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Sergio
Spiazzi –
Architetto ed
Artista.
E’
nato a San Martino B.A. il 22 settembre 1952. Si é laureato in architettura a
Venezia presso l’IUAV nel 1977. Dal 1982 è insegnante di ruolo di storia
dell’Arte e di Linguaggi non verbali con cattedra al Liceo Pedagogico e delle
Scienze Sociali “Carlo Montanari” di Verona, con incarico di Vicario.
E’
ricercatore, studioso del territorio veronese, curatore di mostre e di
pubblicazioni a carattere storico ed architettonico soprattutto sul Comune di
San Martino B.A., collaboratore storico dal 1986 della rivista locale “Qui S.
Martino”. Ha realizzato progetti e maturato esperienze nel campo del restauro architettonico su beni con vincolo monumentale ed ambientale alla Musella tra cui la Villa Musella e pertinenze (1987-90), Cà Monte, La Tenda, Le Ferrazzette, La Cengia ed altre.
Villa Musella, prospetto degli Imperatori Romani dopo il restauro del 1987-1990.
Ha
esperienza nel campo della rilevazione architettonica e dei Beni Ambientali
(1989).
Per
chi conosce Sergio questo è solo l’aspetto professionale ufficiale; ma i suoi
interessi, le sue attività, le sue opere, dimostrano anche che ci troviamo di
fronte ad un personaggio sempre alla ricerca di scoprire, studiare e realizzare
qualsiasi cosa abbia a che fare con l’arte, in ogni sua forma ed espressione,
con l’ingegno, con la storia. Il tutto in uno spirito di creatività dove le
immagini sono viste come mezzo di comunicazione di sentimenti e vibrazioni. Il suo archivio di documenti riguardanti il paese di S. Martino, soprattutto per la parte storica e urbanistica, è ricchissimo.
“RITRATTO
DELL’ARTISTA DA GIOVANE”.
Premessa.
A
San Martino, tra il ‘70 ed l‘80, molti giovani cercavano di esternare con
qualsiasi forma la vena artistica del momento (pittura, scultura, poesia,
teatro, ecc..). L’itinerario per alcuni è proseguito nel tempo,
per altri si è chiuso con l’arrivo della maturità.
Sergio ha proseguito il suo percorso, mosso da un istinto interiore che
è la “riserva” delle menti “speciali”, che lavorano incessantemente per
costruire con le loro mani qualcosa di duraturo.
Racconta:
“Sono
nato di fronte al caffè Roma, praticamente in Camillion, zona centrale e
storica del Paese, era un luogo bellissimo: il suo cuore pulsante.
A
quattro anni sono stato costretto ad andare all’asilo: un posto per me odioso
dove delle mura ed un cancello ti rinchiudevano, dovevi mangiare, dormire,
giocare ad un’ore stabilite, e
per un tempo determinato. Io
praticamente rifiutavo il cibo, partecipavo alle attività perché “il non
fare” non mi appartiene, ma era come fossi un
“estraneo”.
Forse
questa esperienza ha creato in me il determinato rifiuto a tutto quello che può
coartare il mio modo di essere, è vero che detesto i contrasti violenti, anche
verbali, ma non si deve pensare di costringermi a fare quello che è contro le
mie convinzioni, mi metto in disparte: agli altri assumersi la responsabilità
delle loro scelte.
Quando
ho cominciato a frequentare le scuole elementari mi sono trovato meglio. E’ di
quel periodo, seconda elementare, un ricordo importantissimo: la mia maestra mi
disse: “ Sai che sei bravo a disegnare? Dovresti fare il Liceo Artistico.”
In
verità la passione per i capolavori architettonici avevo cominciato ad averla
ancora a cinque/sei anni in seguito ai viaggi che facevo con i miei per andare a
trovare degli zii che abitavano nei dintorni di Roma. I grandi monumenti della
capitale, le tombe etrusche dell’agro romano, destavano nel topolino di
campagna che ero io, una grande meraviglia ed ammirazione.
Quella
frase, quindi, mi fece piacere perché mi mostrava la strada che avrei potuto
seguire per coltivare le mie inclinazioni.
