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Giovanni Battista Stegagno - politico e intellettuale.

 

 

 

Riduzione da Quaderni della festa al Campagnol Giugno 2006, di Luigi Ferrari.

 

Giovanni Battista Stegagno nacque a San Martino Buon Albergo il 14 agosto 1879. [1]

Era il maggiore di due fratelli: Dino, nato nel 1882 e morto nel 1887, Silvano nato nel 1884 e morto nel 1886. Pochi anni dopo, nel 1892 morì improvvisamente la madre.

 

Questo susseguirsi di tristi avvenimenti probabilmente concorrerà a imprimergli un temperamento mite, sensibile e riflessivo. Infatti così lo descrisse Filippo Nereo Vignola nella prefazione del suo libro “Armonie” pubblicato postumo: “Nell’aspetto era un po’ triste e meditativo, (…) un animo più chiuso e più incline alla malinconia.”

           

Terminati lodevolmente gli studi elementari nel nostro Comune, si iscrisse al ginnasio [2] presso i padri Stimmatini di Verona per cui fu mandato ad abitare presso in città presso una famiglia che abitava Vicolo Terese. Purtroppo una malattia lo costrinse al ritiro nel secondo semestre del terzo anno.

 

Ammesso per esame al 4° corso di ginnasio, completò il ciclo di studi superiori presso il Liceo classico “Scipione Maffei” con ottimi voti che gli guadagnarono la motivazione “Proposto per la Gara d’onore”.

 

Il padre desiderava per il figlio un avvenire da medico, ma quest’ultimo preferì prepararsi a risolvere i problemi della gente. Si iscrisse quindi alla facoltà di Legge presso l’Università di Padova e nel luglio del 1901 a 22 anni si laureò discutendo la tesi: “Il concetto di responsabilità da Cesare Beccaria a’ giorni nostri”.

 

Aprì il suo studio a Verona in Via Rosa. Avvocato di vivace ingegno, in un breve arco di tempo si creò chiara fama per l’alta professionalità, contraddistinta dalla padronanza della legge e dalla forbita e fluida oratoria forense.

 

Sentì subito il desiderio di inserirsi nella vita civica della città scaligera  per nutrirsi dei suoi problemi e per cercare di dare il personale contributo alla loro soluzione. L’ambiente adatto era un “Parlamentino” di intellettuali veronesi che annoverava le figure di maggior spicco nel campo della cultura, della politica e delle arti. Vi facevano parte il senatore Augusto Righi, gli avvocati Rensi, Tessari, Augusto Caperle, Antonio Guglielmi… tutti personaggi che contribuivano al “ben pensare” della società scaligera... Tra «qualche nome dei più diligenti nella ristretta assemblea (…) appare il giovanissimo tra tutti allora, l’avvocato Gianbattista Stegagno (penultimo direttore dell’Adige)».

I contraddittori si sviluppavano, animati dallo spirito montebaldino, “alla sera e sul tardi” attorno e dentro il Caffè Dante. “Una clientela di letterati, artisti, di ufficiali a riposo, di dame della buona società, di professori, gli conferiva un tono di alta distinzione. Quella ordinata manierosa convivenza sembrava offrire aspetti dei salotti italiani del primo Ottocento” [3].

 

La politica era comunque di casa presso di lui in quanto, all’alba del XX secolo, "Regnando S. M. Vittorio Emanuele III, per Gra­zia di Dio e volontà della Nazione Re d'Italia", e reggendo l'Amministra­zione comunale il sin­daco Luigi Dal Merlo nel libro delle Delibere si incontra il nome di suo padre Giulio che ricopriva la carica di Consigliere comunale fin dalle Am­ministrazioni guidate dai sindaci Carlo Da Lisca e Luciano Marchiori. Oltre che essere iscritto nella "Lista degli eleggibili, all'Ufficio di Conciliatore e Viceconciliatore" fin dal 1892, e nell'''Elenco permanente dei Giurati" del Comune di San Mar­tino B. A. al primo settembre 1893, era an­che Membro effettivo della Commis­sione preposta alla "Revisione delle li­ste elettorali", con il compito di stabilire se un cittadino fosse idoneo o interdetto a esercitare il diritto di voto politico.

 

Una legge del 1882, infatti, molto più liberale della precedente, dava il diritto di voto al cittadino che avesse compiuto 21 anni, sapesse leggere e scrivere e avesse la licenza di seconda elementare, o, in alternativa, pagasse 19,80 lire di imposte dirette. Le donne rimasero escluse fino al 1946 [4].

Il nome dello Stegagno appare per la prima volta negli Atti comunali quando, con delibera del 25 settembre 1901, viene eletto a formare la Deputazione di Vigilanza assieme al dottor Aurelio Benoni, ai sacerdoti don Luigi Cordioli, don Angelo Girelli, don Luigi Girgolini e alla signora Margherita Selmo. Ma rifiutò perché le sue occupazioni e i suoi studi gli impedivano di dare un’utile collaborazione.

Accettò però poco più tardi, come compare nel "Verbale di costituzione dell'Ufficio provvisorio e Ufficio definitivo", l’invito del sindaco Dal Merlo «ad assumere l'ufficio di scrutatori provvisori (delle liste elettorali in vista delle imminenti elezioni, ndr)» assieme ai  signori Biondani Giuseppe, Grigolini Francesco, essendo con Aleardo Nicolis tra  «i più giovani degli elettori presenti».

 

 Con il numero d'ordine 128, ricalcando le orme del padre, egli entrava nell'«Elenco alfabetico degli elettori politici per l'identificazione dei votanti e per il controllo del loro intervento alle urne».

 

Questo approccio col meccanismo amministrativo lo porterà, di lì a qualche tempo, a essere eletto Primo cittadino di San Martino Buon Albergo - «paese dalle vie larghe e pulite» [5], e a sedere sullo scranno più importante di Palazzo Ferruzzi, sede della Municipalità.

Anche se il paese, considerate l'estensione e la popolazione, non era proprio quello che si può definire un "regno dove non tramonta mai il sole", s'accorgerà che di cose da fare ce n'erano ugualmente.

 

La data della elezione a Sindaco di Giovanni Battista Stegagno la troviamo nel "Verbale di straordinaria adunanza del Consiglio Comunale in prima Convocazione".

 

«L'anno 1906. - millenovecentosei - addì 7 Sette di Luglio a ore 8 pomeridiane nella solita sala delle adunanze in S. Martino B.A.

In seguito all'invito diramato al domicilio dei singoli consiglieri come dalla riferta in atti, premesso il suono della campana si è raccolto il Consiglio Comunale, sotto la Presidenza

 

del Signor Consigliere Anziano: 1°

1. Stegagno Avv.Cav.Dott. GioBatta

2. Barbarani Giulio

3. Bighignoli Gaetano

4. Dalla Rosa Giovanni

5. Franceschini Paolo

6. Luzzo Rag. Ottavio

7. Migliorini Zeno

8. Ravarani Tobia

9. Riolfi Giovanni

l0. Selmo Rag. Augusto

Il. Tessari Gaetano

12.Zanetti Attilio

13. Zorzi Francesco  [6]

 

Assenti i Signori:

l. Grigolini Francesco 2. Migliorini Luigi

 

coll' assistenza ad opera del Segretario Comunale Becce Luigi.

Riconosciuto Sufficiente il numero degli intervenuti per la legalità dell'adunanza, il Presidente delibera aperta la seduta, e si procede alla trattazione

degli oggetti messi all' ordine del giorno come segue:

Oggetto l° Nomina del Sindaco

Il Signor Stegagno Avv. Dr. Gio Batta, quale Presidente, perché Consigliere anziano (in quanto era stato il candidato che aveva ottenuto più voti) a norma degli articoli 141 e 229 della Legge Com. e Prov. 4 Maggio 1898 N. 164, presa la parola saluta il nuovo Consiglio Comunale e si compiace vivamente nel vedere nell'aula i rappresentanti del popolo, che prima furono sempre esclusi e manda pure un saluto al popolo, affermatosi partito di governo.

Dopo tali parole, informa il Consiglio del disposto degli articoli 140 e 141 della suddetta legge, ed avverte che a tenore dell' art. 3 della legge 22 Febbraio 1904 N. 43 l'eletto durerà in ufficio un quadriennio, purché conservi la qualità di Consigliere. Invita quindi il Consiglio a procedere alla nomina del Sindaco.

 

Esperita la votazione col mezzo di schede segrete, il Signor Presidente, assistito da tre scrutatori nominati in persona dai Consiglieri Signori Barbarani Giulio, Zorzi Francesco, e Luzzo Ottavio, ha proceduto allo spoglio delle schede medesime e constata il seguente risultato:

Presenti N. 13. Votanti N. 13

Il Signor Stegagno Avv. Gio Batta abbi Voti N. 12.-

Selmo Augusto 1.-

 

Avendo con tale votazione esso Signor Stegagno Avv. Dr. Gio Batta ottenuto la maggioranza assoluta di voti, e riconosciuto dal Consiglio che lo Stesso non cade in alcuna delle incompatibilità previste dall' art. 144 della Legge, il medesimo Signor Stegagno proclama il risultato della votazione».

 

All' elezione del Sindaco seguì quella dei due Assessori Effettivi (Barbarani Giulio e Luzzo Ottavio, entrambi con 12 voti), e dei due Membri Supplenti (Bighignoli Gaetano con voti 12 e Ravarani Tobia con voti 11).

 

Quale fosse l'ispirazione politica della compagine eletta ce lo spiega ancora "L'Arena": «Se si sta al programma, democratici radicali puri».

 

Consapevole della responsabilità assuntasi con l'elezione, ancorché l'età inducesse a considerarlo piuttosto giovane (aveva solo 27 anni), lo Stegagno entrò nel suo ruolo con la passione civica che gli era stata riconosciuta con il voto, pronto a servirsi della deontologia guadagnata con gli studi, convinto di esercitare con puntiglio e fare minuzioso il controllo sull'ordine pubblico, emanando i provvedimenti di ordinaria e straordinaria amministrazione che i tempi richiedevano con la cognizione di causa tipica di chi è abituato a confrontarsi con le leggi, e vigilando attento sulla tenuta dei registri dello stato civile, ricavando, giorno dopo giorno, ammirazione e rispetto.

 

Come vedremo in un Comune le cose non risultano mai chiuse definitivamente. Senza dubbio nel suo mandato egli concorse a risolvere le questioni che gli si prospettavano, a condurre quelle che si sarebbero prolungate nei decenni e a dare vita a quelle che le priorità reclamavano. E sempre attenendosi scrupolosamente alle disposizioni e alle regole emanate dagli organi preposti ai singoli Istituti.

 

Nel nostro paese, tolte le piccole attività artigianali che servivano a dare una certa tranquillità economica a chi le conduceva, non v' era un granché a livello industriale. Fra le pochissime aziende degne di una certa importanza per l'economia locale e ambìte da chi cercava lavoro, ricordiamo le Cantine dei Fratelli Sterzi ("Fornitore della Real Casa') e la Cereria dei Fratelli Barbieri, già attive da qualche lustro.

Una risorsa importante per le famiglie erano le risaie della "bassa" sanmartinese, dove le donne si recavano di buon mattino a compire l'insalubre lavoro, e tornavano a casa, la sera, non senza aver messo assieme un fascio di ramaglie da bruciare sul camino. Non erano da sottovalutare, come modestissimo antidoto alla povera economia domestica, la spigolatura del frumento e la raccolta delle mele rimaste per terra (le croàe) o delle pannocchie restate sulla canna dopo il raccolto. 

 

Alla luce di queste considerazioni, si può dire che non vi era maggior ricchezza che un posto di lavoro. 

 

Il  primo Atto amministrativo firmato del Sindaco, il 18 luglio 1906 (dopo quello riferito alla sua elezione che firmò come Presidente della seduta), è, paradossalmente, la "Revoca della deliberazione Consigliare 7 aprile con la quale veniva ceduto alla ditta Fratelli Tiberghien  parte del terreno Comunale per l'impianto di un opificio industriale".

 

La saggia decisione, che avrebbe portato lavoro per 800 persone, era stata invocata dall'Amministrazione Dal Merlo per alleggerire la miseria in un paese che era stato duramente colpito per la chiusura dello zuccherificio della Società Ligure Lombarda . [7]

Per togliere il dubbio su ipotesi di rivalsa della nuova Amministrazione nei confronti della precedente, diremo che i Fratelli Tiberghien dovettero rinunciare all' offerta del sindaco

Dal Merlo (l'ultimo dei suoi Atti era stato quello con il quale intendeva cedere gratuitamente 20 mila mq. di terreno), «causa la ritenuta difficoltà, o la quasi impossibilità di smaltire le acque di rifiuto che avrebbero dovuto sortire dallo stabilimento». Argomento che nella precedente seduta non era stato considerato. Né era stato sentito il parere del Genio Civile che si era pronunciato contro gli scarichi prodotti da quelle lavorazioni nelle acque dell'Antanello .

