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a cura di Anna Solati

 

Don Nicola Mazza

 

 

 

 

Busto, Don Nicola Mazza, Oratorio della Gran Madre di Dio.


Don Nicola Mazza, figlio primogenito di Luigi e Laura Paiola, nacque a Verona il 10 marzo 1790.

Il giorno dopo venne battezzato nella parrocchia di San Salvatore al Frignano (San Salvatore vecchio, oggi sede del culto russo-ortodosso) in seguito soppressa dagli editti napoleonici ed aggregata alla vicina chiesa di S. Eufemia.

 

Il padre aveva un negozio di tessuti in piazza delle Erbe e possedeva un cospicuo patrimonio investito anche in terreni e proprietà immobiliari in città e provincia.

 

Poco prima dell'arrivo dei francesi a Verona Luigi Mazza aveva acquistato una vasta campagna fuori città a Marcellise in contrada del Monte con casa padronale che fece restaurare e vi fece costruire e decorare l'oratorio annesso dedicandolo alla Gran Madre di Dio [1].

 

 

Corte Camuzzini già proprietà della famiglia Mazza

 

Oratorio della Gran Madre di Dio

                                                                                                               

All'arrivo dei francesi la città fu sconvolta da gravi disordini e la famiglia Mazza si trasferì in quella proprietà.

 

Il giovane Nicola fece la prima comunione nel 1802 e iniziò a studiare frequentando come esterno le scuole del Seminario, ma essendo di salute cagionevole ebbe per gli studi umanistici un precettore speciale l'abate Antonio Cesari [2] celebre letterato e linguista che era amico di famiglia e resterà suo padre spirituale fino alla morte nel 1828 [3].

Nel corso degli studi nacque in lui la vocazione al sacerdozio pertanto il 21 giugno 1807 a diciassette anni indossò la veste clericale nell'oratorio di famiglia.

 

Il 18 settembre di quello stesso anno il Vescovo Innocenzo Liruti si era insediato a Verona e, per dare maggior risalto alla festa per il suo arrivo, il 19 settembre nella chiesa di sant'Elena avvenne la cerimonia della tonsura e del conseguimento degli ordini minori  ai chierici, tra questi c'era anche Nicola Mazza.

 

Nel novembre frequentò il liceo del Seminario sempre come alunno esterno.

 

Nel 1810, un anno terribile per le istituzioni religiose di Verona delle quali sopravvisse solo il Seminario e la Confraternita del SS.Sacramento, come alunno del primo corso di Teologia cominciò a frequentare Gaspare Bertoni incaricato dal vescovo di ridare all'istituzione la spiritualità perduta.

 

Un anno dopo nel marzo divenne suddiacono e nel marzo del 1812 diacono.

 

Le sue condizioni di salute restavano precarie ed era dispensato dalla frequenza delle lezioni per cui continuava a studiare privatamente.

 

Il 4 febbraio 1814 i Francesi lasciarono Verona e ad essi subentrarono gli Austriaci. Un mese dopo, il 26 marzo, Nicola venne ordinato sacerdote.

 

Nel 1815 il Vescovo gli offri la parrocchia di Cisano che rifiutò preferendo l'insegnamento e in novembre di quell'anno iniziò a insegnare matematica nelle scuole pubbliche del Seminario dove in seguito sarebbe stato docente anche di fisica generale e storia universale, fino al termine dell’anno scolastico 1848-1849.

 

Tra i suoi discepoli ci furono molte figure della santità veronese come il servo di Dio Don Antonio Provolo e il beato Zefirino Agostini. 

Non dimenticava il paese dove aveva vissuto nell'infanzia per cui fu cappellano e confessore festivo a Marcellise fino al 1839, confessore feriale a S.Nicolò, e dal 1840 fino alla morte,a S.Fermo.

 

Venne nominato anche coadiutore nella chiesa di San Nicolò e in quella di San Fermo dove esercitava la sua Missione anche don Gaspare Bertoni.