Verso
la fine delle elementari accadde un altro episodio che mi suggerì un ulteriore
interesse: il maestro che avevo allora ci fece svolgere una ricerca sul nostro
paese. Mia nonna teneva nel cassetto il libretto dello Stegagno che io lessi con
grande passione ed entusiasmo. Tutti quelli avvenimenti
storici avvenuti dalle nostre parti mi spinsero a fare ricerche sul territorio
per cercare reperti, documenti di qualsiasi tipo da raccogliere e conservare e
da allora non ho più smesso di farlo
Proseguiamo.
Ancora
all’inizio degli anni sessanta, finite le elementari, si potevano proseguire
gli studi in due indirizzi: l’avviamento che frequentavano gli asini o i
poveracci perché alla fine del terzo anno l’unico sbocco era il lavoro e la
scuola media che permetteva di “andare alle superiori”.
Quando
io finii le elementari una riforma abolì l’avviamento e introdusse la scuola
media unica, se questo non fosse avvenuto il mio futuro sarebbe stato fare la
strada più breve ed andare a lavorare.
La
media unica di San Martino partì usando le aule del catechismo della
Parrocchia, l’edificio dell’attuale biblioteca e due stanze a sinistra sulla
facciata della sede municipale.
Io
la frequentai in modo piuttosto brillante. Intanto continuavo ad approfondire la
mia conoscenza del paese. Mio padre mi prestava la macchina fotografica di
famiglia, grande concessione di un oggetto prestigioso, e io partivo in
bicicletta a fotografare corti, mulini, capitelli … Nel mio archivio conservo
anche l’immagine della segheria al Ponte nel momento in cui la stavano
demolendo nel 1967.
Adesso
il concetto di conservare la memoria di quello che sta scomparendo è piuttosto
scontato, ma allora l’immagine di edifici ormai inutili o fatiscenti che
venivano eliminati non interessava a molti. Contemporaneamente, siccome la vita “culturale” di noi ragazzi gravitava attorno alla Parrocchia, cominciai a fare ricerche “sul campo”. Passavo i pomeriggi a farmi raccontare da Silvio ( il nostro sacrestano) tutto quello che c’era da conoscere sulla struttura interna della Chiesa e sulle variazioni avvenute nel tempo. Facevo tutte le misurazioni possibili, anche l’altezza del campanile, con strumenti artigianali ma piuttosto precisi. E disegnavo, disegnavo, disegnavo…
Terminate
in modo molto soddisfacente le medie, a casa mia si decise di “mandarmi avanti
ancora”. Purtroppo allora il Liceo Artistico era privato e pagare la retta
richiesta, per noi era improponibile. Mio padre ci ragionò sopra e disse:
“Vai a fare cinque anni di geometra, col diploma potrai disegnare e fare tutte
le case che vuoi”.
Restai
iscritto al Cangrande per cinque, sei mesi in cui mi dedicai a fare la figura
dell’incapace in ogni verifica. Il tipo di studi non mi andava giù, per non
ammalarmi mi ritirai.
Trovai
un lavoretto, per pochi giorni, in una ditta che era convenzionata con la Marina
per cui ogni suo apprendista veniva poi arruolato in questo corpo, così, quando
fu il momento, la mia naja durò quasi due anni.
In
quel periodo di crisi, per non pensare troppo a quale sarebbe stato il mio
futuro, la mattina giravo in bicicletta nei dintorni fotografando e disegnando.
Un’altra occupazione era imparare a suonare la chitarra. Avevo già avuto
lezioni di solfeggio dal maestro Lapolla che mi voleva far suonare il clarinetto
nella banda, ma io e la divisa….. comunque le basi le avevo. Il mio amico
Luciano mi insegnò a suonare anche l’organo. E pensare che sono stonato, ma
mi sono impegnato con la massima costanza, come faccio quando una cosa mi
interessa.
E
capitò di nuovo l’imprevisto: a settembre il Liceo Artistico diventò statale
e io mi ci potei iscrivere.