 

Ma «il Comune non rimase inoperoso e poté trovare la ditta Giuseppe ed Antonio Crespi di Busto Arsizio, la quale sarebbe disposta di costruire sul detto terreno comunale uno stabilimento di tessitura di cotone, nel quale non è necessario lo smaltimento delle acque di rifiuto».

La ghiotta occasione, sposata con l'assoluta necessità di dare lavoro ai cittadini, indusse il nostro Sindaco a dichiarare: «(...) il Municipio di San Martino Buon Albergo nell'intento di giovare al miglioramento economico della popolazione e a sollevarla dalle condizioni disagiate in cui essa, e la classe lavoratrice in specie, si trova, è venuto nella decisione di cedere gratuitamente parte o tutto del terreno di sua proprietà allo scopo che su di esso potesse venire eretto uno stabilimento industriale».

 

Da queste parole possiamo dedurre che lo Stegagno nutriva il desiderio di dare una nuova forma di sussistenza alla classe operaia, interpretando il pensiero che Giovanni Giolitti rivolse alla Camera nel 1901: «È un errore, un vero pregiudizio, credere che il basso salario giovi al progresso dell'industria: l'operaio mal nutrito è sempre più debole fisicamente ed intellettualmente ...».

La Delibera consiliare, fu sottoscritta «a nome e nell'interesse di detto Comune» dal segretario comunale Luigi Becce alla presenza dei signori Epifanio Nicolis di 43 anni, farmacista, e Giuseppe Fraccaroli di 67 anni, messo comunale.

Il contratto di "Cessione di terreno", contrassegnato dal n. 183 di Repertorio del 12 ottobre 1906, previde la «cessione gratuita» di ettari 10.28.02 di terreno identificati nel "Brolo" e nelle "Giare". Il ricevente si fece carico di impegnarvi fin da subito «giornalmente non meno di duecento persone ( ... ) con preferenza alle persone del paese (composte da 1/7 di operai maggiorenni ed il resto donne e ragazzi), contando di portare a 400 il numero dei dipendenti» (l'impegno fu mantenuto: gli assunti superarono le 500 unità).

 

Continuando nella sua ricerca di imprenditori che venissero a dar lavoro ai suoi concittadini: il 20 agosto 1907, il Sindaco «avverte come alcuni industriali fra i quali i Furlotti di Verona, il Camerini di Padova ed altri di Milano, siano venuti nella determinazione d'impiantare ed aprire in questo Comune uno stabilimento per la fabbrica del ferro, adibendo i locali dello stabilimento di raffineria degli zuccheri della Società Ligure Lombarda».

 

Sempre nel 1907, «in cambio di una striscia di terra che al Comune poco o nulla serve», il Sindaco acquistava da «Trezza nob. Di Musella Comm. Gr. Uff. Cesare fu cav. Luigi» il terreno «tra confini la strada Ferrata, la Fossa Rosella, ragioni Trezza, altrimenti descritto: «un terreno di rifiuto che trovasi lungo la strada comunale detta delle fosse lungo il tronco compreso tra la ferrovia Verona-Vicenza e lo stradone principale ..., da cedere a De Micheli Eupilio, proprietario di una azienda «costruttrice di apparecchi per riscaldamento in genere».

 

Questo signore chiese di impiantare lo stabilimento nel nostro paese «per la sua posizione, per la tranquillità degli abitanti e per la comodità con la linea ferroviaria».

 

Convinta che tale decisione «contribuirà al risveglio economico di tutto il paese», e sedotta dall'assicurazione che «In quell'ambiente poteva trovare lavoro, entro il 1907, un centinaio di persone del sito, una volta ne risultino capaci», all'Amministrazione comunale non restava che concedere i 10.000 mq. di terreno necessari. [8]

 

Il 12 marzo 1910, un elegante biglietto spedito dalla "Società Autonoma Vetraria Veronese" di Forti e Chiesara, invitava all'inaugurazione dello Stabilimento in San Martino Buon Albergo per le ore 15 di lunedì 21 dello stesso mese. Ma sarà una breve avventura. Nel giugno dello stesso anno gli operai daranno vita ai primi scioperi tentando di impedire i primi licenziamenti.

 

A nulla serviranno gli interventi dello Stegagno affinché venga riconosciuta la giusta indennità ai licenziati.

La ricerca di nuovi investitori sul territorio continuò fino al  termine del suo mandato nel 1914.

 

Lo Stegagno si trovò anche ad affrontare una spesa a favore dei Comuni di Lavagno e di San Michele Extra perché un buon numero di fanciulli frequentavano quelle scuole elementari. Una situazione che si protrasse almeno per tutto il periodo della sua amministrazione.

 

Uomo di studi, lo Stegagno riservava alla "scuola" sempre molta attenzione: «Per la scuola non sarà mai speso troppo», dirà più tardi in Consiglio comunale il 24 ottobre 1920. Alle opere in muratura antepose sempre "la persona", sia essa l'insegnante o l'alunno. Dopo aver letto la relazione sottoposta ai Consiglieri il 12 giugno 1907, capiremo la misura del suo pensiero, secondo il quale la capacità di comprendere degli alunni dipende dalla valenza degli insegnanti: «Ammette (il Sindaco, ndr) il principio che al nuovo maestro debba corrispondersi uno stipendio tale che possa permettergli di vivere decorosamente, perché il Comune possa da lui pretendere la scrupolosa osservanza dei suoi obblighi non solo, ma avere un docente che si elevi dal comune».

 

Per fare in modo che venisse diminuita, se non proprio cancellata, la piaga dell'analfabetismo, propose, con successo, che venisse pagato un maestro per l'insegnamento nella scuola serale per adulti e analfabeti. Si espresse così: «La vostra Giunta opina che a questa opera di santa redenzione morale del popolo, debba concorrere anche il Comune, ed è perciò che la scuola stessa non potrebbe sussistere se l'Amministrazione Comunale non procedesse a pagare lo stipendio del Maestro»[9].

 

A favore degli alunni, assecondò e fece approvare l’iniziativa promossa dall’assessore anziano Giulio Barbarani, secondo il quale (siamo nell’anno scolastico 1906-1907) sarebbe stato quanto mai opportuno «per puro principio di umanità somministrare una piccola refezione al mezzogiorno», a quei ragazzi che, abitando lontano dalla scuola del Capoluogo, sarebbero stati obbligati a fare quattro volte la strada. Onde «evitare ad essi il disagio e la fatica del percorso».

 

Il 29 dicembre 1909 propose di abbonare i maestri delle Scuole Comunali a dei giornali scolastici «allo scopo possano tenersi al corrente di tutte le innovazioni, miglioramenti e studi fatti nel campo della Scuola». E per «l'insegnamento dei lavori donneschi», a cui dovrà provvedere una maestra, indicava il compenso aggiuntivo a quanto dovuto.

Questo interesse per la scuola lo portò a sognare la costruzione di “due fabbricati scolastici pel capoluogo e per la frazione di Centegnano”.

 

Già nella Seduta del 13 aprile 1905, dopo aver deliberato sulle cose da farsi per i funerali del Segretario comunale Sig. Cav. Mario Selmo, «cittadino che si è sempre interessato del Comune», l’amministrazione precedente aveva affrontato il punto dell'Ordine del giorno riguardante un «fabbricato scolastico da costruirsi in prossimità del Palazzo Municipale, su un progetto dell'ing. Comunale Cav. Giovanni Mosconi» approvato il 26 agosto e 2 settembre 1904.

 

E ancora nel 1907, a seguito di una richiesta di consorzialità fra le scuole di San Martino B.A. e Marcellise, si chiedeva l'approvazione del progetto per la costruzione di due aule scolastiche nel Capoluogo consistente «nella trasformazione dell'attuale magazzino annesso al palazzo Municipale». Si trattava di due locali da costruirsi «uno a fianco dell'altro» «e non uno sopra l'altro», attenendosi così agli «ultimi dati forniti dal Governo e facendo tutte le norme più moderne dettate dalla scienza e dall'igiene». Da questo lavoro, si aggiunse, ne uscirà «anche una palestra per la ginnastica». Conduttore dei lavori sarà il capomastro Ambrosi Luigi.

 

Per la realizzazione, lo Stato, che giudica il progetto di ampliamento «meritevole di approvazione», si propose di intervenire con un terzo della spesa.

Nel 1910 il Sindaco invitava l'ing. Mosconi a preparargli un (nuovo) progetto.  Quello presentato il 2 aprile venne respinto dalla Prefettura. Il 4 dicembre si ripropose considerando di includervi «l'asilo infantile Antonini che si trova in edificio insufficiente e poco spazioso ...».

 

Valutandone la spesa in 150.528,02 lire, dilazionabile in 50 annualità a partire dal 1912, l'ingegnere consigliò di avvalersi di una legge straordinaria della quale molti Comuni stavano approfittando: «Ritardando ora le pratiche che occorrono mancherebbero le facilitazioni offerte».

 

Ma la questione è tutt'altro che chiusa.  Il 31 gennaio 1912 si tornò a discutere su tutto: sulla paternità del progetto che rimbalza tra quello del Mosconi e quello del Tabanelli; sulla reale disponibilità della somma per coprire la spesa; sull'eventuale stralcio della parte relativa al ricreatorio «perché di questo non v'è urgenza»; sulla consorzialità col Comune di Marcellise, al quale andrebbe bene un fabbricato anche senza ricreatorio...

 

E una votazione che permetta, una volta per tutte, l'inizio dei lavori, è di là da venire.

 

L’ultima firma sull'annosa questione lo Stegagno la porrà in calce alla Seduta dell' l marzo 1914, quando fa "Domanda di autorizzazione per poter appaltare i lavori di costruzione". Ma i tempi per una realizzazione che gli desse la soddisfazione di inaugurarla non sono maturi. E l'impazienza di vederla attuata lo spingerà a premere sul suo successore perché le cose non abbiano a protrarsi oltre misura. 

 

Per quel che riguarda l’edificio di Campalto il Sindaco ricordò che «Fino dal 28 Dicembre 1904 N. 68 abitanti delle frazioni di Campalto e Centegnano avanzarono al Consiglio domanda per la istituzione di una scuola che dovesse servire per le dette due frazioni, da costruire in un sito intermedio, adducendo a sostegno della loro domanda la grande distanza che gli scolaretti devono percorrere per andare a scuola, il pericolo continuo che i medesimi si espongono nel percorrere, senza sorveglianza, strade lungo le quali corrono vari corsi d'acqua, frequentate da carrozze, carri e bestiame, e che il Consiglio di allora nella seduta 5 Aprile 1905 respinse la domanda».

 

Attorno alla quantità di alunni c'è un balletto di numeri. Dal carteggio datato 22 marzo 1905 sarebbero 46 i bambini compresi fra i 5 e i 12 anni. Ma il divario ha importanza relativa rispetto alla portata della richiesta.

Il 19 gennaio 1907 l'ing. Giovanni Mosconi sottopose il "Progetto di un fabbricato per scuola mista in Centegnan" allegando il relativo Capitolato d'appalto. Ne indicò anche il luogo di erezione: «La località sopra la quale dovrà sorgere venne scorta presso la strada principale di Mambrotta ove si stacca l'altra del Giarrone (. .. ) e venne preferita questa poiché rispetto alle altre ove abitano tutte le famiglie che possono mandare i loro fanciulli a scuola sarebbe molto centrica e la migliore per abbondanza di aria per l'igiene del suolo per la poca umidità delle nebbie, per la comodità delle strade d'accesso ( ... ), distante da acque stagnanti, officine, concimaie e dal cimitero di Mambrotta che trovasi a metri 1600 circa nella direzione di nord-est».

 

Prima di sobbarcarsi un costo approssimativo di 17.000 lire, il Sindaco volle sapere a cosa andava incontro. Chiese lumi (19 febbraio 1907) alla Cassa Depositi e Prestiti e pregò 1'Onor. Amm.ne a volergli «riferire se è disposta a concedere a questo Comune un mutuo di favore dell'importo predetto»; quale era il tasso di interesse, l'importo da versare per affrancazione del capitale e quali pratiche erano da farsi per ottenere il mutuo stesso.

  

Nel 1908 si censirono, raggruppando i ragazzi di Campalto, Centegnano e Mambrotta, 94 alunni maschi e 64 femmine. Nel settembre 1911 si stava ancora studiando sul caso. Nel frattempo i ragazzi si recavano alla scuola di Mambrotta. Il 29 giugno 1913 «si contratta e si delibera con la Cassa Depositi e Prestiti per la costruzione del fabbricato con alloggio per insegnante», per una spesa di lire 13.836,17.

Quello della scuola di Centegnano è un carteggio pieno di particolari, e si protrarrà fino al 1915, dando al sindaco Mosconi la possibilità di seguirne gli eventi e festeggiarne l'inaugurazione.