 

Con lui proseguì i suoi studi teologici su Tommaso d'Aquino e Alfonso Maria de' Liguori fondatore dei Redentoristi. Da quest'ultimo santo si ispirò per ampliare le aspirazioni missionarie di Don Bertoni tanto da essere chiamato scherzosamente: don Congo.

 

Le sue esperienze tra la gente lo indussero a pensare ad un tipo di scuola diversa da quella del tempo.

 

Mentre fino ad allora era stata la chiesa ad avere il monopolio della scuola, l'istituzione che progettò in un certo senso risentiva del principio di uguaglianza sociale portato dalla Rivoluzione francese in quanto i governi napoleonici si erano sforzati di portare almeno l'istruzione primaria tra il popolo.

 

Don Mazza che fu amico del conte Giovanni Scopoli, a suo tempo nominato direttore della pubblica istruzione del Regno d'Italia, era stato certamente influenzato dalla spinta laica che induceva ad abbattere le differenze di classe.

 

Anche a Verona quando era entrata a far parte del regno Lombardo Veneto erano state create le elementari di stato, già in vigore in Austria dal 1774 per decreto di Maria Teresa.

 

Ma per l'educazione superiore gli austriaci tendevano a dare valore legale solo ai diplomi ottenuti o da collegi religiosi, o dai seminari, un privilegio di pochi ricchi a meno che non si scegliesse la carriera ecclesiastica.

Solo con il concordato del 1855 tra Pio IX e Francesco Giuseppe fu deciso che potessero frequentare il liceo del seminario solo giovani destinati a diventare sacerdoti.

 

Era uno spirito profondamente scientifico, le sue esperienze in campo scolastico lo portarono a riflettere sulla sorte di ragazzi capaci e intelligenti che a causa della condizione economica non avrebbero potuto ambire a un grado di istruzione e professionalità che sarebbe stato alla loro portata.

 

Infatti nel contesto sociale di quei tempi (l'obbligo scolastico sarebbe arrivato solo nel 1877) l'analfabetismo delle classi sociali meno abbienti era la norma e solo lo 0,5 % della popolazione veronese frequentava le scuole superiori.

 

Don Nicola Mazza era invece convinto che a fare la differenza dovesse essere solo l'impegno e le capacità. Si dedicò a creare una scuola che non fosse più destinata solo alle classi privilegiate ma che offrisse un’occasione a tutti. Sosteneva: ... la società ha bisogno non solo di buoni preti, ma anche di buoni laici, bravi nel loro mestiere e timorati di Dio. E allora, la società andrà meglio. E' un peccato e un danno sociale che ragazzi ingegnosi, solo perché privi di mezzi economici, non possano esprimere il loro talento....

 

Con il suo progetto anticipò di decenni la nascita in Italia dell’istruzione pubblica medio-superiore.

 

Anche se i primi due giovani meritevoli, dei quali si occupò in seguito, sarebbero diventati sacerdoti, il suo obiettivo non era fare dei suoi studenti dei futuri preti ma avviare anche quelli appartenenti a classi sociali umili a una carriera corrispondente ai loro meriti.

 

Durante le sue confessioni spesso veniva a contatto con ragazzi poveri che però gli sembravano particolarmente dotati. Così fu per Luigi Dusi figlio di un falegname di Marcellise. Luigi  aveva dieci anni quando nel 1819 lo portò a Verona e lo mise a pensione presso Teresa Pieropan nella parrocchia di San Nazaro. Col tempo sarebbe diventato docente di filologia greca e lingua ebraica presso l'Istituto don Mazza. Morirà prematuramente a 34 anni nel 1840.

 

Anche un altro ragazzo di famiglia modesta, sempre di Marcellise, Alessandro Aldegheri, futuro docente di diritto canonico, venne portato a studiare a Verona nel 1823.

 

Nel dicembre del 1820 don Nicola superò presso l'Università di Padova l'esame di abilitazione all'insegnamento e il 17 marzo dell'anno successivo ottenne il diploma governativo.

