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Daniele e Isaia (Francesco Morone)

 Foto -  Roberto Alloro.

 

Scheda Artistica - Dott. Roberto Alloro

 

Il quadro si trova sulla parete che delimita l’aula, a sinistra dell’arco trionfale. Daniele indossa veste verde e manto rosso, ha il palmo della mano destra alzato e quello dell’altra rivolto verso terra. Isaia, a destra, porta una veste zaffiro lunga fino a terra e una sopravveste più corta arancione, coperta a sua volta da un ampio mantello viola. L’indice della mano destra indica qualcosa fuori dal quadro, mentre la sinistra accenna a sciogliere la fascia verde che cinge la vita. Il profeta più giovane è imberbe, porta il capo scoperto e i capelli ramati scendono sul collo; più matura e solenne la figura di Isaia, con la lunga barba bianca, il capo e le spalle coperti da una pelliccia maculata. In alto, sospesi sopra una nuvola, due angeli reggono un cartiglio. In basso si vedono due targhe di forma classica. Sullo sfondo l’ormai consueto panorama montuoso con rocca fortificata, caratterizzato qui dalla presenza di un fiume in cui navigano barche di pescatori.

Secondo quanto egli stesso racconta nel libro sacro che porta il suo nome, il giovane Daniele, vissuto nel VII secolo a. C., venne deportato a Babilonia dal re assiro Nabucodonosor e divenne celebre per essere riuscito ad indovinare e interpretare i sogni del sovrano. Onorato per la sua saggezza e le sue predizioni anche dai re persiani, venne infine dato in pasto ai leoni ma si salvò per l’intervento divino che ammansì le fiere. Morì ultraottantenne probabilmente a Babilonia. Aldilà della sua reale consistenza storica, Daniele incarna un modello ideale di sapienza e di giustizia.

Isaia, nato e vissuto a Gerusalemme nell’ottavo secolo a. C., esercitò con il suo ministero un profondo influsso nella vita pubblica, annunciando la distruzione della città e la deportazione dei superstiti causate dalla devianza dal culto del Dio vero. Secondo una tradizione ebraica morì martirizzato con una sega. È considerato il principe dei profeti dell’Antico Testamento per la sublimità dei concetti, l’eleganza della forma e l’abbondanza delle profezie sul Salvatore. 

Le quattro pale dipinte da Girolamo Dai Libri (Santa Caterina d’Alessandria e Santa Maria Maddalena, la Natività) e Francesco Morone (San Giovanni Evangelista e San Benedetto, I profeti Daniele ed Isaia), assai pregevoli prese singolarmente, divengono ancor più interessanti ricollocandole in modo ideale nella posizione primitiva. Se la connessione tra i quadri che formavano le portelle esterne ad organo chiuso consiste nel maestoso panorama contro il quale si stagliano Giovanni Evangelista, Benedetto, Caterina d’Alessandria e Maria Maddalena - “il campo tutto pieno di bellissimi paesi” descritto dallo storico dell’arte cinquecentesco Giorgio Vasari -, nell’altra coppia di tele, visibile ad organo aperto, il legame tra i soggetti diventa intrinseco ed inscindibile.

 

Separato dalla Natività che le stava (e fortunatamente le sta tuttora) giustapposto, il quadro di cui parliamo in questa scheda è svuotato di significato. Allo stesso modo, senza l’annuncio contenuto nella pala raffigurante Daniele e Isaia il dirompente messaggio soteriologico della Natività risulta diminuito e meno efficace.

Il dipinto con i due profeti è concettualmente forse il più denso di significato e per questo, unico tra i quattro, è “parlante”, nel senso che il pittore (o più probabilmente il committente) – ricorrendo ad una sorta di fumetto ante litteram - inserì sotto ciascun personaggio una targa con una citazione tratta dalla più stringente delle sue predizioni messianiche. L’iscrizione nella targa sotto Daniele - “Lapis abscissus de monte sine manibus” (“Una pietra si è staccata dalla montagna, senza l’intervento di mani”) - è ricavata dal libro omonimo della Bibbia (Dn 2,34) e ci riporta alla spiegazione di un sogno di Nabucodonosor. Il sovrano aveva visto una statua di accecante splendore e di terribile aspetto, composta di diversi materiali via via meno nobili dalla testa ai piedi, abbattuta da una pietra staccatasi da sé dalla montagna e precipitata sui piedi di ferro e di terracotta del colosso (“Videbas ita, donec abscissus est lapis de monte sine manibus: et percussit statuam in pedibus eius ferreis et fictilibus, et comminuit eos”).

 

La profezia riguarda l’avvento del regno di Dio, che distruggerà tutti i regni precedenti (rappresentati nel sogno dai vari materiali a seconda della loro forza) e durerà per sempre. La postura del corpo del profeta accompagna l’enunciato: la destra mima l’interruzione delle potenze temporali e la sinistra ne simboleggia l’atterramento.

 

La fonte per l’iscrizione posta ai piedi di Isaia (“Vocabitur nomen eius Deus fortis, Princeps” – “Sarà chiamato il suo nome Dio potente, Principe”) è anche in questo caso il libro biblico dello stesso profeta (Is 9,6). Il passo completo è più chiaro: “Parvolus enim natus est nobis, et filius datus est nobis, et factus est principatus super humerum eius: et vocabitur nomen eius. Admirabilis, Consiliarius, Deus, Fortis, Pater futuri saeculi, Princeps pacis” (“Un bambino ci è nato, un figlio ci è stato donato; nelle sue spalle riposa l’impero; e lo si chiama per nome: «Meraviglioso consigliere, Dio potente, Padre perpetuo, Principe della pace»”). E l’indice destro del profeta addita il bambino raffigurato nella Natività, il Dio incarnato.

La fondatezza delle due profezie è sancita dalla frase scritta sulla pergamena srotolata dai due angeli, in cui, dopo aver sciolto le abbreviazioni tipiche del periodo, si legge: “Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines. II Petri” (“Gli uomini di Dio parlarono per ispirazione dello Spirito santo. II di Pietro”). Si tratta – come riportato nell’iscrizione - di un passo della seconda epistola di Pietro (2Pt 1,21) in cui l’apostolo conferma la necessità di prestare fiducia alle parole dei profeti perché essi non parlarono di loro iniziativa, ma furono guidati dallo Spirito Santo e parlarono in nome di Dio (“Non enim voluntate humana allata est aliquando prophetia: sed Spiritu sancto inspirati, locuti sunt sancti Dei homines” – “Non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio”).

 

Una verità ribadita dal gioco di sguardi e di gesti degli angeli ma anche dal movimento di Isaia, che forse richiama, con l’accennato e simbolico scioglimento della fascia che gli cinge la vita, un passo della Scrittura relativo proprio al suo essere portatore della parola divina: “In quel tempo il Signore parlò per mezzo di Isaia, figlio di Amoz: «Va’ e sciogli il sacco dai tuoi fianchi e levati i calzari dai piedi». Egli fece così andando nudo e scalzo” (Is 20,2).

Tutto, dunque, in questo dipinto, mimica, iscrizioni, riferimenti, perfino i corpi stessi dei personaggi, è proteso verso la nascita del Signore, tanto che l’intera pala finisce per divenire, in perfetta sintonia con il soggetto, annuncio dell’altra.

 

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