 

Prefigurando una crescita della popolazione, “specie per l’insediamento di nuovi stabilimenti” il sindaco dedusse che “è evidente la necessità che il Comune provveda alla costruzione di nuove tombe”. Per questo già l’ 1 dicembre 1907 tale argomento fu oggetto di una riunione straordinaria del Consiglio Comunale. “Considerando l’ubicazione del Cimitero attuale, nessun’altra forma di ingrandimento si presenta migliore di quella che si ottiene aggiungendo a sud dell’attuale Cimitero un’area uguale a quella del Cimitero stesso, e costruendo simmetricamente altro loggiato con relative tombe, colombare e vestibolo. In tal modo il Cimitero (…) potrebbe sempre bastare a qualunque aumento della popolazione perché anche in un lontano avvenire si potranno sempre attuare nuovi ingrandimenti sulla base e in prosecuzione di quello proposto dalla Giunta”.

 

Oltre all’avvio di una pratica di stipulazione di un mutuo per fronteggiare la spesa,  per iniziare i lavori si dovettero espropriare terreni appartenenti alla prebenda parrocchiale, al sig Francesco Rizzi e al Sig Gio.Batta De Vecchi. Come al solito, quando si tratta di queste cose, le pratiche sono laboriose e si protraggono nel tempo.

 

Nell’agosto del 1913 dava inizio alla stesura del nuovo Regolamento di polizia mortuaria che verrà approvato nell’aprile del 1914, poco prima dello scadere del suo mandato dopo averlo sottoposto per l’approvazione al Consiglio Sanitario Provinciale. Sulla scorta di questi appoggi il mutuo che riuscirà ad ottenere gli permetterà di poter procedere all’ampliamento anche del Cimitero di Mambrotta dove a quel tempo si seppellivano i morti per annegamento o per malattie contagiose.

Per il semplice fatto che tutti abbiamo appreso nozioni sulla nostra storia del secolo passato, non ci può sfuggire quanto la situazione igienica, specialmente in quel primo quarto di secolo, non fosse sinonimo di una perfetta salute. Anche per i Sindaci e per gli Ufficiali sanitari di San Martino Buon Albergo essa fu una fonte di preoccupazione.

Alla data del 31 marzo 1907 il presidio sanitario del paese era formato da:

-          Benoni Aurelio, medico chirurgo, ufficiale sanitario Condotto;

-          Farmacia di Nicolis Epifanio che ne era il Proprietario;

-          Direttore era Bolzoni Andrea e Assistente Nicolis Filiberto;

-          Augusta Tregnaghi era la levatrice.

 

Attento all'evolversi dei tempi, a seguito di un lavoro durato più di due anni, nel corso dei quali si trovò immerso in un labirinto di confronti, cancellazioni, aggiunte, aggiornamenti, lo Stegagno sottopose al Consiglio Comunale, che lo votò con Delibera datata 26 febbraio 1908 per poi passarlo al Prefetto di Verona, il "Capitolato di servizio in via definitiva per la condotta medico-chirurgica del Comune di San Martino Buon Albergo". Questo documento già nel 1876 era stato abbozzato dal benemerito sindaco Antonini.

 

Nella Seduta del 5 luglio portava in Consiglio una "Modificazione regolamento d'igiene"  nella quale erano contemplate alcune norme riguardanti la costruzione dei fabbricati rurali che assicurassero migliori soluzioni sanitarie. Modificazione che mise a disposizione dei Consiglieri per coglierne i suggerimenti migliorativi prima di passare all'approvazione e quindi alla delibera.

 

Ma non è qui che si poteva fermare un Amministratore di quell'inizio di secolo, quando epidemie di morbillo, tifo, pellagra, malaria, tubercolosi e infezioni di ogni genere erano considerate delle vere piaghe da scongiurare.

Infatti non sono rari i suoi interventi a raccomandare, specialmente a chi abitava la campagna, che si creino appropriati scoli di acqua, che vengano approntate opportune latrine, che non si carichi e scarichi il letame nelle stagioni calde, che non ci si ostini ad ammassare immondizia su immondizia.

 

Una mano gliela dava anche il medico condotto che somministrava «i preparati chinacei dello Stato» a chi ne facesse richiesta, e che visitava tutte le famiglie, soprattutto nella "bassa" sanmartinese, dove gran parte del terreno si coltivava "a risara": buon conduttore, quindi, della malaria, per quanto il nostro Comune ne sia stato quasi totalmente preservato.

 

E poi, per un paese ad alto tasso di economia rurale come il nostro, bisognava stare attenti anche alla condizione igienica del bestiame. Il fantasma dell'afta epizootica (che colpì non pochi paesi della Provincia) consigliava, specialmente nei periodi in cui si spostavano le mandrie per l'alpeggio, l'intervento del veterinario; il quale, su ordine della Prefettura, doveva visitare e marchiare le bestie.

 

Il mestiere di Sindaco conosce anche momenti critici, quando le idee non sono condivise dalla maggioranza del Consiglio Comunale, specialmente se, più che i programmi, sono le persone a cambiare. Ma possono anche sfociare in soddisfazione quando tutto si appiana e si ritorna a respirare aria di rinnovata fiducia.

Alle ore 9 del 6 gennaio 1908, si presentò un Consiglio comunale rinnovato per sette quindicesimi. Gemma dr. Ermanno, Galli ing. Giandomenico, Marchiori Luigi, Alberti nob. Carlo, Poli Teodoro, Pisani Alessandro e Biondani Giuseppe sostituirono Bighignoli Gaetano, Dalla Rosa Giovanni, Migliorini Zeno, Ravarani Tobia, Zorzi Francesco, Grigolini Francesco e Migliorini Luigi.

 

Dopo una vivace seduta, al termine della quale lo Stegagno rievocò i fatti che avevano portato alla crisi (maturata per problemi riguardanti la Scuola, nonché una presunta defezione attribuita ai Consiglieri di minoranza) e si dimostrò contento per aver evitato il rischio del commissariamento una iella che avrebbe influito non poco sulla già stretta situazione di cassa, si passò alla elezione del Sindaco.

 

Lo Stegagno ne uscì eletto con 15 voti su 15. Dunque anche lui votò se stesso. Il motivo dell'insolita cosa lo leggiamo nella delibera: «lI Sig. Stegagno Gio. Batta ringrazia il Consiglio della inaspettata votazione, ed avverte che per l'unico scopo di evitare la venuta del Commissario regio egli votò il proprio nome, non aspettandosi certo una votazione unanime». 

 

Un altro momento di tensione fu vissuto in Consiglio Comunale sempre nel 1908 per motivi riguardanti la laicità della  Scuola.  La situazione, dimostratasi assai delicata, ci fa capire che aria tirava tra le due isti­tuzioni visto il programma politico con cui la maggioranza, di ispirazione socialista, si era proposta agli elettori riguardo l'insegnamento religioso nelle scuole.

 

Era parroco don Gaetano Foggini (1906-1909) che, al suo insediamento in parroc­chia, si era premurato di assicurare il Sindaco «di essere sottomesso ed ossequiente alle Autorità del Comune, mentre l'anno scorso (asseriva il Bar­barani) condusse una vera campagna ostile verso questa Amministrazione».

 

Fu proprio 1'assessore anziano Giulio Bar­barani a scatenare il putiferio allorché venne a sapere che il curato del paese era entrato in una classe per fare lezione di catechismo in orario non previsto, e, cosa ancor più grave, con il benepla­cito del maestro.

Alla reprimenda, svolta con sangui­gno animus pugnandi, dovette far seguito la delicatezza e l'aplomb del Sin­daco, che spiegò come in realtà si erano svolti i fatti.

 

Riconobbe che il partito era sì contrario all' insegna­mento della religione in ore non pertinenti, che il problema era serio e andava gestito con cautela, e che non vi era una legge ben chiara alla quale attenersi scrupolosamente. [10]

Ricordando anche che l'insegnamento religioso era stato chiesto dai padri dei bambini e che non era giusto accanirsi col pericolo di turbare l'ordine pubblico, assicurò che qualche provvedimento in merito sarebbe stato preso.

 

Quest' ultima affermazione, da considerarsi come necessaria per calmare gli animi, venne accolta con favore dal Barbarani  che aveva minacciato di dimettersi, non solo da Consigliere comunale, ma anche da presidente dell'Asilo Antonini: « ... di fronte alle parole franche e leali del Signor Sindaco e dell'assessore Luzzo, essendo stata tolta ogni ragione di dissidio», non ebbe alcun motivo di insistere e dichiarò «di ritirare volentieri le dimissioni».

 

Altro lavoro di rilevante importanza per il nostro Comune fu l’ampliamento della Stazione ferroviaria a cui si aggiunsero i lavori dello scalo merci, del prolungamento del sottopasso, dello spostamento del passaggio a livello e della strada che porta alla stazione stessa, tutto a spese dell’amministrazione ferroviaria.

 

Lo Stegagno affrontò il problema con una serie di pratiche da estenuare anche il più virtuoso dei pazienti. Lo testimonia la lettura del Verbale del Consiglio del 5 luglio 1908:

«Successivamente il Sig. Sindaco fa la storia di tutte le pratiche corse tra questa Amministrazione e quella delle Ferrovie dello Stato». Se a questo aggiungiamo anche che furono necessari degli espropri….

 

Allo Stegagno toccherà avviare le pratiche per la conversione del tramway [11] in linea elettrica. Nella Seduta del 19 dicembre 1909 riferiva in aula la sua intenzione. Tra le motivazioni c'era quella di un aumento sensibile delle corse che avrebbe raggiunto il numero di trenta al giorno. In questa operazione venne coadiuvato dal Presidente della Camera di Commercio e dal Sindaco di Verona al quale consigliò di convocare tutti i Sindaci dei Comuni e della Provincia interessati.

 

La questione della tramvia, il nostro Primo cittadino aveva cominciato a respirarla col primo vagito. Era stato, infatti, nel corso di un Consiglio comunale datato 13 agosto 1879 (il giorno prima che lui nascesse!) che si era dato inizio alla trattativa «sull'autorizzazione per la costruzione del Tramway da Verona a Tregnago per il tratto che corre dalla Strada del Territorio comunale e sul concorso della spesa».

In quell'anno, chi si voleva spostare senza far uso delle gambe o evitando carretti e carrozze, doveva essere munito di un velocipede. In paese, di questi mezzi, ne erano stati denunciati dieci.

 

Al giorno dell'inaugurazione di questo "moderno" mezzo di trasporto, dotato di Prima e Seconda classe, al quale fin da subito venne dato l'appellativo de "la corséta", c'è da presumere che il Sindaco avesse dato una certa importanza. Il 9 agosto 1912, usciva dal Municipio il seguente invito: «Prego la S. V. di intervenire alla riunione che si terrà sabato p.v. l0 corrente a ore 20 nella sala consigliare allo scopo di preordinare alcuni festeggiamenti per la prossima inaugurazione del tram elettrico».

 

Il giorno successivo una missiva diretta «ai sigg. Consiglieri» avvisava che «Sabato p. v. 31 corr. avrà luogo l'inaugurazione del tram elettrico Verona-S.Bonifacio. Da Verona partiremo alle l0 con treno speciale per gli invitati e la Società del Tram offrirà una colazione all'arrivo a S. Bonifacio. Questo Comune ha offerto per l'occasione un vermouth in Municipio all'arrivo del treno speciale a S. Martino. Sarei grato se vorrà intervenire alla cerimonia».

 

Così fu. Il 31 agosto «Le bellissime nuove carrozze - elegantemente pavesate di bandierine italo-belghe - erano gremite di autorità e di moltissimi altri invitati.» [12]

In uno scritto datato 26 agosto, comunicava al Prefetto, chiedendone la concessione, che per tale occasione si sarebbe dato vita a «una serie di festeggiamenti tra i quali una piccola lotteria»

della cui regolarità si sarebbe assunto la garanzia. Nella copia rimasta agli atti, scritto in matita, era specificato: «Lotteria per asilo».

E pensare che "la questione tramvia” gli aveva procurato una serie di grane che lo avevano chiamato a tener testa alle esigenze che venivano da due fronti: dalla cittadinanza e dalle Istituzioni. Ai problemi burocratici si aggiungevano quelli di ordine pratico come:

* il danno arrecato dalla costruzione della linea tranviaria al selciato presso il Ponte del Cristo e crea problemi alle autovetture (benché ancora poche!) a motociclisti e ai ciclisti stessi, nonché la riduzione dell' assetto stradale in quel luogo;

* un danno lo crea anche il binario di scambio che va da Piazza Umberto I (ora Piazza del Popolo ndr.) al Drago;

*la polvere che si leva ad ogni passaggio degli automezzi, infastidisce la gente del posto [13].