 

Purtroppo in aprile la sua famiglia, che si era trovata in difficoltà economiche, fu costretta a vendere tra gli altri beni immobili anche la proprietà di Marcellise e venne a stabilirsi presso di lui nella parrocchia di San Nazaro.

 

Solo alla fine degli anni venti ritornerà ad abitare a S. Eufemia.

Malgrado le preoccupazioni personali don Mazza continuava ad occuparsi del suo progetto.

 

Però la sua prima opera di carità fu rivolta alle ragazze. Abitando a Veronetta un quartiere che aveva colpito per la sua povertà anche altri santi personaggi della Verona del primo ottocento, si sentiva personalmente coinvolto da quello che avveniva in quell'ambiente misero e degradato e vedeva i pericoli ai quali erano esposte, anche a causa della loro ignoranza, fanciulle povere, trascurate dalla famiglia o orfane.

 

Dal 1828, facendosi aiutare da persone generose cominciò ad affidarle ad alcune educatrici costituite in piccoli gruppi di tipo familiare in svariati alloggi disseminati per Verona, ciascuno sotto la guida di una “madre”. Un sistema simile alle odierne case-famiglia.

Anche in questo campo fu un anticipatore perché pur non concependo per le ragazze la possibilità di frequentare scuole superiori, creò per loro a una scuola obbligatoria per le due classi elementari.

 

Il numero delle ospiti andò aumentando rapidamente tanto che preoccupato di non riuscire a continuare nel suo progetto andò a chiedere consiglio al suo direttore spirituale che dopo la morte di don Cesari era diventato don Bertoni che lo esortò a continuare la sua attività e a non porre limiti alla Provvidenza.

 

Incoraggiato da quelle parole in pochi anni sistemò in alcune famiglie più di centoquaranta ragazze che erano in stato di abbandono.

Una di esse fu la madre di San Giovanni Calabria, che visse nel suo collegio femminile per oltre vent’anni.

Da questi momenti iniziali nascerà nella parrocchia di San Paolo in Campo Marzio in via Cantarane, l’Istituto femminile, condotto da laiche consacrate chiamate Maestre Cooperatrici di Don Mazza che in pochi anni giungerà ad ospitare più di trecento giovanette. Per dare loro un lavoro onesto anche quando fossero uscite dall'Istituto avviò una grande filanda di seta, una tintoria,e una scuola di ricamo.

 

Anche per le ragazze si richiedeva il massimo dell'impegno personale e i loro lavori divennero proverbiali in Italia. Un esempio della loro eccezionale bravura è il paramento ricamato regalato all'imperatore in esilio Ferdinando e che lo impressionò così tanto per la sua fattura perfetta da indurlo a donare  all'Istituto trentaseimila fiorini d'oro e in seguito a farne dono al pontefice Pio IX [4].

 

Oratorio della Gran Madre di Dio, paramento indossato dalla Gran Madre di Dio, opera delle ricamatrici.

 

Il 28 settembre 1838 l'istituto di via Cantarane ricevette una visita prestigiosa: quella dell’Imperatrice d’Austria Maria Anna Carolina Pia, moglie di Ferdinando I, che venne in visita per ammirare i preziosi lavori delle ragazze.

 

L'Istituto maschile per consentire lo studio a ragazzi meritevoli le cui famiglie non disponevano dei mezzi necessari venne aperto nel 1833 con cinque allievi. La sede si trovava in un’ampia casa in via S. Carlo offerta da un'anonima donatrice. Nel novembre dello stesso anno il nobile sacerdote Pietro Albertini gli cedette in uso la chiesa di San Carlo da poco riaperta al culto con le case e i vicini orti di proprietà. Lo stesso anno commissionò all'amico pittore Giovanni Battista Caliari le tele che decorano l'altare delle devozioni.

 

L'opera riproponeva lo stile della scuola veronese del XIX secolo presente anche nella chiesa  dedicata alla Cattedra di San Pietro a Marcellise.

 

Il programma che svolgeva la sua scuola era quello degli studi classici, come si usava a quel tempo.