Sono
stati anni belli, mi si è aperto un mondo davanti che non era più provinciale
perché la scuola, che allora era l’unica del Veneto occidentale, raccoglieva
studenti da molte città, tantissimi li ho ritrovati a Venezia.
Contemporaneamente
continuavo il mio stretto contatto con la Parrocchia: tra l’altro mi occupavo
del Cinema parrocchiale.
Avevo
cominciato da ragazzino, vendendo gazzose e brustolini, poi ero passato vendere
e strappare biglietti, infine ero diventato l’operatore. Era un lavoro che
portava via molto tempo, ricordo che il mercoledì sera mi passavo tutta la
pellicola perché fosse a posto per la domenica.
Nelle
vacanze del terzo anno andai a lavorare in un grosso studio di architettura a
Verona, per un mese come volontario e poi a pagamento perché erano contenti di
me visto che ero veloce a riportare
esattamente i vari progetti in scala. Allora non c’erano le fotocopiatrici, si
doveva fare tutto a mano. Le vacanze dell’anno seguente le passai a Bardolino
nella villa dello stesso architetto a disegnare.
Intanto
Gianni, un amico più vecchio di me che frequentava il cinema “dei preti”,
mi parlava delle sue esperienze di iscritto ad Architettura all’Università di
Venezia e mi faceva vedere quella Facoltà non più come un sogno nebuloso ma
come una cosa che si poteva fare.
Sempre
in quarto anno don Peroni mi commissionò il progetto per il nuovo altare
maggiore della Parrocchia e non gli passò neppure per la testa di ricordarmi
che ero cresciuto in Parrocchia ecc. ma mi pagò regolarmente.”
Nel
1971 Sergio prende il diploma e si iscrive alla Facoltà di Architettura di
Venezia. Finalmente è arrivato dove si proponeva, tutto tranquillo allora?
Niente affatto.
“Il
voto di maturità non fu esaltante, forse avevo presunto troppo dalla mia
preparazione, ma più di tutto avevo
un quantità di stimoli nuovi che mi occupavano la testa, eccone alcuni:
Il
Teatro.
In
Parrocchia un gruppo di giovani aveva cominciato a preparare un testo teatrale:
CRISI 71, opera di uno di loro: Paolo. Era un ragazzo che conoscevo da tempo e
che mi invitò ad occuparmi della scenografia. Poteva sembrare una occupazione
che portava via poco tempo, invece tra l’attuazione del lavoro, le prove ed il
coinvolgimento emotivo del soggetto, mi assorbiva molto.
Dalle
discussioni nate dal testo si cominciò a parlare del nostro stare di giovani,
della società etc.. insomma si finì per discutere di “politica”. Così
l’ambiente parrocchiale ci divenne stretto, ne uscimmo e trasferimmo la nostra
sede sotto i cedri in piazza.
Quante
serate abbiamo passate su quelle panchine, magari a litigare su un pittore, un
musicista, la guerra del Vietnam….!!!!! A volte si fermavano con noi quei
singolari artisti che sono Fausto De Marinis o Corrado Brà. I nostri
concittadini ci guardavano con
diffidenza.
Sulla
politica ci tornerò più avanti, ma quelli furono i nostri primi passi
in quel campo.
Crisi
’71 andò in scena quell’anno a San Martino ma anche a Verona al Teatro
delle Stimate.
Nel’72
facemmo uno spettacolo di testi e musica contro la guerra. La scenografia
costava e ce la cavammo con mie diapositive che creavano un clima onirico
suggestivo.
Collaborai
all’esperienza teatrale, anche come esecutore delle musiche, fino al ’74
quando andai a fare il militare.
Finanziava
i nostri lavori il benemerito Circolo culturale con i proventi del Cineforum
che, allora aveva più di 250 iscritti.
La
Pittura.
Disegnare
mi è sempre piaciuto. Mi divertivo a copiare a china vari fumetti, anche quelli
di Crepax ingrandendoli, io stesso
ho fatto qualche storia per il giornale del Centro Mazziano e sono stato il
caricaturista ufficiale del foglio di un partito che, allora, era
all’opposizione.