*i ritardi di orario delle corse sono più frequenti di quelle che lo rispettano, mettendo in difficoltà gli utenti che si devono recare al lavoro;

* la pericolosità di quel “carro di montaggio” lasciato vicino alla garitta del rivenditore di giornali, “perché i monelli vi salgono sopra con pericolo di cadere” ...

La questione dei binari del tram scatenò un intrecciarsi di proteste scritte e giustificazioni tra l'Amministrazione Comunale, la "Società Anonima di Tramways a vapore delle Provincie di Verona-Vicenza" che provvide a eseguire lo spostamento del binario, l'Amministrazione Provinciale che si obbligò «a eseguire il rimaneggiamento e rifacimento totale del selciato», l'Ufficio tecnico provinciale e la Deputazione Provinciale. Da quel labirinto di promesse fatte e non mantenute, di compromessi, era difficile venirne a capo.

 

Anche il nostro Sindaco sembrava sconfortato e demoralizzato: «La questione dell'allargamento del Ponte del Cristo e del conseguente trasporto del binario del tram, si trascina da lungo tempo senza che mai si addivenga ad una pratica soluzione». [14]

Alle istanze degli Enti interessati si contrappose la voce del Sindaco che, si sa, doveva farsi carico delle esigenze della sua gente. Convenne che la rotaia sulla sinistra «rasente l'abitato», comportava uno stato di «schiavitù», era fonte di «pericolo per la vita degli abitanti», comprometteva una certa vivibilità «ai negozi e agli esercizi che sono in maggior numero e di maggior importanza» e rendeva pericoloso quel passaggio a livello «sul quale

devono passare gli abitanti diretti a Marcellise e a Lavagno ... ». Lasciando la rotaia sulla destra, affermava il Sindaco, «tutta intera una popolazione verrebbe da questa schiavitù liberata con qual sollievo non è a dirsi perché da anni e anni inutilmente si fanno proteste anche per le disgrazie che accadono ogni tanto per chi transita».

 

Una soluzione bisognava pur trovarla, anche se si era da soli a doverla affrontare: al Comune di Montorio[15]  poco importava il problema e quello di Marcellise stava attraversando una crisi comunale.

 

"Pro bono pacis", lo Stegagno fece deliberare (pur astenendosi dal voto), il 20 agosto 1907, il seguente ordine del giorno: «Il Consiglio Comunale pur ritenendo meglio rispondente agli interessi del Comune 1'attuazione del progetto di allargamento del Ponte Cristo e conseguente trasporto del binario del tram sulla destra, compilato dall'ufficio tecnico Provinciale di Verona, in via transitoria, solo perché sia definito nel più breve tempo la troppo dibattuta questione, delibera di acconsentire a che il binario del tram, nel progetto di allargamento del Ponte del Cristo fatto dall'Amm.ne Prov.le, venga portato sulla sinistra della strada Prov.le a condizione che nessun contributo debba versare il Comune e che tutto il selciato Comunale venga rifatto a spese dell'Amm.ne Prov.le, a carico della quale staranno pure le spese per 1'eventuale trasporto della pesa pubblica».

 

Venuta a conoscenza della spesa per 1'annaffiatura della strada in modo che la polvere non creasse ulteriori problemi agli abitanti del centro, spesa fastidiosa perché considerata insopportabile per il Comune, oltreché non di competenza, si fa avanti la voce dei "Cotonifici Riuniti G. M. Crespi e C. di Lonigo" che con una lettera datata 31 agosto 1911 fa al nostro Sindaco la seguente proposta: «Per evitarvi una spesa siamo disposti concedervi di riempire direttamente nel n. Stabilimento la botte d'inaffìatura purché mandiate nei giorni e nelle ore in cui si lavora.

Ciò in via di prova, poiché, se si dovessero riscontrare degli inconvenienti imprevisti, allora vi concederemo di provvedere con una tubazione da passare all'esterno oppure con altro mezzo più economico. Vi salutiamo con stima distinta».

 

In pari data lo Stegagno annota in matita sulla lettera ricevuta: «Va bene per ora provvedere così» perché, risponderà poi alla "Crespi", «ciò tornerebbe di grande vantaggio a di comodità per tutto il sistema».

E da gentiluomo quale intese sempre apparire, non volle approfittare: «La pregherei di volere se possibile permettere l’esecuzione del lavoro occorrente a cura e spesa di questo ente com.le. Sto in attesa di un cenno di risposta ( ... ) e anticipo sentiti ringraziamenti. Con distinta considerazione».

A margine della "storia" sulla costruzione della tramvia, riportiamo una nota di cronaca che vide coinvolto il nostro avvocato. Un mattino, recandosi a prendere il tram come era solito fare (si è trasmessa nei decenni l'immagine di un uomo dall'incedere frettoloso, accompagnato sempre dalla cartella diplomatica), gli capitò di ... mettere i piedi sotto una ruota.

L’incidente gli costò la perdita delle dita di entrambi i piedi e le conseguenti cure presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna il quale non riuscì a modellargli un idoneo paio di scarpe .

 

Per sua fortuna la soluzione del problema la trovò proprio a San Martino Buon Albergo nella persona del calzolaio Guido Ceolari, che cordialmente gli propose: «Vòlo che pròa mi a fàrghele, avocàto?» .

 

Nello stesso periodo, malgrado il pressante impegno politico, lo Stegagno non rinunciava a coltivare le sua passione per l’arte. In modo particolare molto vivo era il suo amore per la musica.  Lo testimonia il fatto che alle ore 15 del 4 aprile 1909, dopo una serie di incontri tenuti sempre al Caffè Dante, lo vede unito a un gruppo di amici nel Salone superiore della Gran Guardia dove «ebbe luogo l'assemblea dei fondatori della nuova Società “Amici della Musica”, con il «nobilissimo scopo di diffondere la cultura musicale offrendo ai soci il maggior numero possibile di audizioni».

 

Gli faceva compagnia un gruppo «di musicisti e dilettanti decisi a far vivere stabilmente i concerti di musica da camera in Verona»: il cav. Luigi Amistà, cav. Erminio De Marchesetti (che fu il primo Presidente, fino al 1927), sig. Giulio Pellicari, avv. Cav. Ugo Scudellari, rag. Giuseppe Bisoffi, avv. Barone Giuseppe Fiorio, avv. Cav, uff. Riccardo Galli, cav. Vittorio Zorzi.

 

A venti giorni dalla sua istituzione si diede il via alla prima stagione, con abbonamenti fissati in lire 10 («con sconto per i familiari»). Era il 25 aprile. Alle ore 14, nel Salone Sammicheli, il Quartetto Abbiate tenne il primo concerto con musiche di Franck, Boccherini e Debussy.

 

Fu grazie alla tenacia d'uno di quei soci, Umberto Boggian, «mecenate di tante iniziative musicali», se si poterono godere i concerti nella Sala che da lui (post mortem) prese il nome. Essa venne inaugurata il 25 aprile 1926 e si trova incorporata nel complesso di Castelvecchio dove, guarda caso, fanno bella mostra di sé gli affreschi di quell'Angelo Zamboni allievo della "Cignaroli" sotto la presidenza Stegagno.

Sicuramente introdotto nel campo della Lirica, frequentava l'ambiente con i colleghi maestri di musica di Verona, e non solo. La cronaca riporta la sua partecipazione alla cena consumata ai "Dodici Apostoli" in compagnia del maestro Pietro Mascagni che al "Drammatico" (poi diventato "Cinema Tea­tro Nuovo") e che allora era annoverato tra i grandi teatri d'Italia, venne per dirigere le "Maschere" (e in Arena "Il piccolo Marat"). Ma c'è da scommettere che non si sottraesse di accompagnarsi an­che con 1'indimenticato Arturo Tosca­nini che a Verona era di casa.

 

Ci piace riportare la descrizione della serata del 27 febbraio 1910 che ebbe inizio al Teatro Filarmonico in compagnia di Gabriele D'Annunzio e trovò la fine in quello che oggi conosciamo come "Due Torri Hotel Baglioni": «... si trovano attorno al poeta al “Torre di Londra” invitati del Comitato d'Aviazione, col Presidente Carlo De Stefani, il Sindaco Gallizioli... il marchese Fumanelli..., 1'avvocato GioBatta Stegagno ed Ettore Sanson del “Gazzettino”. »

 

Durante il convito, l'Inventore del "superuomo" non risparmiò gran parte del suo sapere e gli illustri ospiti cedettero al menu tematico di "prelibatissime tentazioni" (che desideriamo riportare anche se la notizia può considerarsi di natura frivola):

"Consumato d'aviazione" - trota "alla Forlanini" - asparagi "alla Zeppelin" - aragosta "più pesante dell'aria" - insalata "all'aerodromo" - pezzi duri "congelati a cinque mila metri" - zavorra "di pandoro" - varietà "aeronautiche" ...

 

E possiamo anche immaginarlo a fianco di attori e attrici del Teatro, come Eleonora Duse e le sorelle Irma ed Emma Gramatica (che nel 1913, all’ ”Accademia Montebaldina", ebbe un combattutissimo fuori programma con Filippo Tommaso Marinetti, padre del "Futurismo"), e che pure hanno calcato le scene veronesi, deliziando con le loro rimpiante interpretazioni i palati più raffinati.

 

Nella realtà più prosaica del suo paese invece, come molti  amministratori comunali, lo Stegagno doveva dibattersi in problemi finanziari e non esitava a ricorrere a lotterie per far cassa.

 

Già in una lettera che aveva inviato, il 29 novembre 1907, a S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione chiedeva un sussidio per la costruzione del fabbricato scolastico: «Ma le ristrettissime condizioni finanziarie del Comune, le magre risorse sul quale può fare assegnamento, malgrado abbia già istituito le tasse Comunali sugli esercizi di rivendita, cani, bestiame, e vetture e domestici, la gravosa somma impegnata pel pagamento di diversi debiti esistenti, lo pongono nella necessità di dover chiedere….».

 

Nel 1910 si trovò a dover risolvere la questione intricata del “dazio consumo”, al quale bisognava far fronte assegnando a una ditta l’appalto per l’esazione dell’imposta.

 

Il 25 novembre riceveva dalla ditta Luigi Trezza di Verona una lettera contenente l'intenzione di concorrere per la «percezione diretta del dazio», proponendo condizioni di assoluto vantaggio per l'erario comunale.

 

Dopo aver esaminato quanto predisposto dalla Prefettura in materia, supportato dallo stesso Prefetto che una volta letto il "Capitolato d'appalto" gli consigliava di procedere senza paura, e dopo aver messo al corrente il Consorzio degli Esercenti [16], il Sindaco convocò il Consiglio dal quale ottenne il via libera, sacrificando le proposte di altri aspiranti «esclusivamente per una forma di vantaggio per le casse del Comune».

Il 12 agosto 1911 lo Stegagno propose al Prefetto l'allargamento del Consorzio ai Comuni di Montorio, Marcellise, Lavagno, S. Massimo, Bussolengo, Pastrengo, Avesa, Quinzano e Parona; ma il 21 gennaio 1912 era già di parere diverso, e comunicava all'Alta carica che era sua intenzione svincolarsi dal Consorzio stesso e «provvedere da solo al servizio esattoriale da istituirsi per il prossimo decennio», conferendo l'incarico alla Banca Mutua Popolare di Verona.

La voce "dazio consumo" era molto presente nell'attività amministrativa del nostro Comune, prima e dopo lo Stegagno. Il motivo, facile a capirsi, era racchiuso nelle flebili condizioni di una cassa che una risorsa di questo genere riusciva a rendere meno precarie.

Si pensi che, per non intaccarle oltre misura, si ricorreva a espedienti che andavano dalle richieste di riduzione sui costi dei servizi forniti dalle ditte esterne, all'importanza che si dava al provento derivante dal taglio dei rami delle piante.

 

Se ne vedeva l'utilità, il nostro Sindaco era capace anche di "elemosinare", seppur con uno stile dignitoso. Ne è conferma una lettera datata marzo 1911 inviata all'ing. Gris Amministratore della Casa Trezza: «... contando sulla abituale gentilezza del Comm. Trezza e della S. V. Ill.ma», chiede di ottenere la fornitura di «arbusti di verde per completare il lavoro» di sistemazione dei giardinetti antistanti la chiesa [17].

 

Se capisce che una spesa da sostenere non è di esclusiva competenza della sua Amministrazione, interviene talvolta anche in modo ossessivo fino a che non ottiene il risultato sperato. Lo dimostra lo scontro con il Presidente della Deputazione Provinciale di Verona dal quale pretese il raddoppio del canone per l'uso del selciato della Strada traversa (strada Vicentina) che era sconnesso e inadeguato, e «che reca danno ad automobili e biciclette». E ammette, senza tante formalità, che «il costo (per la riparazione ndr) è elevato e i soldi non ci sono» .  O come nel caso in cui pretese dallo stesso Presidente

il rimborso per le spese sostenute per lo sgombero della neve caduta in maniera preoccupante il 30 dicembre 1912 e il 14 febbraio 1914.