 

Per don Mazza era molto importante anche la creatività, ad esempio attraverso il teatro. Introdusse lo studio di tre lingue: tedesco, inglese e francese e, quando partì la sua prima missione in Africa anche l'arabo.

 

Per permettere agli alunni che avevano terminato la scuola secondaria di frequentare l'università nel novembre del 1839 aprì a Padova una casa per studenti.

 

Essendo il suo scopo principale offrire un’opportunità a chi aveva capacità e desiderio di studiare, di riuscire a realizzarsi nel campo professionale anche se non aveva mezzi, non pensò mai di creare una propria congregazione.

 

E poiché non voleva che i "suoi" ragazzi affascinati dalla sua personalità si sentissero obbligati a scegliere il sacerdozio, stabilì che chiunque di loro lo avesse fatto avrebbe dovuto rimanere almeno quattro anni al servizio dell'Istituto continuando contemporaneamente anche la formazione professionale.

 

Mandò anche alcuni suoi chierici a studiare teologia a Padova per farli diventare responsabili del collegio universitario nel quale un po' alla volta stava crescendo il numero degli studenti.

 

Il 21 novembre del 1838 venne insignito dall’imperatore austriaco Ferdinando di una «grande Medaglia d’oro con collana» con la motivazione «Pro piis meritis». Questo oggetto prezioso verrà continuamente utilizzato come pegno al Monte di Pietà per i bisogni più urgenti delle sue comunità.

L’11 dicembre 1840 don Mazza venne nominato socio attivo dell’Accademia di Agricoltura Commercio ed Arti di Verona e vi rimase fino alla morte nel 1865.

 

Intanto si stavano preparando gli eventi che lo avrebbero portato a cercare di creare un'altra Missione, più difficile, quella verso coloro che erano ancora più poveri dei nostri poveri: gli abitanti del continente africano.

 

Don Nicola Olivieri, un sacerdote di Genova, che si occupava di acquistare schiavi in Africa per poi liberarli e condurli al cristianesimo aveva riscattato anche alcune ragazze nere e, non sapendo a chi ricorrere, si rivolse a don Mazza e alla sua istituzione. Inizialmente don Nicola era deciso a rifiutare: cosa avrebbe potuto fare di quelle piccole schiave quando fossero diventate donne in un paese che non era il loro? E non era neppure giusto tenerle per sempre chiuse nel suo istituto.

 

Ma il parere del suo padre spirituale, don Gaspare, fu ancora una volta di apertura verso la provvidenza: Vedrai che Dio provvederà senza dubbio.

 

E don Congo che la missione l'aveva nel profondo del cuore accettò le parole ispirate del sant'uomo.

Cosi iniziò l'opera che qualche decennio più tardi avrebbe portato avanti Monsignor Comboni.

 

Il primo suo discepolo che scelse questa via fu Angelo Vinco nato a Cerro sulle montagne lessiniche da una famiglia contadina che a metà degli anni trenta entrò nell'Istituto mazziano.

Era uno studente brillante che scelse di diventare sacerdote, fu consacrato nel 1844, e sentendosi la vocazione di missionario chiese al suo superiore di poterla seguire.

 

Don Mazza, sempre a corto di fondi, non poteva corrispondere alla sua richiesta e quindi nel 1845 scrisse al prefetto di Propaganda Fide cardinale Fransoni di accettarlo nella sua congregazione. Avuta una risposta affermativa nello stesso anno il giovane sacerdote partì per Roma.

Se ne andò accompagnato da un evento "miracoloso" come raccontava lo stesso don Mazza.

 

Era il 3 dicembre 1845 giorno della partenza, ma i soldi per il lungo viaggio in diligenza mancavano. Don Angelo era sconsolato perché non poteva rimandarla. Se avesse aspettato che venisse raccolto il denaro necessario chissà quando sarebbe partito e gli aspiranti al posto in Propaganda erano troppi. I due sedevano pensierosi nell'atrio dell'Istituto femminile. Il giovane ormai quasi rassegnato a rinunciare al suo sogno.

