notte c’era un’ urgenza
correva dove era
chiamato trattenendosi fino a quando il problema non era risolto.
Una volta che la famiglia era
appena tornata dalle ferie, le valige
si trovavano ancora in entrata, avevano telefonato che una sua paziente stava per partorire e
lui, senza
mangiare neppure un boccone, era partito alle 8 di sera per ritornare alle 8 di mattina.
In un’altra famiglia del circondario la sposa
“vedeva le strie”
allora gli telefonavano a qualsiasi ora di notte e lui
partiva per rassicurare, calmare, curare.
Nei mesi non invernali si spostava con
la sua vecchia
bicicletta. Chi
non se la ricorda? Risaliva alla fine della guerra: era massiccia, da uomo, nera , uno
scotch variopinto
proteggeva la canna a cui agganciava il vecchio borsone pieno di campioni di medicine, degli
strumenti da
lavoro e con il ricettario.
Non la chiudeva mai per cui, a volte, non la trovava
più: qualcuno
se ne era servito, poi però la lasciava
dove
l’aveva presa. Il rispetto per il proprietario era troppo
grande per fargliela sparire per sempre.
Una volta essa ritornò dopo un’assenza di una
settimana : fu
trovata in Piazza del Popolo appoggiata al muro della banca. Questi ritrovamenti erano una
fortuna perché in
famiglia si pensava che senza la sua fedelissima compagna si sarebbe trovato assolutamente
sperduto: non ce
n’era né ce ne sarebbe stata un’altra come lei! Anche adesso lo aspetta nel garage di casa.
D’inverno con le nebbie si
spostava nei primi tempi con la Topolino, in seguito con la 500.
Professionalmente continuava ad aggiornarsi. Durante le vacanze portava con sé le riviste scientifiche in modo di recuperare conoscenze che non aveva potuto coltivare nel periodo di lavoro. Verso la fine della professione frequentava i corsi di aggiornamento che venivano proposti a Verona.
Le diagnosi non gli erano difficili perché conosceva in modo approfondito la storia di tutta la famiglia che curava, quindi dai sintomi riusciva a capire se si trattava di una malattia “di stagione”o di qualcosa di ben più grave.
Il dentista era un’altra specialità della
professione che
avrebbe voluto fare. Negli anni 50/70 chi in paese doveva
togliersi un dente avrebbe dovuto andare a Verona e allora ci si rivolgeva a lui che intrepidamente affrontava
anche il dente del giudizio più grosso e radicato. Purtroppo non era favorevole a somministrare gli anestetici
locali che non riteneva indispensabili all’ intervento. Anche in questo campo però, non accontentandosi
di fare “il cavadenti”, col tempo era arrivato ad un accordo con uno studio dentistico di Verona
dove si recava per apprendere le tecniche più attuali. Naturalmente questo aggiornamento andava ad aggiungersi
ad un monte ore di lavoro già pesante.
Era uno sportivo: appena arrivato
a San Martino fu per un paio di anni presidente di una società di calcio per dilettanti.
In seguito gli impegni di lavoro lo costrinsero a
rinunciare
all’impegno.
Era dotato di grande coraggio personale che non amava
sbandierare: durante un’ estate nelle nostre campagne un giovane si rinchiuse
in casa armato di fucile minacciando di uccidersi. Chiamato sul posto, con la forza della persuasione,
riuscì a risolvere tutto positivamente, ma la Sig.ra Maria , sua moglie, che era al mare, lo apprese solo
dall’
Arena!!!
Amava con straordinario trasporto
i bambini e gli anziani verso
i quali mostrava una pazienza infinita.
Verso la fine della carriera erano
cambiate le regole: non c’era
più obbligo di alzarsi di notte,c’era la guardia medica il sabato e la domenica: gli pareva,
quasi, di non lavorare
più.
La pensione nel ’87 lo colse, in
un certo senso, impreparato: aveva lavorato tutta la vita a contatto stretto con la gente e ora doveva
riposare perché, purtroppo, il sistema del servizio sanitario nazionale obbligava anche i suoi più affezionati
pazienti a lasciarlo.
Il profilo del Dott. Carlo Rigo è stato raccolto dalla viva voce della Dott.ssa Maria Carcereri De Prati consorte del dottore per più di quaranta anni.
Maggio 2003 - A cura di A. Solati