 

Nel 1911 venne compiuto il censimento (il precedente risaliva al 1901 e gli abitanti erano 2003). Ecco al dettaglio gli abitanti di San Martino Buon Albergo:

- Capoluogo 1.291

- Campalto 269

- Centegnano 298

- Mambrotta 507.

Totale 2.365.

 

Il 20 luglio lo Stegagno firma lo “ Stato della popolazione per parrocchia" :

- San Martino (Capoluogo) 1.560

- Mambrotta (con frazione Cente gnano) 653

- San Michele (località Giaron e Casino) 73

- Vago (località Busol, S. Croce, Formighé e Fumanella) 87.

Totale 2.373.

 

 

Dal "Foglio di famiglia" n. 40: "Elenco delle persone presenti nella famiglia o convivenza alla data del censimento" emerge che la famiglia Stegagno abitava al n. 22 di Via Maggiore (l'attuale Via XX Settembre). Sono presenti Stegagno Giulio, negoziante in coloniali; convive Comerlati Rosa, domestica; al momento della rilevazione Giambattista «si trova presumibilmente» a Firenze, ma fa parte dei componenti del nucleo famigliare.

 

 Dal censimento appare che, alla data del 18 maggio 1911, nel convitto delle Suore della Sacra Famiglia sono presenti quindici operaie (probabilmente tutte dipendenti del Cotonificio Crespi).  Le osterie erano circa una ventina. «I éra tante parché i éra pochi quei che podéa permètarse de avérghe el vin in casa». (Testimonianza della signora Emma Spiazzi vedova Zanella).

 

All’ordine del giorno nella Seduta dell’8 dicembre 1912, il Sindaco avanza la “Proposta di concedere un premio di Lire 500 al miglior progetto tecnico finanziario per la costruzione di case popolari su area comunale”. Questo è il suo intervento: «Signori Consiglieri, uno dei più problemi più importanti che si affacciano a tutti i comuni dove sia in prevalenza l’elemento operaio per lo svolgersi delle industrie, e tanto in Comuni grandi come ai piccoli, è quello di costruzioni di case igieniche e, se possibilmente a buon mercato per il popolo. (…) Anche da noi si è constatato soprannumero della popolazione operaia, la quasi totale insalubrità o insufficienza dal lato igienico dei locali abitati specialmente per la contiguità delle latrine alle altre stanze, per l’umidità e la cattiva condizione dei locali.

 

Se si considera poi che l’impianto dei due nuovi stabilimenti industriali Crespi e De Micheli richiamerà in paese a cominciare dal venturo anno, quando i due stabilimenti suddetti saranno entrati nel loro completo funzionamento, un gran numero di persone, finalmente si può vedere come si renda necessario la costruzione di case operaie».

 

Una buona opportunità per i lavoratori provenienti dalla città o dalla periferia, «i quali, per assoluta mancanza di abitazioni devono ritornare alla sera alle loro famiglie».

Il terreno individuato è « zona centralissima»: 2000mq. lungo la costruenda strada «che unisce il Capoluogo alla Raffineria (l’attuale Via Mazzini)»  L’architettura dei fabbricati sarà disegnata dall’ing. G. Mosconi.

Altra zona in cui verranno eretti nuovi edifici è quella lungo la via XX settembre, una volta abbattuto il muro che delimitava la tenuta Musella a est e a ovest dell’oratorio del Drago.

 

Negli anni a seguire l’edilizia avrà un sostanziale nuovo impulso, rinnovandosi nello stile e mettendo a disposizione della gente un sensibile numero di abitazioni. Fra le molteplici richieste c’è anche quella del padre dello Stegagno che costruì una palazzina in stile Liberty (oggi contrassegnata dai numeri civici 2/d e 4 di via Roma) commissionandone il progetto all’ing. Angelo Invernizzi.

 

Prima di deliberare sui lavori di ristrutturazione era solito anticipare l'invito «ad un lavoro di sopralluogo esigendo un dettagliato preventivo» (18 marzo 1914). Chiunque fosse il destinatario incaricato ai lavori, si sentiva raccomandare sempre che «il lavoro dovrà essere eseguito a perfetta regola».

Quando tutto era chiaro metteva al corrente i proprietari dei terreni confinanti dell'esecuzione dei lavori che si dovevano eseguire, assicurandosi che venissero adottate le misure opportune «per evitare disgrazie notturne almeno di lasciare sul posto per tutta la notte una guardia».

 

E ancora aveva l'accortezza di far pubblicare sui giornali la notizia dei lavori da intraprendere; di mettere al corrente le municipalità che potessero essere interessate, e di far apporre opportuni cartelli stradali che rendessero meno difficoltosa la vita ai cittadini.

 

La prova di questa sua pignoleria l'abbiamo incontrata sfogliando i carteggi relativi ai «lavori di sostegno lungo le strade comunali ...», che non tardò a far eseguire «... anche per aderire alle ripetute richieste degli abitanti di ...». Fa sistemare tombini, scoli, cunette [18]. A chi domandava l'autorizzazione a costruire pozzi artesiani perché non c'era l'acqua potabile, come a Ca’ del Ferro, lui rispondeva favorevolmente anche se un "sì" non bastava perché la burocrazia aveva le sue regole.

 

E di pozzi a sifone per trarne acqua potabile ad uso pubblico ne fece costruire a Mambrotta, Centegnano, Campalto, nella Piazza del Municipio, in Camillion, alla contrada Ponte del Cristo e, partecipando alla spesa con il cinquanta per cento, anche a Marcellise.

 

Acqua che si preoccupava fosse sempre potabile, anche a costo di dover abbassare il livello della pesca delle pompe. A tale scopo non furono poche le richieste di analisi di laboratorio che faceva eseguire presso l'Ufficio d'Igiene e Sanità del Municipio di Verona, il quale le passava alla Stazione Agraria avente sede presso il Regio Istituto Tecnico in Piazzetta S.S. Apostoli.

 

Non era da farsi meraviglia, a quei tempi, se le richieste venivano indirizzate all'Amministrazione comunale da persone indirettamente interessate.

Uno dei casi è che fosse la maestra della scuola di Mambrotta (Maria Marangoni, l' l luglio 1913) a farsi portavoce della frazione per ottenere la riparazione del pozzo a sifone che non funzionava.

 

Un altro caso vide protagonista don Luigi Grigolini, parroco di quella frazione, che interpretò l'umore della gente e si fece carico di surrogarla chiedendo all'Amministrazione di «... pensare e provvedere ai gravi bisogni delle frazioni, le quali non chiedono gravi sacrifici ma s'appagano delle briciole di pane che cadono da lauta mensa». E ammonì: "...qui siamo in un deserto, fuori dall'umano consorzio». Una missiva così "calda" che a leggerla per intero, se non si sapesse che era stata scritta da un prete, si direbbe imbevuta di una... cordiale acrimonia.

 

Il pretesto di questo scritto era quello di ottenere l'energia elettrica per le case, per la chiesa, per far funzionare i motorini per scavare l'acqua in tempi di siccità e per far «muovere le trebbiatrici per battere il frumento».

Lo Stegagno non gradiva che la popolazione avesse di che lamentarsi per i ritardi nelle riparazioni delle strutture, perché considerava come primario il servizio di erogazione dell'acqua. E allora non mancava di biasimare l'operato del manutentore, nonché le decisioni di qualche Consigliere comunale che si prendeva la libertà di impartire ordini senza mettere al corrente l'Amministrazione, al quale intimava «di riferire sui fatti per regolare la posizione».

 

Nonostante lo sforzo profuso in questa direttrice, il problema dei pozzi e dell'acqua in genere se lo trovò anche in veste di Consigliere comunale, fino a quando a reggere le sorti del paese subentrò il sindaco Leonzio Lonardoni.

 

Malgrado il pesante impegno politico il suo interesse per la cultura rimaneva invariato. Risale al 1913 la sua elezione a Presidente dell’Accademia Cignaroli [19] per il triennio 1913-1915, in seguito ne restò socio fino alla morte.

 

Alle ore 16 del 21 febbraio 1913 si tenne presso la Sede Sociale dell'Accademia la "Seduta e consegna di Reggenza" controfirmata dallo Stegagno che ne assume la presidenza succedendo al Giulio Segala che abbandonò l'incarico alla vigilia della scadenza del mandato per il sopravvenire di una malattia. Il nuovo Presidente, dopo aver ringraziato il Corpo degli elettori per avergli dato fiducia, «assicura... ogni cura alla maggior prosperità dell'antico e glorioso Istituto».

 

Ci piace immaginarlo a capo di una compagine formata da Berto Barbarani, Ettore Fagiuoli, Arturo Weingrill, Filippo Nereo Vignola, Carlo Camuzzoni, Angelo Pegrassi, Luigi Poggi, Attilio Spazzi, Giuseppe Rizzardi e altri personaggi che hanno impreziosito con il loro "mestiere" quei decenni di vita veronese. Lo Stegagno li considera «... valorosi artisti ed appassionati amatori d’arte la cui presenza è di onore all’Accademia…».

 

La sua prima presa di posizione fu a favore dell'amico Angelo Dall'Oca Bianca che si era trovata edita una pubblicazione delle sue opere da parte delle Arti Grafiche di Bergamo senza averne dato il consenso. Ne scaturì una diatriba, della quale si era interessato il Tribunale di Bergamo, che si concluse con il riconoscimento dei diritti agli artisti.

 

A ridosso di questi fatti, venendo a morire a Campofontana (9 agosto 1913) il socio «e nobilissimo artista Vittorio Avanzi», lo Stegagno si preoccupò di salvare i "bozzetti" rimasti nell'abitazione che sono considerati più importanti dei quadri stessi «per quel particolarissimo fascino che ha l'impressione del vero». Saranno 100 quelli che la vedova Avanzi cederà all' Accademia.

 

 

Nel corso della sua Presidenza si interessò del lavoro degli alunni che nel frattempo aumentavano di numero. Ne esigeva la critica degli insegnanti e li incoraggiava con premi speciali nonostante le condizioni di cassa piangessero miseria e lo consigliassero di sospendere alcuni corsi speciali. Alcuni di essi ebbero talento quanto basta per  meritare inviti a importanti mostre e per essere ricordati e annoverati nelle innumerevoli pubblicazioni stampate dentro e fuori i confini veneti. Correndo il rischio di dimenticarne qualcuno, ricordiamo: Pino Casarini (Verona 1897-1972), Guido Trentini (Verona 1889-1975), Angelo Zamboni (Verona 1895-1939), Guido Farina (Verona 1896-Padova 1957), Amos Ernesto Tomba (Verona 1898-1973) e Aldo Franzoni (Verona 1900-1978).

 

Nella città scaligera, come segno tangibile della sua opera condotta con influenza culturale, con interventi giornalistici e politici, con paziente insistenza e con altrettanta passione degna di un «figlio devoto di Verona, innamorato della sua bellezza d’incanto» -come ebbe a scrivere nella sua relazione di fine mandato- rimane la piazza alberata dietro l’abside della chiesa di Santa Anastasia che apre uno splendido scenario sull’Adige, sul Ponte Pietra, sui resti del Teatro Romano e su Castel San Pietro.

 

Quasi nello stesso periodo divenne Presidente del "Comitato Veronese per la Difesa del Paesaggio e dei Monumenti", del quale fu fondatore assieme al console del Touring Club Italiano, L. Modena. Ricoprirà tale carica  per quattordici anni.

 

In qualità di Presidente del Comitato nel 1914 la sua voce si unì a quella di Giambattista Biadego (allora direttore della Biblioteca civica) e della Commissione Conservatrice, gridando alla "profanazione" e opponendosi alla decisione del Comune e del Soprintendente di costruire un «vespasiano ipogeo nel cortile di Mercato Vecchio, per far scomparire sottoterra quanto ( ... ) era massicciamente e fastidiosamente percepibile nelle vecchie strade del cuore di Verona ... ».

 

Con tutte le sue forze, forse paragonabili a quelle sprigionate da un altro amante di Verona quale era il contemporaneo e più conosciuto Angelo Dall'Oca Bianca - che uscì vincitore dalla polemica in difesa dell'integrità monumentale di Piazza Erbe -, si adoperò coinvolgendo l'opinione pubblica intervenendo con fermezza sui giornali locali e presso le autorità civiche perché non fossero compiute, dentro e fuori le mura cittadine, malefatte non più recuperabili.