 

Ad un certo punto don Mazza decise che comunque doveva prendere la diligenza e partire, il denaro lo avrebbero pagato quando ci fosse stato. In fondo era un sacerdote di un Istituto conosciuto anche fuori Verona e in qualche modo avrebbero saldato il dovuto appena possibile. Mentre Angelo restava riluttante a fare una mossa così audace  (a quei tempi per una persona onesta un debito era una grossa vergogna) suonò il campanello della portineria ed entrò un vecchio sacerdote che appena vide don Mazza gli mise in mano un rotolo contenente sedici doppie d'oro di Genova e senza dire il suo nome uscì dalla stanza e scomparve. Così don Vinco poté partire con una parte di quel denaro che pareva giunto dalla Provvidenza.

 

Don Mazza infatti diceva: I mezzi non devono precedere le opere, ma essere concomitanti. Se un’opera è di Dio, ci pensa Dio, con il nostro impegno. La banca di Dio non fallisce.

 

A Roma studiò l'inglese, il portoghese e il cingalese perché la sua destinazione avrebbe dovuto essere Ceylon.

 

Poi essa cambiò e fu assegnato alla prima missione del Vicariato Apostolico dell' Africa Centrale formata da P. Ryllo, P. Ignazio Knoblecher, da lui e da altri tre religiosi che partirono nella primavera del 1847.

 

Sarebbe ritornato a Verona nel 1849. Rimase in Istituto per due mesi e i suoi racconti destarono l'entusiasmo di tanti giovani e particolarmente del giovane Daniele Comboni.

 

Sempre nel 1847 Don Nicola venne eletto membro del Consiglio Comunale di Verona per il triennio 1848-1850. Ne avrebbe fatto parte ancora nei successivi trienni 1852-1854, 1856-1858 e 1860-1862.

 

L'anno successivo (1848) il Piemonte dichiarò guerra all'Austria. Con l'avanzata di Carlo Alberto il generale nemico, il famoso Joseph Radetzky, in ritirata strategica si ritirò a Verona sede del quadrilatero che si riempì di truppe austriache.

 

Vennero requisiti a scopi militari molti di ambienti dei vari Istituti cittadini e il provvedimento colpì anche alcune case dell' istituto femminile mazziano con grave danno per le sue attività produttive. Gli ambienti sarebbero stati liberati solo dopo quattro anni e in questo periodo fu interrotta la lavorazione del celebre paramento sacro.

 

Il 2 dicembre di quell'anno l'imperatore Ferdinando I abdicò a favore del nipote Francesco Giuseppe. Si ritirò con l'imperatrice Maria Anna Carolina a Praga ma continuò la sua benevolenza verso don Mazza e le sue iniziative.

 

Dal 1849 gli anni successivi della sua vita furono caratterizzati dall'impegno per le attività missionarie dei suoi discepoli e per le contese che si scatenarono all'interno della Chiesa per le idee di Antonio Rosmini.

 

Con l'arrivo in quell'anno di Angelo Vinco il suo entusiasmo missionario si riaccese.

 

Il piano che espose al suo discepolo prevedeva che venissero riscattati dal mercato degli schiavi in Africa giovinetti neri di entrambi i sessi e portati a Verona. Qui sarebbero stati educati favorendone le inclinazioni per poi tornare nei loro paesi per collaborare con i missionari a migliorare la qualità della vita dei loro fratelli.

 

Intanto sia nell'istituto maschile che in quello femminile si imparava l'arabo per essere pronti sia a diventare Missionari, sia ad essere insegnanti dei futuri giovani allievi.

 

Purtroppo a causa degli strascichi della guerra e del colera che avrebbe imperversato nella nostra provincia causando molti morti, la città e la sua provincia vivevano una grave depressione economica quindi scarsi furono gli aiuti economici che si raccolsero per il nuovo viaggio di Angelo Vinco.

 

Partì lo stesso dirigendosi da Khartoum verso l'alto Nilo affidando a un frate francescano, Geremia da Livorno, l'incarico dell'acquisto dei giovani schiavi.

