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Tonello Ugo
Pittore
A cura di Anna Solati
E’
nato a San Martino e appartiene a una nota famiglia del paese, una famiglia
numerosa: cinque fratelli e una sorella che hanno
fatto un percorso per molti versi “speciale”.
Mi
racconta:
“Non
mi pare che tra i miei “antenati” ci sia stato qualcuno con talenti
artistici, a parte forse mia mamma che,
da ragazza, in collegio, aveva mostrato di avere una certa propensione per
l’arte. Posseggo ancora un paracamino fatto da lei, decorato con la tecnica
pirografica.
Da
ragazzino io amavo intagliare pezzi di legno e cortecce. Allora i colori non si
usava metterli in mano ai bambini, la mia pittura invece ha assolutamente
bisogno di essi.
E’
stato in Seminario, dove sono rimasto dal ’59 al ‘69, che ho cominciato ad
accostarmi all’arte, colorando i registri delle funzioni religiose, e
disegnando manifesti e stemmi. Non si trattava di pittura, non avevo tecnica,
era solo un lasciarmi andare ad usare il colore. Più tardi, quando studiavo
Teologia, ho cominciato a dipingere. I soggetti erano Madonne, fiori, nature
morte.
Uscito
dal Seminario, ricordo che mi sono
dedicato con gioia e una discreta euforia al paesaggio, ma non avendo
frequentato né Liceo artistico né Accademia, è stato un approccio del tutto
personale, di pelle, sotto la spinta della mia passione per il colore.
Contemporaneamente continuavo con le composizioni floreali e la natura morta,
che mi piace chiamare, traducendo il nome tedesco, “vita silenziosa”.
Mi
dava molta gioia il fatto che, pur non sapendo disegnare, riuscivo a instaurare
con molte persone un profondo rapporto di simpatia, proprio con il mezzo che mi
era più congeniale: il colore.
Nel
1975 i soggetti dei miei quadri sono diventati le bambole. E’ stato per me
un grande e profondo cambiamento. Ho sentito il desiderio, anzi la voglia di
guardarmi dentro. Trattavo le bambole come trattavo i paesaggi: con pennellate
grosse, grasse di colore, senza tante sfumature, quasi con violenza.
Contemporaneamente
facevo anche opere non figurative o semifigurative, ma le tenevo per me, forse
timoroso di non essere accettato.
Dopo
alcuni anni di primitivo amore per il colore ho cominciato a sentire la necessità
di esercitarmi nel disegno, credo per dare più peso alle mie pennellate. Allora
ho frequentato i corsi serali dell’Accademia Cignaroli di Verona e,
successivamente, la “Scuola del nudo” di Venezia per due anni. Niente
colore, solo disegno, copiare gessi e modelli, e la matita non perdona. Si deve
stare al servizio del soggetto e non dell’immagine che si ha in testa. E’
esercizio paziente e rigoroso, quasi una scuola di vita.
In quel periodo mi sono accostato anche all’incisione, una tecnica in
cui il segno la fa da padrone.
La
base che le due scuole mi hanno fornito, mi ha permesso di ripercorrere con più
maturità i miei soggetti rivisitandoli e rendendoli più articolati.
Un’opera
che ritengo molto significativa per il mio percorso è un’incisione
raffigurante un vecchio albero: volevo che assomigliasse un po’ a qualcosa di
un’epoca passata.
Questa
incisione ha fatto crescere in me il desiderio di dedicarmi con più impegno al
disegno, e da un paio di anni mi
esprimo preferibilmente con la matita.
Contemporaneamente
sono cambiati pure i soggetti dei miei quadri. E’ il periodo dei
“Fantasmi”, che ritengo molto importante sia tecnicamente che
sentimentalmente.
Quando
dipingevo le bambole infatti, disponevo le mie modelle in un certo modo ed erano
il pretesto per la mia opera.
I “Fantasmi” invece prendono corpo a partire da un segno a
cui mi lascio lentamente andare per far affiorare brandelli di immagini:
l’accenno a un animale, una scritta, un graffito, un viso,
fino ad un qualcosa che mi soddisfa. Li chiamo “Fantasmi” perché
sono immagini che affiorano dalla mia fantasia.
Sento
la voglia di dire cose più nascoste, meno chiare, più ambigue, che
rispecchiano non quello che si dice essere la realtà ma quello che c’è in
ognuno e che non ha una forma precisa. In questo modo il risultato diventa anche
un esorcismo dell’ambiguità che abbiamo dentro rivelando cose che altrimenti
resterebbero morte. E’ come avere davanti uno stagno torbido in cui pescare
con le mani e tirare fuori qualcosa di bello.
I
“Fantasmi”, contrariamente a ciò che può sembrare, non sono opere
fatte di getto, (i colori sono pochi e piuttosto spenti: c’è il nero, il marron, il rossastro, il bianco, un po’
di azzurro). Non sono quadri fatti in fretta perché ogni segno è prodotto di
un affioramento interiore con sovrapposizioni successive di mente, di toni, di
colori”.