Per
dimostrare a me stesso che non ero soltanto un bravo copiatore ma che potevo
sbrigliare la mia ispirazione e fare quello che volevo, ho forzato la mia natura
producendo con varie tecniche quadri figurativi. Avevo un mio piccolo studio
dalle parti del ponte del Cristo. Però questo stile non mi era consono e nel
’71 mi trovai proiettato nell’astrattismo che sentivo rispondere alle mie
inclinazioni e mi misi a lavorare più che potevo. Nel Dicembre del ’71 ho partecipato alla prima collettiva di pittori sanmartinesi organizzata dal Circolo culturale nel salone di ingresso delle Scuole medie. Queste collettive sono continuate fino al ’75, in quella occasione, per esserci sono venuto apposta da Monfalcone dove ero finito di stanza.
Sergio Spiazzi premiato alla mostra delle arti visive del 1971, promossa dal Circolo Culturale di San Martino B.A.
Ho
esposto anche in altre mostre di cui tre alla Loggia di Fra’ Giocondo.
Durante
il servizio militare in Sardegna ho partecipato all’esecuzione dei murales di
San Sperate.
Murales di San Sperate, 1975. Trittico: Felicità iniziale, oppressione attuale, ricerca di liberazione. La figura in primo piano è “Felicità iniziale”. Sulla scala si intravede l’Arch. Sergio Spiazzi al lavoro per la realizzazione del trittico.
Agli
inizi degli anni ’80 su invito del celebre Finotti ho esposto un quadro in
Castelvecchio per la manifestazione :”100 migliori opere di artisti
veronesi”.
Poi
con la pittura ho chiuso: mi ero laureato, insegnavo e soprattutto mi ero
accorto che i miei quadri diventavano sempre più simili “ad un progetto di
architettura”.
Come
ho detto quelli erano stati alcuni dei motivi della mia “quasi” crisi
scolastica: gli interessi che condividevo con gli amici del Paese mi sembravano
infinitamente più reali e stimolanti.
Nel
1974 a metà del corso universitario sono partito per fare il militare. Mi hanno
inviato in Sardegna. E’ stata un’esperienza bella ma anche di sofferenza. Mi avevano destinato alla capitaneria di porto di Cagliari come furiere microfilmista, cioè a fare il fotografo di microfilm, documenti ecc. e a stamparli. Era un lavoro che sapevo già fare perché a 17 anni mi ero comprato un ingranditore che mi serviva per le mie ricerche. Come microfilmista ora avevo un sacco di materiale a disposizione per fare tutte le sperimentazioni che volevo: pellicole, acidi, carta. Sapevo già sviluppare e stampare in bianco e nero, qui ho imparato, a farlo anche a colori.
Mi
sono fatto tanti e stupendi amici con cui nei fine settimana ho girato tutta
l’Isola, dei murales ho già detto.
Ho
potuto studiare, dare esami non restando indietro con gli studi.
Ho
fatto gli esami di abilitazione per l’insegnamento a Udine, per cui, appena
laureato, ho subito cominciato ad insegnare e non ho più smesso.
Questa
è la parte bella.
Ma…
Per uno come me che ha un attaccamento profondo per il suo paese, restare
lontano dalle sue radici per periodi anche di sei mesi, la sofferenza è stata
molta, un’esperienza che mi ha segnato. Anche politicamente sono tornato a
casa cambiato. Due anni dopo la fine del militare, mi sono laureato (studio architettonico).
Studio architettonico 1976: per il museo di Santa Caterina di Treviso, con appunti dell’Arch. Carlo Scarpa.
Intanto
in Paese molti componenti del gruppo teatrale e del circolo culturale avevano
continuato nella discussione politica ed erano “corteggiati” dai partiti
ufficiali: dei giovani intelligenti e attivi potevano essere utili ai vari
amministratori.
Un
po’ alla volta quasi tutti scegliemmo quel partito, allora all’opposizione,
di cui ho già parlato e abbiamo fatto moltissimo lavoro compreso un giornale
che era assai ben fatto e divertente. Io sono stato anche Consigliere Comunale.