 

Il 6 giugno erano state messe all'indice le due opere di Antonio Rosmini: Le cinque piaghe della Santa Chiesa e La costituzione secondo la giustizia sociale. Subito dopo iniziò anche nella nostra città la polemica pro e contro le due opere. Don Mazza conoscendo anche la stima che aveva il suo direttore spirituale per l'autore sosteneva apertamente la loro ortodossia.

 

L'anno successivo in vista del suo futuro impegno in campo missionario provvide a nominare i preti che sarebbero diventati responsabili dell'Istituto. Nel corso del tempo stabilì anche le regole e le disposizioni riguardanti la vita interna dello stesso.

 

Nel marzo 1851 Pio IX vietò qualsiasi diatriba sulle opere di Rosmini ed istituì una commissione per esaminarle.

 

Il 17 dicembre arrivò a Verona padre Geremia da Livorno con quattro fanciulli arabi e tre fanciulle nere. Cominciò così la Missione di salvare l'Africa con l'Africa che sarebbe stato il motto di Comboni. L'idea di convertire al cristianesimo ed educare questi giovani neri corrispondeva completamente a quello che era stato sempre il credo di don Nicola: sfruttare le potenzialità  attraverso l'insegnamento di chi per nascita  non avrebbe potuto realizzarsi

…Il mio fine immediato è il bene dei giovanetti e delle giovanette nere, mediatamente poi è il bene della società da cui provengono. Siano maschi, siano femmine li prendo solo a questo fine… non li prendo per il solo bene individuale di questi ma sì perché il loro bene individuale vada a produrre dell'altro bene, cioè l'impianto della cattolica fede e della cultura civile in detti luoghi selvaggi dell'Africa…

E in altra parte aggiungeva: …Mostrano essi tutti un'indole focosa sì ma docile, una facilità ad apprendere in qual si sia istruzione, una sensibilità di affetti e di cuore, per il che in realtà da essi si conosce che a quella povera gente non manca altro che i mezzi dell'educazione…

 

E ipotizzava per le ragazze convertite due percorsi. Alcune avrebbero sposato giovani convertiti come loro con i quali avrebbero dato vita a una famiglia cristiana con figli battezzati.

Avremo padri e madri cristiani colti, che ai propri pargoletti comunicheranno col latte i principi di religione e di cultura civile…

… Quelle che non si vorranno maritare dovranno insegnare e fare scuola alle piccole giovinette che vi saranno nel luogo e paese dove sono.

Dirozzata così un po' quella parte di terra da prima occupata, si potrà di mano in mano inoltrarsi più addentro, secondo che le circostanze dei luoghi il vorrà permettere, con mandare e fondare altre uguali case di preti missionari e case di morette educate…

 

In via Cantarane, oltre a curare chi arrivava malata, si dava istruzione di base e si insegnava un lavoro. Le 18 cooperatrici avevano imparato abbastanza bene l'arabo e le lezioni previste nei tre anni di studio elementare erano fatte in quella lingua e prevedevano anche nozioni di farmaceutica e di medicina.

 

Il corso di lavoro invece era scandito in quattro livelli. Il primo anno si imparava la confezione di calze, abiti, camicie, rammendo, il secondo ricami in bianco, il terzo ricami in vari colori, il quarto ricami in seta.

 

Così le ragazze avrebbero avuto una formazione religiosa, culturale e di lavoro.

 

Nel 1853 due lutti lo colpirono dolorosamente: la morte in data 23 gennaio, di don Angelo Vinco avvenuta in Africa a Libo nella zona del Nilo Bianco presso la popolazione dei Bari, e il 12 giugno quella di Don Gaspare Bertoni che era stato la sua guida spirituale per tanti anni. Intanto a luglio arrivarono altri diciotto fanciulli e dieci fanciulle neri. In settembre altri due sacerdoti mazziani: Giovanni Beltrame e Antonio Castagnaro partirono per una missione esplorativa in Africa per trovare un luogo per fondare una missione mazziana.