 

Affinché nulla andasse perduto o deturpato del patrimonio custodito, si fece largo tra il "mare magnum" di trattati, segnalazioni, osservazioni che si susseguirono nel tempo facendo sentire la sua opinione con un saggio dal titolo significativo: "La difesa delle bellezze naturali in Verona e Provincia" [20]

 

In esso vengono presi in considerazione luoghi e particolari che possono sembrare di irrilevante importanza a chi non è nutrito di amore per la bellezza della natura: dal masso erratico del monte Bezzo, al platano secolare di Caprino, dalla spiaggia di San Vigilio, alla Rocca del Garda, dal Parco Pompei a Illasi, al giardino Franco-Lebrecht a S. Floriano di Valpolicella, dal Giardino scaligero di Piazza Indipendenza, alla Flora del Teatro Romano, da una nuova piazza e un nuovo giardino pittoresco, al Parco di Porta Nuova, all’impoverimento del fiume Adige.

 

Questo ci autorizza a considerare lo Stegagno come una persona che "si muoveva" nella provincia con l'intento di "vedere" quanto di interessante ci fosse da salvare.

 

Leggendo la lettera ospitata da "L'Arena" il 12 novembre 1916 dal titolo "Ancora una battuta sul lazzaretto" [21], che a lui servì per ribadire al Comune di Verona la «necessità di provvedere ( ... ) alla ricostruzione della cappella caduta da parecchio tempo in frantumi», il lettore può ben farsi una ulteriore idea di quanto lo Stegagno stesse attento all' evolversi dei fatti che interessarono quella costruzione e altre realtà, e poterlo così contemplare fra le persone informate sui particolari e sulle altrui proposte prima di esporre il proprio pensiero. 

 

Per tornare allo Stegagno Sindaco, l’ultimo suo intervento di importanza quanto mai rilevante per il paese, iniziò il 10 marzo 1914. Si trattava del progetto di costruzione di un acquedotto comunale «mediante utilizzazione della forza da derivare dal salto della Cengia».

 

Quattro Ditte intervennero a offrire i loro servigi senza risparmiarsi nel sottoporre progetti opportunamente illustrati e i relativi capitolati di spesa: la Ditta "Bazzan e Lonardi", la "Società Italo-Svizzera Riscaldamento già G. Abbiati & C.", la "Galtarossa-Gasparini" e la "Franchini-Stappo" che si era fatta una buona pubblicità nel 1913 portando a termine l'acquedotto di San Michele Extra. Al Consigliere Galli (della minoranza, ndr), proprio perché ingegnere, venne dato l' incarico di valutare le proposte.

 

Dopo una lunga relazione nella quale si svilupparono gli aspetti tecnici ed economici, non ultimo quello del tempo in cui si sarebbe riusciti ad ammortizzare la spesa, il Sindaco insistette che tutto venisse deciso prima delle elezioni, suffragando l'iniziativa con una lista di vantaggi immediati per il paese, primo fra tutti quello di scongiurare un'epidemia di tifo che si stava manifestando in paese: «Con l'acquedotto verranno provvisti di acqua i cessi delle scuole comunali, come stabiliscono le più recenti disposizioni scolastiche, poi sarà evitata la spesa annuale di inaffiamento stradale del capoluogo che costa non meno di lire 700 annue; sarà risparmiata la spesa di manutenzione delle pompe e dei pozzi comunali che costa oltre lire 200 annue; sarà con facilità provveduto alla estinzione d'incendi ...».

 

Se per il Sindaco c'era la ferma convinzione che «non è atto di buona amministrazione attendere una epidemia per dar mano a questo progetto», per l'Ufficiale Sanitario, che gli riferiva sulle condizioni igieniche del paese, era facile confermare che la costruzione di un acquedotto è «il solo mezzo ed il migliore per dare acqua potabile a tutte le famiglie».

Il progetto vincente, «uno dei migliori che una Amministrazione possa portare», non molto dissimile da quello della "Galtarossa-Gasparini", sarà presentato dai "Fratelli Giovanni e Giulio Franchini-Stappo". Verrà approvato 1' 8 maggio 1914.  Ora resta solo da immaginare la corrispondenza che si incrocia tra le varie direttrici, non ultima quella con l'Amministrazione Economica del Comm. Cesare Trezza, nella persona dell'ing. comm. Costante Gris, che concede il terreno escludendone a priori la vendita.

Con l'acquedotto cesseranno anche di arrivare in Comune lamentele simili a quelle fattegli

pervenire da «3 fittuali» che accusavano la famiglia Trezza di impedire di bere l'acqua del pozzo e di essere costretti ad attingere al Fibbio. Lo Stegagno ebbe uno scambio epistolare con la nobile Famiglia intimandola a recedere da un simile comportamento. Per contro ebbe la rassicurante risposta che non dipendeva certo da una volontà personale, ma dal fatto che il sifone del pozzo era continuamente guastato per l'indisciplinato uso esercitato da certi ragazzi.

 

 Prima che il mandato dello Stegagno scada, c'è ancora la possibilità di assistere a un'altra crisi comunale. Il pretesto nasce da un presunto illecito sulla nomina di una maestra di  Mambrotta  e dall'accusa mossa dai Consiglieri di quella zona secondo la quale le frazioni non godono dello stesso trattamento riservato al capoluogo.

 

La discussione si accese nella seduta del 16 marzo 1913. Lo Stegagno non incassa: «La Giunta accusata di avere commesso atto di ingiustizia è stata colpita nel suo più geloso elemento quello della correttezza della rettitudine della giustizia nell'amministrazione (...) Che la Giunta abbia agito con giustizia lo provano non solo le ragioni obbiettive addotte in tutti i sette anni di amministrazione nei quali mai un atto o una deliberazione fu improntata a criteri di settarietà o di favoritismo».

 

Il 30 aprile mancarono all'appello i Consiglieri di opposizione. Il Sindaco ne prese atto e rinnovò la sua intenzione a dimettersi e con lui, la Giunta.

Prospettandosi ancora una volta lo spettro del commissariamento, un Consigliere di maggioranza lo esortò a ricredersi e a ritirare le dimissioni pur riconoscendo che il comportamento della minoranza era assai fuori luogo: «In ogni modo anche se la colpa è degli avversari sarebbe bene da parte nostra si trovasse il modo di evitare il danno che si lamenta».

L'8 giugno si tennero le elezioni suppletive e lo Stegagno ebbe la soddisfazione di vedersi rieletto. Non solo: il Consigliere Galli a nome della minoranza saluta il Sindaco che «anche in passato potè trovarsi d’accordo con la minoranza su molti affari e discussioni; augura che il buon accordo possa verificarsi anche da ora in poi».

 

 Il giorno della prima elezione a Sindaco del paese è ormai lontano. Il suo tempo sta per scadere. Alle ore 9 del 2 agosto 1914 presiede per l'ultima volta il Consiglio comunale. In quella seduta straordinaria consegnerà il testimone a Virgilio Mosconi che verrà eletto Sindaco con otto voti su dodici (le quattro schede bianche sono della minoranza) e con tutta la solennità formale che il rito comportava.

 

La mancata lettura del verbale della seduta del Consiglio cessato, reputata «non necessaria a un Consiglio nuovo», allo Stegagno sembra un torto e un affronto: l’avrebbe preferita, fosse solo per dare un segno di continuità.

 

Ma non mancano i toni della cordialità. L’ormai ex sindaco saluta i colleghi caduti, ringrazia con particolare calore l"'oppositore" signor Luzzo riconoscendogli «grande competenza di cose amministrative». Anche il Barbarani ha parole encomiabili per «il compagno sig. Luzzo che non fu rieletto con grande danno di questa amm.». Ma le parole più calde sono per lo Stegagno. Il nuovo eletto «Ricorda che se è orgoglio per l'avv. Stegagno di aver rappresentato il Comune per otto anni coprendo la carica di Sindaco in modo veramente encomiabile il paese di San Martino, considererà sempre un grande onore di aver avuto per Sindaco una persona della bontà, del valore e della intelligenza dell' avv. Stegagno amato e stimato da tutti».

«Il 3 agosto 1914 a ore ant. 9 nel Municipio si riunirono i signori Stegagno avv. G. Battista, Sindaco cessante, Migliorini Zeno assessore anziano della nuova amministrazione, assistiti dal segretario com.le Sig. Sartori Vittorio.

L’avv. Stegagno fa la consegna dell'ufficio all'assessore anziano sig. Migliorini Zeno il quale dichiara di averlo ricevuto in consegna.

Si stabilisce d'accordo che la verifica di cassa verrà eseguita alla Sede esattoriale in Verona lunedì 17 corrente mese ore 11».

 

Oltre alle importanti delibere viste sopra, una miriade di piccole cose da gestire, che sono simboliche per un attento amministratore, si trova a dismisura nascosta tra le pieghe dei capitoli Assistenza e beneficenza, Istruzione pubblica, Sicurezza pubblica, Opere Pie, Stato civile, Leva e truppe, Grazia Giustizia e Culto, Sanità e igiene, Finanze, Governo, Polizia urbana e rurale, Lavori pubblici, Agricoltura Industria e Commercio, Oggetti diversi...

 

Tutte problematiche che riempiono di cose discusse, fatte e da farsi, i polverosi faldoni conservati nell'Archivio comunale.

 

Per dare, in conclusione, l'esatta dimensione dell'assunzione della responsabilità che lo ha coinvolto  con l'elezione a Sindaco, diremo che - salvo errori - egli ha presenziato a tutte le sedute Consiliari fin dal momento della loro apertura. Tranne una: il mattino del 25 settembre 1910. Entrò in aula alle ore 9.10, con ben ... 40 minuti di ritardo. 

 

Dello Stegagno si conosce l'impegno che profuse, anche dopo il suo mandato, per la soluzione di alcuni problemi interni al Comune. Smessa la fascia tricolore, egli restò attivo nella politica e nella vita di questo Comune con l'incarico di Consigliere comunale che lo vide costantemente in prima linea a incalzare l'Amministrazione del Mosconi. Che questi non avesse vita facile lo si era visto fin dalla prima seduta quando il nuovo Sindaco scattò «con una frase vivace contro il valore delle interpellanze della minoranza; i consiglieri Stegagno e Barbarani replicarono pure vivacemente e quindi abbandonarono l'aula».

 

Se con la sua ascesa all'oneroso incarico era trovata sul piatto, già servita, l'aggregazione al Comune di San Martino della Borgata (o Frazione) del Ponte del Cristo, appartenente precedentemente al Comune di Montorio, come Consigliere comunale si adoperò per la risoluzione dell'aggregazione del Comune di Marcellise e di porzione di territori dei Comuni di Montorio Veronese e San Michele Extra a quello di San Martino Buon Albergo.

 

La documentazione conservata negli archivi è testimone delle difficoltà che tali operazioni comportavano.

Egli è ancora in prima linea quando entra a far parte del "Comitato di Assistenza per le famiglie dei Soldati" (o "Comitato di Soccorso per lo stato di Guerra"). Il Comitato, costituitosi spontaneamente come risulta dal Verbale di seduta del 27 maggio 1915, è così composto: Presidente è il Sindaco Mosconi Virgilio; sono consiglieri Stegagno avv. G. B. e Barbarani Giulio; seguono Benoni dott. Aurelio medico chirurgo condotto, Talamini Antonio Presidente della Congregazione di Carità, Nicolis cav. Epifanio conciliatore, Dal Merlo Alessandro, Faccini Giulio e don Virgilio Ambrosini.

 

Sua è la lettera inviata al Sindaco di San Martino B. A.: «In risposta alla circolare prefettizia (...) riguardante le somme raccolte per i soccorsi alle famiglie dei morti, o feriti in guerra (“nella guerra contro l'Austria”, specificava la richiesta del Prefetto Zoccatelli, ndr) (...) ci pregiamo riferire che tutte le somme che furono raccolte da questo Comitato ebbero lo scopo precipuo di soccorrere ed assistere le famiglie più bisognose dei soldati e specialmente quelle dei richiamati ... ».

 

Un fatto piuttosto eclatante destinato a puntare i fari sullo Stegagno per qualche tempo ancora, si verificò il 10 novembre 1915, quando, Consigliere di minoranza, diede le dimissioni trascinandone con sé altri tre.

 

Il 17 dicembre i Consiglieri di maggioranza gli riconobbero «1'opera intelligente di collaborazione e di controllo» con la speranza di farlo tornare sulla sua decisione «pel bene del Comune». Queste affermazioni spinsero il Mosconi a inviargli una lettera con la proposta di revoca delle dimissioni.

 

Considerato lo stato di irremovibilità dei quattro, si dimisero anche tre Consiglieri di maggioranza, aprendo così una crisi che durerà fino al 10 ottobre 1920. Nel frattempo, le sedute consiliari si tennero sotto la presidenza dei vari commissari prefettizi e poi di Giulio Barbarani, Sindaco facente funzioni. A partire dal settembre 1919 reggerà le sorti del Comune il Commissario  Giuseppe Zavarise.

 

Ricomposto che fu il Consiglio, lo stesso Commissario ringraziò «vivamente il Sig. Giulio Stegagno per l'opera veramente preziosa portata al Comune ( ... ) e il Sig. Avv. Stegagno, qui presente, per quanto fece pel piano edilizio d'ampliamento».