(Per la verità lo sono ancora ma il partito ha cambiato nome). Alla fine degli
anni ’70 noi giovani facemmo per loro tutta
una serie di mostre: sul muro della Musella, sulla collatura Grassi di Campalto,
su Ca’ Vecchia, sulle discariche abusive di Via Polveriera. Io ero interessato
al discorso ecologico che le mostre suggerivano, ma anche a quello
architettonico.
Poi,
pur restando forti i vincoli di amicizia tra di noi, col tempo ciascuno ha fatto
le sue scelte: di vita, artistiche, politiche. Però credo che quel periodo sia
stato uno dei più vivi della storia del nostro paese.”
Qui
termina il ritratto del giovane Sergio che prosegue nella maturità come
insegnante, architetto,
ricercatore mai stanco di documentazioni sulla nostra storia, scrittore di
libri, articoli, organizzatore di mostre.
Se
andiamo a cercare le radici del suo talento artistico lui racconta di suo padre
che era un falegname, artigiano dei vecchi tempi, quando imperava lo stile
Liberty. Per fare bene quegli intarsi, quei ricci, quelle volute bisognava
saperle rappresentare graficamente in modo minuzioso per cui il papà di Sergio
frequentava assiduamente il corso di disegno festivo a Verona. La mattina alle
prime luci dell’alba, per risparmiare sulla spesa di candele o luce elettrica
(prima di andare a lavorare) disegnava le modanature dei mobili che avrebbe
fatto, ma si perdeva anche a dipingere qualche quadretto,
a disegnare qualche casa.
E’
un collezionista nato perché lo era la nonna, quella del libretto dello
Stegagno che raccoglieva anche cartoline, fotografie, conservava lettere, e così
facevano tutti in famiglia. “Anche quando avevo 18/19 anni avevo un archivio piuttosto ricco di materiale e prima di partire per militare avevo già battuto a macchina tantissimi appunti sulle mie ricerche ed in seguito li ho usati abbondantemente.
Sia
quando andavo a studiare nelle varie Biblioteche durante gli anni Universitari
sia dall’80 all’85 quando ho passato ore alla Civica, alla Capitolare,
all’Archivio di Stato di Verona e di Venezia, sono sempre andato alla ricerca
di documenti, mappe, microfilm sul nostro territorio. Ho fissato tutto nei miei
quaderni di appunti riservandomi di servirmi di essi
per i libri che ho scritto e andrò a scrivere.
Attualmente
(2004) sto preparando un lavoro
sulle industrie fluviali del Fibbio, ne hanno già scritto anche altri facendo
però solo un lavoro storico non prendendoli in considerazione tecnicamente come
opifici. Se si tiene presente che San Martino si trova al crocevia tra il Fibbio
e la Via Postumia si capisce che era in una situazione privilegiata e per la
produzione di manufatti, e per il loro trasporto. Di questi mulini da ferro, da
carta, da panni, da farina mostrerò le varie strutture con tutte le
documentazioni esistenti in mio possesso e schede storiche adeguate.”
Personalmente
aggiungo che Sergio è sempre stato generoso del suo tempo che ha offerto senza
limiti a chi gli chiedeva una mano per qualche esperienza educativa. Ne è prova
la collaborazione con la scuola media negli anni ‘80 che ha portato a produrre
due brevi film (quanto purtroppo profetici per quella classe!), un murales lungo
il muro della ferrovia che ha resistito per anni, e ha fornito le sue preziose
informazioni per un lavoro sugli alberi di San Martino che nel 1984 ottenne un
premio Provinciale.
Dicembre 2003 - a cura di Anna Solati.
alcune delle sue numerose opere
Natura morta 1971, matita morbida su carta.
Natura morta 1971, olio su tela.
Natura
morta 1972 , pastello su carta.
Musella
1972, olio su tela.
Autunno 1972, olio su tela.
Inverno 1972, olio su tela.
Viale alberato 1972, olio su tela.
Astrazione 1972, olio su tela.
Autoritratto
1972
Nuraghe
1974, China su carta.
Collage 1975, “Percorrendo il passato ci si ritrova allucinati dal futuro”.
Hicnografia 1980.
Macrografia 80/81.
La
Guaina, 1995, china su cartoncino.
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