 

Negli anni successivi si susseguirono le sue iniziative per proseguire l'opera missionaria, come si leggerà meglio nella scheda riguardante Monsignor Comboni.

 

A metà di novembre del 1855 ritornò a Verona Giovanni Beltrame che avendo riscontrato nel suo viaggio che lungo il Nilo Azzurro la maggior parte della popolazione era costituita da mussulmani ostili alla religione cristiana, proponeva di orientare l'azione mazziana verso la zona del Nilo Bianco o del suo affluente Sobat, territori della tribù dei Denka.

Sempre in quell'anno don Nicola fu nominato Vicepresidente onorario della Società Universale per l’incoraggiamento delle Arti e dell’Industria di Londra.

Purtroppo in estate a Verona tornò il colera che fece oltre settecento vittime. L'epidemia e la crisi nel settore della bachicoltura costrinsero a ridurre la produzione della filanda che era una delle fonti principali di sostentamento dell'istituti mazziani.

 

Don Nicola, che pensava ad un'altra spedizione in Africa, comunque non si perse d'animo e grazie anche alla benevolenza sia dell'ex imperatore Ferdinando, che del suo successore Francesco Giuseppe avviò i contatti con la società viennese di Maria per avere finanziamenti. Un ulteriore aiuto gli verrà dal canonico Giovanni Crisostomo Mitterrutzner di Bressanone, influente membro di quella Società.

 

A confermare il favore imperiale, che presto quando Verona diventerà italiana i suoi Istituti pagheranno caro, nel 1857 l'imperatrice Elisabetta accompagnata dall'imperatore visitò l'Istituto Femminile.

 

In settembre vi si recarono anche Massimiliano d’Asburgo, Governatore del Regno Lombardo-Veneto, con la consorte Carlotta.

 

Nello stesso mese avvenne la partenza di ben cinque sacerdoti mazziani per l’Africa centrale: i padri  Beltrame,  Melotto, Oliboni,  Dal Bosco e Comboni.

Gli anni che seguirono furono anni nei quali l'istituto come altri di Verona, versò spesso in difficoltà finanziarie per la politica laica delle nuove istituzioni piemontesi dovuta anche alla Questione Romana che andò aggravandosi dopo il 1870.

 

Lo stato d'animo dei mazziani e reso molto bene da questa lettera che Comboni scrisse il 21 dicembre 1860:

 

Il Conte Fabrizi, ministro di Vittorio Emanuele, a cui, io, come suddito sardo, implorai protezione presso il mio Console sardo d'Egitto, mi consigliò a presentarmi in persona al re, lusingandomi che Vittorio Emanuele, come fautore delle Missioni, oltre alla raccomandazione, m'avrebbe anche assistito in larghe elemosine: ma io con modi cortesi rifiutai.

Come suddito sardo non è alcun male implorare una protezione, come si è fatto dalla Missione dell'Africa Centrale, che domandò ed ottenne da un nemico della Fede, com'è il Pascià d'Egitto, protezioni per Assuan. Ma cambia d'aspetto l'impacciarsi con un re persecutore della Chiesa per avere denaro. Se io avessi accettato danaro da Vittorio Emanuele avrei certo compromesso me, l'Istituto, la Missione; perché leggendosi sui giornali austriaci che un Missionario dell'Ist.o Mazza ha ricevuto una somma da un re nemico della Chiesa, e del Governo austriaco, avrebbesi giudicato sulla opinione politico-religiosa non solamente di me, ma dell'Istituto; quindi sovra di noi si rivolgerebbe lo sguardo e dalla Propaganda, e da Roma, e dal Governo austriaco, e dalla Società di Maria di Vienna; ed io avrei compromesso e l'Ist.to, e il buon esito della Missione: per conseguenza rifiutai ogni abboccamento col re, contentandomi di una valida raccomandazione, la quale non è punto sconveniente che io implori ed ottenga; sperando che, come senza Vittorio Emanuele son partito da Verona, così senza di lui io vi ritornerò coi moretti…

 

Comboni per parte sua intraprese, in Italia e in Europa, un’intensa opera di animazione per la missione africana.