I
“Fantasmi” sono stati oggetto di una personale presso la biblioteca “Don
Milani” di San Martino B.A. nel 2002
“Da
un bisogno sempre più forte di studiare la figura umana: bambole, fantasmi, è
nato il filone delle “Meditazioni”.
Prendo
dai giornali dei visi umani dalle dimensioni piccole 36mm* 45mm, e mi immergo
nello studio di essi. Il nome dei soggetti non è importante, perché
passa come tutto. Cerco, disegnando a matita con la massima lentezza e
cura (un segno sbagliato può cambiare tutta l’espressione del viso) di
entrare nel loro vissuto. E’ una meditazione e vorrei dire un modo di far
trascorrere il tempo cosicché il tempo non esista più, praticamente dimentichi
che sei lì e che stai facendo quella cosa lì. Non esiste prima o dopo ma solo
l’azione del momento”.
Alcune
“Meditazioni” hanno fatto parte della collettiva “Stanze vuote” tenutasi
in “Corte Radisi” a San Martino B.A. nel 2003.
Qual
è il primo pittore che hai amato?
“Il
mio primo amore è stato Van Gogh. Non solo i suoi quadri mi piacevano, ma anche
le sue lettere: alla madre, al fratello Theo, alla sorella, agli amici. In molti
punti mi sono ritrovato e la sua tavolozza è diventata in un certo senso anche
la mia: il blu di Prussia e il verde che tende all’abisso, il giallo, certi
rossi fiammanti e il bianco di zinco.
Hai
delle scansioni temporali nel tuo lavoro?
“Cerco
sempre di lavorare perché so che, se resto inattivo per un po’, poi tutto mi
diventa più difficile e mi arrabbio. Non sono comunque un vero professionista
perché i veri professionisti hanno orari di lavoro quasi regolari. Io faccio un
po’ anche questo, mi do dei tempi, ma lo ammetto, non con la dovuta
costanza”
Con
quale disposizione ti metti a lavorare?
Di
solito quando mi metto a dipingere ho la voglia di tirar fuori qualcosa che so
che non ho mai tirato fuori. A volte mi trovo un po’ in difficoltà ma
proseguo comunque, per evitare di arrabbiarmi con me stesso come ho detto sopra.
Dopo arriva la ricompensa”.
Come
ti senti alla fine di un’opera ben
riuscita? Soddisfatto, svuotato?
“Alla
fine di un quadro che mi soddisfa provo piacere non soltanto estetico, ma anche
per quel qualcosa che assomiglia al creare, al fare un figlio. Non è solo dire
ho fatto una cosa bella che mi piace, è sentire che questa cosa che prima non
c’era da adesso in poi esiste e sono io che l’ho fatta.
A
questo proposito una volta ho provato una pena immensa: mi era caduto del
diluente su una tela e avevo danneggiato il volto di una bambola ambiguamente
umana. Sembrerà esagerato ma, in quel momento, mi sono sentito quasi come se
fosse morto qualcuno e fosse colpa mia.
A
volte il risultato corrisponde a quello che vorrei, altre no, ho come
l’impressione che ogni cosa abbia un suo Fato.”
Per
finire, alcune frasi di Ugo Tonello prese dal catalogo dell’esposizione : “stanze
vuote”- mappa di un arcipelago ideale, tracciano esaurientemente il suo
ritratto:
Si può impunemente?
“Si
può impunemente non accontentarsi della propria fine?
Questo l’artista vuole, ed elemosina, anche da
vane forme, la vita. Ma quanto sono vane se riescono ad illudermi? Quanto sono vane se mi sopravviveranno? Quanto sono vane se tornano ad ammiccare ogni volta che le guardo? Guardare volti che hanno la forza di resistermi e presumibilmente di sopravvivermi è come guardare nell’abisso e sentirmi più vivo.
Se posso contemplarlo, vuol dire che ne sono fuori.
L’artista è un dio che chiede conforto ed “essere” alla propria
creatura, una creatura che è frutto della sua volontà e che avrebbe potuto non
essere, ….come lui stesso del resto.”
Ugo Tonello, 12 maggio 2003
Olio su tela
Natura morta - 1973
Bambola
arrabbiata 1977
Paesaggio - 1988
Autoritratto
- 1998
Cane
famoso con i suoi ammiratori - 1998
Tecnica
mista su carta
Progenitore
- 1998
Progenitore
II - 1998
Olio su tela
La grande madre - 1999
Quattro bambole, olio su tela - 2000
Come eravamo come saremo - 2000
Bambole
- 2000
Acquaforte
Il vecchio albero 2001
Olio su tela
Bambole, Incertezza - 2002
Fantasma rosso - 2002
Fantasma
bestiale - 2002
Fantasma
nobile - 2002
Fantasma bestiale II - 2002
Grafite e carboncino su carta
Meditazioni varie 1
Meditazioni varie 2
Meditazioni varie 3
Maggio 2004 - intervista di Anna Solati
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