 

Grato «per le gentili espressioni», non evitò di biasimare l'operato «di qualche predecessore la cui opera fu veramente di nulla». E, considerato che «vede salire volentieri al potere la classe lavoratrice (...) intende di collaborare anche stando all'opposizione».

Ritenendo che il programma attuale fosse di suo gradimento, aggiunse che la sua presenza sarebbe stata orientata al controllo e alla critica. E si augurò «che abbia a ritornare la calma che ha formato sempre buon nome alla laboriosa popolazione di San Martino».

 

Questo suo insistere su una Amministrazione della quale «non può più fidarsi» gli procurò, se non altro, la soddisfazione di veder approvate molte delle sue interpellanze.

Per la maggioranza lo Stegagno fu una costante presenza ingombrante, una spina nel fianco. Rilevante importanza rivestirono le sue interpellanze per dare risposte ai bisogni della gente senza lavoro, individuando nella manutenzione delle strade e nella cura del verde pubblico elementi efficaci alla bisogna; si preoccupò delle necessità economiche dei rimpatriati; insisté perché le paghe agli operai fossero adeguate; richiamò alla sollecitudine nelle opere la cui esecuzione ritardava. Pretese che, per acclamazione, venisse conferita la Medaglia d'oro al dottor Cav. Aurelio Benoni nell'ambito di una manifestazione in suo onore, «per i 45 anni consacrati come medico condotto senza interruzione».

 

Dovette giocare tutte le carte della persuasione per convincere che non vi era forma migliore per rendere onore ai Caduti in guerra che non fosse quella di erigere un monumento; anche se si trovò a fronteggiare una discussione sull'alternativa di una lapide da porre all'interno del Municipio e sul costo da sopportare che, secondo lui, non andava di molto sopra le 29.000 lire, contrariamente alle altrui ipotesi che avanzavano lo spettro di una somma raddoppiata se non triplicata.

 

E il Monumento, opera dello scultore Eugenio Prati, venne inaugurato la domenica 30 settembre 1923. Vi partecipò «una folla enorme». La cerimonia ebbe «inizio alle ore 9 con un elevato discorso di consegna del monumento al Comune, pronunziato a nome del Comitato, dall'avv. Stegagno, il quale viene calorosamente applaudito».

 

"L'Arena" ne dette ampia descrizione ricordando i nomi degli illustri intervenuti. Fa piacere ricordare che «durante il rito (celebrato da don Virgilio Ambrosini, ndr), un gruppo di bambini ha cantato un coro musicato dal sig. Romolo Nicolis» e che, dopo «la commossa orazione detta con voce vibrante di fede e di sincerità», tenuta dall'ufficiale avv. cav. Ignazio Chiarelli, valoroso mutilato di Mel (Belluno), il Balilla B. Venturi recitò «una bella poesia espressamente composta per l'inaugurazione dal prof. Barbarani». 

 

Per l'occasione si organizzò «una grande e ricchissima originale pesca di beneficenza pro monumento», e la giornata si concluse «con l'illuminazione del paese (tutto imbandierato ndr) e del monumento, a luci variate e con riflettori di bellissimo effetto ...».

 

Il suo progressivo distacco dalla vita politica sanmartinese, si era nel 1923, fu originato da una trappola in cui fu fatto cadere dai capi del fascismo veronese.

 

Precedentemente sollecitato dalla Segreteria veronese del partito Fascista che gli assicurava la vittoria a candidarsi alla nomina di Podestà, aveva più volte spiegato agli amici e allo stesso Segretario del Fascio che tale carica sarebbe stata più opportuna per un iscritto al partito, visto che proprio lui aveva determinato la caduta dell'Amministrazione precedente. Inoltre, a dissuaderlo dall'accettare la proposta, c'era il suo lavoro che lo avrebbe privato del tempo per esercitare come si conviene entrambe le funzioni. Niente da fare!

 

Il suo nome era già scritto e concordato, assieme a quello dell'assessore anziano. Accettò:  «Nella riunione Consigliare dell' 11 successivo poi, con i colleghi Marchiori e Peretti e non so se altri, ebbi in distribuzione dal segretario del Fascio la scheda portante i nomi concordati, con la mia indicazione a Sindaco e quella del collega Marchiori ad assessore anziano».

 

Invece, rinnovato per buona parte il Consiglio, si tengono le elezioni che vedono vincitore Leonzio Lonardoni con 10 voti su 14. I 4 mancanti sono per lo Stegagno. 

Da allora in poi, come scrive Piero Piazzola in “Qui San Martino” «Il capoluogo veronese diventò centro e anima della sua operosità, fulcro del suo grande amore per l'ingente patrimonio artistico e storico che esso vanta».

 

Nel numero unico "Pro Verona", stampato nel 1925, a pagina 19 è presente un suo intervento dal titolo "Il nuovo Giardino di Brà Molinari". In una cinquantina di righe - altro non è che un breve reportage sull'abbattimento delle vecchie case del Va' Brà Molinari a ridosso dell' abside della basilica di S. Anastasia, avvenuto nell'aprile del 1913, che favorì il crearsi di una piazza, dei giardini e l'ampliamento del Liceo Maffei - esalta quanto di bello si possa ammirare al di là della sponda dirimpettaia a quella di detta basilica. L'iniziativa, di cui si era fatto portavoce, supportato dal Preside di quella scuola e dal Parroco di quella chiesa, trovò il consenso delle Amministrazioni del Comune e della Provincia.

 

Si consacrò anche a un altro alto ideale e tanto lavorò per conseguirlo che ottenne, in collaborazione con il Podestà comm. Vittorio Raffaldi , di promuovere una festa speciale  che fu denominata il "Giorno di Verona". La manifestazione si svolse con grandissimo successo il 26 maggio 1927 coinvolgendo la popolazione che si ritrovò nei punti più significativi della città, ed ebbe il suo epilogo al Teatro Filarmonico. Fu in questo Teatro, dove al culmine della festa si raccolsero le massime autorità cittadine e buona parte della borghesia, che l'illustre sanmartinese tenne il discorso ufficiale, ritenuto «un bellissimo inno a Verona» le cui «finezze dello svolgimento» misero in evidenza la sua passione per la città scaligera e le conoscenze sui fatti storici che l’avevano attraversata  e resa famosa nel mondo.

 

Riguardo alla manifestazione, ci è d'obbligo segnalare che il quotidiano "L'Arena" concesse ampia pubblicità a partire dall’antivigilia «Poi prese la parola il profondo storiografo avv. Stegagno, il quale iniziando il suo dire dai primordi della storia veronese, trasportò il folto uditorio attra­verso secoli e secoli di decadenza e di splendori, di sconfitte e di vittorie, fino ai nostri giorni, sof­fermandosi, maggiormente, sul periodo della Signoria Scaligera, periodo in cui Verona vantò quale ospite illustre il maggior cantore della poesia italiana. L’oratore che parlò per circa due ore, venne alla fine ripetutamente applaudito». (L'Arena, 27 maggio 1927).

 

In veste di  scrittore storico, egli promosse, diresse e collaborò in prima persona alla compilazione di molteplici inventari di cose artistiche e pregevoli esistenti in alcuni paesi della provincia, la cui serie si concluse con la bella “Guida di San Martino e Marcellise”.

 

Data alle stampe nel 1928, illustrata con tre opere a colori di Guido Trentini e corredata da una ricca documentazione fotografica opera di Giovanni Belli, la prima e aggiornata guida storica conduce alla scoperta delle due località delle quali, con un’insospettata par condicio, l’Autore, oltre a profondere una esaltazione poetica degli aspetti originari e naturali, traccia una studiata panoramica dell’eterogeneo mondo produttivo operante nel territorio nel primo quarto di secolo.

Sua è la descrizione riguardante "Le Pale di Girolamo Dai Libri e di Francesco Morone a Marcellise"[22], che ha avuto il merito di erudire i suoi contemporanei e i posteri sulla controversia insorta tra la famiglia Dal Pozzo e la Fabbriceria [23] di Marcellise riguardante la proprietà delle due opere d'arte. Dopo una movimentata diatriba che tenne banco nel 1819 dentro e fuori le aule dei tribunali, le Pale trovarono una degna collocazione nella chiesa dell'amena frazione di San Martino Buon Albergo dedicata a San Pietro in Cattedra. *

 

L'Arte, in genere, doveva rientrare fra i suoi interessi principali. Nel 1935 pubblicò una breve ma dettagliata monografia su "Giovanni Ruskin" critico d'arte e riformatore sociale, esteta e osservatore dei mutamenti della società. La sua teoria era quella secondo la quale «L'arte figura come un mezzo per innalzare il tono della vita spirituale», e asseriva che «il paesaggio è il volto della patria». [24]

 

Persona attenta ai segni dei tempi, era perfettamente consapevole che il periodo in cui viveva era ideale per consegnare al posteri un patrimonio inestimabile di oggetti e opere d'arte di interesse storico-scientifico.

 

La città e la provincia pullulavano i musei: quello Civico di Storia Naturale, quello di Castelvecchio era diventato una pinacoteca che andò ad aggiungersi a quella Capitolare e a quella della Fondazione Miniscalchi Erizzo; poi c'era il Museo Lapidario Maffeiano e quello archeologico del Teatro Romano. Altri Musei come quello sulla tipografia, sull'incisione artistica, sull'agricoltura, sull'arte sacra, uno atesino e uno sulla grafica sportiva rimasero solo allo stato di progetto e non mancarono coloro che ne auspicavano l'apertura. Lo Stegagno, con l'appoggio di A. Vanzetti e G. F. Betteloni, perorava la causa per l'apertura di un museo shakespiriano.

 

L'indole poetica lo ispirò a comporre una serie di "Armonie, liriche e libere versioni" che vennero raccolte in un volume dal titolo "Armonie" edito nel maggio 1939 per i tipi de "La Tipografica Veronese" di Verona.

 

Il merito della pubblicazione In memoriam (sedici mesi dopo la morte dell'Autore) va ascritto al cugino dello Stegagno, Giuseppe, che incaricò Alfonso Lanza di curarne l'opera scegliendo il meglio fra tutta la produzione. Lo stesso Lanza scriverà al committente d'aver scelto i «lavori più significativi», dove vi si possono trovare «ricchezza di  sentimenti familiari, amore di Patria, culto particolare per la città natale, interpretazione soggettiva degli aspetti naturali, senso profondo della morte, espresso in note di velata, presaga malinconia».

Le otto "versioni libere" tratte da altrettante poesie di autori stranieri, testimoniano l'ampio orizzonte culturale di Giambattista Stegagno. Di essi privilegiava i «sentimenti, visioni d'emozioni ch'erano anche Suoi»; e vi scorgeva «affinità e relazioni di somiglianza con l'anima propria e di canti ancora inespressi».

 

 Scorrendo le pagine delle "Versioni libere" possiamo notare quanto la sua passione per la Poesia si coniugasse a quella per la Musica: vi troviamo infatti due significativi brani intitolati "Sera" da Albert Samain, dove traspare la figura di Robert Schumann, e "Beethoven" da Robert De Bonnier, dal quale traduce: «Lo spirito, sempre cercando gli abissi dell'arte, meditò fieramente il vasto silenzio dei cieli».

 

            Non fu una lunga vita... Minato da una "paralisi progressiva", dopo essere stato cristianamente assistito dal parroco don Virgilio Ambrosini che gli somministrò l'ultimo dei Sacramenti, trovò fine alla vita terrena il 23 gennaio 1938. Aveva 58 anni.

 

La "Scheda individuale" conservata nell'archivio rotante nell'Ufficio Anagrafe del Comune ci informa meticolosamente su alcuni dati riguardanti il decesso e post-decesso: Avvocato, Possidente, Celibe; morto in via Roma 2 «alle ore una e minuti nessuno antimeridiane» il 25 gennaio 1938, XVI Era Fascista.

Il luttuoso annunzio suscitò vasta eco in Città. Il giornale "L'Arena” ne dava annuncio il giorno 24 nella rubrica "Sotto i cipressi" svelando alcuni particolari nascosti alle comuni conoscenze:

- "si occupò per la costituzione della Associazione Pro San Martino";

- "provvide alla ricostruzione nei pubblici giardini del ceppo 'Bono Evento' che testifica l'antica denominazione romana";

- "fu Consigliere del Comune di Verona e come tale sostenitore dell'integrità di Piazza Erbe, appoggiato da Angelo Dall'Oca";

- "dell'Accademia Cignaroli fu (oltre che Presidente) 'Socio perpetuo"';

- "era stato corrispondente per un ventennio del 'Gazzettino' e collaboratore nella rivista 'Il Garda".