 

Nel 1865 finalmente avendo trovato finanziatori in Austria e in Francia  Comboni ritorno a Verona per incontrare don Mazza, che lo abbracciò dicendo: «Tu sei mio figlio» e, malgrado i lutti precedenti, già sei preti di S. Carlo erano pronti a partire.

 

Sembrava che don Mazza avesse atteso queste notizie che lo confortavano sulla continuità del suo progetto perché il 5 luglio fu costretto a mettersi a letto definitivamente nella sua stanza presso l'Istituto Femminile. Le sue condizioni si aggravarono rapidamente è il 2 agosto morì.

 

Dopo la sua morte l'Istituto si trovò in difficoltà anche finanziarie perché accusato di aver appoggiato i precedenti dominatori austriaci. Per questo il suo successore don Gioacchino Tomba non si sentì di continuare l’impegno per la missione africana e a Comboni non restò che continuare il suo progetto con l’aiuto di missionari reclutati tra sacerdoti diocesani e si rivolse anche ai padri Camilliani di don Bresciani e nel 1874 (don Bresciani era già morto) si accordò con il Superiore Generale dei "Chierici regolari dei Ministri degli infermi" con l'approvazione di Propaganda Fidei.

 



[1] a sinistra della foto, una teca di vetro protegge il confessionale usato a suo tempo da don Mazza.

 

[2] Antonio Cesari (Verona il 16 gennaio 1760- Ravenna 1 ottobre 1828). Nel 1777 entrò nella congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri. Nel 1810 dopo lo scioglimento della congregazione continuò la sua missione sacerdotale predicando specialmente nella chiesa di San Fermo e Rustico dove predicava anche don Bertoni.

Appassionato della lingua italiana fu il massimo purista del XIX secolo tra il 1800 e il 1811 ripubblicò a Verona il Dizionario della Crusca, aggiungendovi migliaia di voci tratte anche da antichi testi. Nella sua "Dissertazione sullo stato presente della lingua italiana" pubblicato sempre a Verona nel 1810 espose per la prima volta la sua tesi che sosteneva dovesse essere modello della nostra lingua il tosco-fiorentino del Trecento. Le sue idee furono oggetto di molte polemiche tra gli intellettuali del suo tempo e continuarono fino a dopo la metà del secolo. Lo osteggiarono in diversa maniera: Vincenzo Monti, Alessandro Manzoni, Leopardi nel suo Zibaldone, in parte Foscolo e Niccolò Tommaseo.

Con "I dialoghi sulla Divina Commedia" contribuì alla rinascita degli studi danteschi.

La sua opera che metteva in rilievo l'importanza della nostra lingua indirettamente contribuì alla rinascita di un sentimento di unità nazionale.

Ottimo conoscitore del latino tradusse in "toscano" opere come le odi di Orazio, le commedie di Terenzio, le lettere di Cicerone, brani dal Satyricon di Petronio o La Chioma di Berenice di Catullo. Era anche un buon grecista.

Da dantista appassionato morì nel settembre 1828 mentre si recava a Ravenna per visitare la tomba del poeta e lì fu sepolto.

[3] A quei tempi non esistevano scuole superiori di stato. Quella funzione veniva svolta o dai collegi o dai seminari.

[4] Il paramento  rappresentava le fasi attraversate dall'uomo per raggiungere la salvezza. Don Mazza incaricò pittori veronesi tra i quali Caliari di realizzare i cartoni per un'opera dove dovevano essere presenti figure tratte da dipinti di Raffaello, Cavazzola, Paolo Veronese e l'Orbetto. La lavorazione cominciò dalla Pianeta nel 1848 che fu terminata nel 1852 seguirono quelli per il pluviale e l'intero paramento fu finito nel 1861. Vi lavorarono quindici ricamatrici realizzando venticinque riquadri con sessantadue figure umane, animali e paesaggi e fiori e motivi decorativi policromi.

 

 

 

 

 

 

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