 

Il giorno successivo la stessa testata riporta lo svolgimento dei suoi funerali: «Un lungo corteo di parenti, autorità, signore, estimatori, Istituti e concittadini ha partecipato alle estreme onoranze del compianto avvocato Giovanni Battista Stegagno, svoltesi in S.Martino B. A.

 

Precedevano i bambini dell'Asilo Infantile Antonini di S. Martino B.A. invitati dalla famiglia, seguiti da quelli dell'Asilo Infantile di S. Michele Extra invitato dai parenti e dalle Orfanelle di Lourdes delle Orsoline inviate dagli amici. Seguiva il clero con 12 sacerdoti - la bara ricoperta da ricco tralcio di fiori del padre - di scorta l'Associazione del Fante di S. Martino B.A.

 

Reggevano i cordoni il Podestà di S. Martino B.A. conte Zamboni Montanari, l'avvocato Tommasini per il Foro di Verona, l'avv. Barbieri in rappresentanza del Podestà di Verona, il cugino cav. Attilio Stegagno, l'amico Francesco Marini, i parenti con i cugini, prof. Nordera, dr. Nordera, prof. cav. Arturo Stegagno e molti altri parenti.

Pure larga rappresentanza di colleghi dell'estinto. Sono pure intervenute rappresentanze della Accademia Cignaroli, del Museo di Castelvecchio, dell'Intendenza ai monumenti e gran folla di popolo.

 

Giunto nella arcipretale, dopo il rito religioso, il corteo si è ricomposto avviandosi al cimitero dove ha porto l'estremo saluto quale rappresentante il Foro di Verona, l'avv. Tommasini. Per S. Martino B.A. ricordandolo quale amministratore e cittadino parlò il Podestà cav. Zamboni Montanari. Quale allievo e concittadino, l'avv. L. Selmo.

 

Ha ringraziato il prof. G. Stegagno di S. Michele Extra. Indi la salma è stata tumulata nella tomba di famiglia.  Rinnoviamo le nostre condoglianze».

 

Il giorno 28 venne riproposto il suo ricordo con un breve articolo: ''L'Avvocato Stegagno commemorato in Tribunale". «Ieri mattina all'udienza civile della I Sezione del nostro Tribunale è stato commemorato il compianto avv. Giovanni Battista Stegagno. Per il Sindacato avvocati e procuratori l'avv. Gabelli rievocò la figura dello scomparso nell'esercizio professionale, nella pubblica amministrazione, nel giornalismo e il suo appassionato amore per Verona il cui nome tenne alto anche come presidente dell'Associazione movimento forestieri. Con calorose parole volle associarsi alla rievocazione il presidente avv. Modena in nome della magistratura veronese».

 

A un mese dalla scomparsa, il padre, "in memoria”, offrì "agli Asili Infantili di S. Martino B. A. e Mambrotta alcune copie della Guida del territorio del Comune di S. Martino B.A.”.


 

a cura di Luigi Ferrari


[1] Questa la situazione anagrafica del paese al 31 dicembre di quell’anno:

-nacquero 26 maschi e 32 femmine;

-morirono 19 maschi e 19 femmine;

-immigrarono 66 maschi e 66 femmine;

-emigrarono 58 maschi e 57 femmine;

-vi abitavano 911 maschi e 870 femmine;

per un totale di 1781 persone;

rispetto all’anno precedente il paese era aumentato di 34  maschi e 94 femmine.

 

[2] A quei tempi, terminate le scuole elementari, il primo ciclo di scuola successiva prendeva nome di ginnasio e aveva la durata di cinque anni. La scuola superiore terminava con tre anni di Liceo a cui seguiva l’Università.

 

[3] Verona fine Ottocento.  Giacomo Muraro, Edizioni di Vita Veronese, 1967, pag. 142.

[4] Rispetto alla precedente, la nuova legge elettorale abbassava il limite d’età da 25 a 21 anni, poneva come requisito essenziale la capacità e non il censo, che veniva abbassato da 40 lire a 19,80, lasciato come alternativa all'esame di II elementare. Pertanto gli elettori che nel maggio 1880 erano stati 623.896, pari al 2,2% della popolazione totale del regno, nelle elezioni dell'ottobre 1882, che furono le prime fatte in base alla nuova legge, passarono a 2.217.829 , pari al 6,9% della popolazione totale. In pratica una parte notevole della classe operaia ottenne nel 1882 il diritto di voto. D'altra parte escludendo dal voto le masse degli analfabeti, la nuova legge in linea generale favoriva le città rispetto alle campagne e il Settentrione rispetto al Mezzogiorno .( Legge Zanardelli).

 

[5] Simeoni L., Verona. Guida storico-artistica della Città e Provincia. Verona - Libreria Editrice C.A. Baroni &C. –1909.

 

[6] "L’Arena" del giorno successivo, commentando il fatto in sé, scrisse e si chiese: "Il Consiglio però non era al completo. Sono già pervenute delle dimissioni. Come si spiegano queste, dopo le elezioni?». E con una punta di ironia concluse: "Per una strana combinazione si poté evitare il venerdì per la prima adunanza ma non si poté evitare che a questa presenziassero i consiglieri in numero di 13 !!!).

In quegli anni era stabilito che il Consiglio Comunale si riunisse il giorno di domenica. Il non parteciparvi dava adito a discussioni molto accese, nel corso delle quali si imputava agli assenti che preferivano gli affetti familiari all'impegno assunto - la mancanza di quel senso di responsabilità che avevano assicurato il giorno della loro nomina.

 

[7] Alla fine dell’800 lo zuccherificio occupava per 240 giornate lavorative ben 180 operai.

 

[8] Tra la Ditta (sul cui capitale, a mo' di tutela su quanto promesso, era stata posta un'ipoteca di 10.000 lire) e l'Amministrazione comunale (che, alla fine, ritenne più dannoso che vantaggioso quello stabilimento), sorse una "lite" che si concluderà con una transazione a favore del Comune di lire 7.600. Nel 1910 questo "sogno" era già svanito.

 

[9] Fino al 1911, Legge Daneo-Credaro, la scelta e lo stipendio dei maestri nei piccoli comuni era a carico di quell’amministrazione. Quindi spesso, per motivi di bilancio specialmente nel sud d’Italia, le scuole elementari non venivano aperte.

 

10) In realtà il 9 dicembre 1881 era stato emanato un “Regolamento generale scolastico” in cui l’art. 3 prevedeva l’insegnamento religioso nel giorno e in orario stabilito «perché non venga sottratta nemmeno un’ora all’insegnamento delle materie scolastiche».

 

[11] Il tramway esisteva già nell'ultimo quarto del secolo Diciannovesimo.

Ne 'L’Adige" del 19 aprile 1884 appariva questo avviso: «La Direzione dei Tramwais a vapore previene il pubblico che a partire da domani vi sarà nei giorni festivi una corsa straordinaria da S. Martino per Verona regolata dal seguente orario: Partenza da San Martino ore 8 pomeridiane. Arrivo a Verona ore 8.30».

Ne 'L’Arena" di Domenica 1 - Lunedì 2 Settembre 1912 si legge: «31 anni fa. Nell'ultima settimana di agosto del 1881 la linea Verona - San Bonifacio veniva aperta al pubblico esercizio, con 5 coppie di treni giornalieri, della velocità oraria di 15 km. Ogni treno era composto, oltre che della macchina, di 3 vetture ed eccezionalmente di 4. La linea era allora servita da 5 locomotive e da una ventina di vagoni».

 

[12] “L’Arena”, Sabato 31 Agosto- Domenica 1 settembre.

[13] L’Adige" di Sabato 23 Luglio 1910, in quinta colonna della prima pagina riporta: Ora che i Comuni di S. Michele e S. Martino sono provvisti dell'inaffìatrice, è necessario che anche la provincia si muova e provveda all'inaffìamento delle strade provinciali e specialmente del frequentatissimo tratto Verona-San Martino. ( ... ) Il provvedimento s'impone assolutamente. Ora è impossibile recarsi da qui alla città in bicicletta, in carrozza o a piedi senza arrivare coperti letteralmente di polvere soprattutto se si ha la fortunata combinazione di incontrare un automobile. ( ... ) Dobbiamo proprio essere gli ultimi in tutto?".

 

[14] Per giungere a tale soluzione si dovettero abbattere delle costruzioni sul lato della chiesa. Operazione che andò a scapito anche ... delle "lavandare" che proprio in quel luogo si recavano a fare il bucato, dovendo ripiegare al Camillion dove passava el Fibio o a Sant'Antonio dove scorreva la Roséla.

 

[15] Fino alla metà degli anni ’30 una parte dell’attuale territorio comunale di San Martino Buon Albergo apparteneva ai  comuni di Montorio e di Marcellise.

 

[16] Esistente dal 1906. Il 16 settembre 1905 si presentò in Consiglio una "Proposta circa il Consorzio daziario per il decennio 1906-1915 e sul modo di percezione del dazio".

Per completezza di informazione, dobbiamo dire che l'esattoria esisteva già qualche decennio prima ed era esercirata dal Consorzio Esattoriale facente capo al Comune di Zevio. Comprendeva i Comuni di S. Giovanni Lupatoto, S. Michele Extra e S. Martino B. A. L’esattore era Domenico Rigotti al quale il Prefetto di Verona aveva rilasciato la patente nel novembre 1886.

Anche questa era materia che teneva desti i cervelli degli Amministratori comunali e la sua storia conobbe di tanto in tanto modifiche strutturali. Ad esempio, il 25 febbraio 1898 l'appalto se lo guadagnò il sig. Lodi-Fè Luigi, e alle ore 9 del 23 agosto 1902 il sindaco di Zevio Todeschini convocava quello di S. Martino B. A. per procedere al conferimento dell'Esattoria del Consorzio per il decennio 1903-1912.

 

[17] La proprietà dei giardini antistanti la Chiesa Parrocchiale furono motivo di contesa tra il comune e i parroci di San Martino dal 1889 al 1970. Vedere a questo proposito in “C’era una volta” il racconto: A chi “le stèle”?

 

[18] La “cunetta” contrariamente a quanto siamo abituati a considerarla al giorno d’oggi, serviva allora «per la raccolta e lo scarico delle acque piovane».

 

[19] Prese il nome dal Fondatore, Giovan Bettino Cignaroli, discendente di una bicentenaria famiglia di pittori. Nato a Verona 4 luglio 1706, aprì la prima scuola nei pressi della chiesa di S. Maria della Ghiaia; successivamente la trasferì alla Casa Brenzoni di via Duomo 15, poi in alcuni locali di Cortile Mercato Vecchio, quindi alla Gran Guardia. Attualmente ha sede in via Carlo Montanari 5. Morì l'1 dicembre 1770. Fu sepolto nella chiesa dei SS. Siro e Libera al Teatro Romano. Lo commemorò con solennità il conte Antonio Montanari il 17 dicembre, chiedendo l'erezione di un busto in marmo successivamente eseguito da Diomiro Cignaroli e conservato nello stesso Palazzo Verità-Montanari.

 

[20] “Madonna Verona”, Anno XIII, Fascicolo 49-50, Gennaio –Giugno 1919.

[21] Il Lazzareto era stato costruito a Porto San Pancrazio su disegno di Michele Sammicheli, e aveva raccolto gli appestati colpiti dal "gran contagio" del 1630, che era costato la vita a 32.895 persone. L'evento è magistralmente raccontato nel volume "Il gran contagio di Verona del Milleseicento e trenta, descritto da Francesco Pona", edito nel 1931 e riproposto nella "Collana di opere veronesi inedite o rare" con pari titolo a cura del "Centro per la formazione professionale grafica - Verona" nel 1972.

[22] "Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura Scienze e lettere di Verona", 1934-XII.

[23] Ente parrocchiale regolato da uno statuto che si prefiggeva di amministrare i beni della parrocchia e quanto veniva donato dalla pietà dei fedeli.

[24] Londra 1819 - Branrwood, Lake Disrrict 1900. Educato da una madre puritana al culto e allo studio quotidiano della Bibbia, egli ebbe fino da bambino assai sviluppato l'amore per la natura e per l'arte. ( ... ) Per la semplicità della vita e il profondo amore per gli umili egli si avvicina a Leone Tolstoi che disse di lui:« Ruskin è uno dei più  grandi uomini del secolo». ("Madonna Verona", Anno XIII, Fascicolo 49-50, Gennaio-Giugno 1919).

Fra le righe di una lettera scritta nel 1869, di ritorno da una visita di Verona, egli manifesta: «1'orrore di vivere fra questi spregevoli italiani e di vederli comportarsi esattamente come cani e mosche fra i sepolcri e le chiese dei loro padri»; e aggiunge: «ci sono le più abbiette carogne di bambini dalla faccia di scimmia che cavalcano tutto il giorno sui grifoni e scagliano sassi contro le sculture». (BANCA POPOLARE DI VERONA: Chiese e Monasteri a Verona, 1980. Gian Paolo Marchi:  I libri, le pietre, pag 284).

 

 

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